donne chiesa mondo - n. 44 - marzo 2016

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano marzo 2016 numero 44 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: C ATHERINE A UBIN , A NNA F OA , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , mail :dcm@ossrom.va, per abbonamenti: info@ossrom.va ) Le prediche di Ildegarda di Bingen Come se le stelle non brillassero Pubblichiamo il commento della monaca di Bose a Luca 7, 36 - 8, 3 tratto dal libro «La follia del vangelo» (Qiqajon, 2014). di M ARIA DELL ’O RTO A ncora una volta il Vangelo ci an- nuncia ciò che gli sta più a cuore, e cioè che l’inizio, il fine e la so- stanza stessa della fede che vuole suscitare nei nostri cuori è l’amo- re. Che vivere nella fede di Gesù è vivere a favore degli altri, conformandosi a lui che è venuto non per essere servito ma per servire. E che, dunque, l’unica visibilità della fede, l’unica eloquenza cristiana, è l’amore umile e grande di chi serve il suo prossimo. Ora, proprio perché la fede è al caro prezzo dell’amore gratuito o non è affatto, il Vange- lo mette il dito in una grande piaga, mo- strando l’eterna tentazione degli uomini reli- giosi, quella della fede che vuol rendersi visi- bile a basso prezzo, sottraendosi alla respon- sabilità dell’amore. La scena evangelica racconta il grande amore per Gesù di una donna, che faceva la prostituta. Un amore dimostrato non a paro- le — infatti non disse proprio nulla — ma con l’eloquenza di gesti amorosi, umili e sapienti, da vera esperta dell’amore. Gesù vede i suoi gesti di un così amoroso e umile servizio, del tutto silenzioso, e vi riconosce la sua fede e la sua salvezza. E alla fine le dirà: «La tua fede ti ha salvata, va’ in pace». E la ritrovere- mo con Gesù e gli altri discepoli e discepole a servirli. Ma accanto allo sguardo di Gesù, ci è rac- contata la reazione, a quegli stessi gesti, di un uomo religioso, di quel Simone, apparte- nente al gruppo dei farisei, che era il padro- ne di casa che aveva invitato a mensa Gesù. Il Vangelo è impietoso nel raccontarci la visione accecata di Simone, la sua percezione stravolta di ciò che avviene sotto i suoi occhi. Dove c’è un grande amore, quello della don- na, lui vede impurità e peccato. Dove c’è il discernimento e l’accoglienza amorosa e stu- pita di Gesù verso la donna che ama così tanto, lui vede una carenza religiosa, una contraddizione alla santità, una smentita del- la sua identità di profeta. Né i gesti della donna né l’atteggiamento di Gesù sono per lui occasione e provocazione a interrogarsi su di sé, ma solo occasione per rafforzarsi nella sua cecità viziosa. Gesù ha denunciato molte volte il grande male della cecità e dell’ipocri- sia che tenta gli uomini religiosi: ritenere che l’identità religiosa conti più delle azioni, più di ciò che si fa o non si fa; usare l’identità re- ligiosa di esperti della legge di Dio come evasione dalla responsabilità che proprio quella stessa Legge dà a ognuno di agire con giustizia, verità e amore. Non dimentichiamo mai che in Matteo 25 tutti i peccati gravi con- testati sono peccati di omissione. Simone, ignorante in amore, non lo rico- nobbe nei gesti gratuiti della donna. Passato oltre all’evidenza e all’intelligenza di quei ge- sti, che altra intelligenza gli resterà? Infatti, il motivo del suo dubitare di Gesù — «Se fosse un profeta, saprebbe che specie di donna è questa che lo tocca» — rivela che non ha in- telligenza neppure del ministero che Dio, per quenti di amore. Sa trarne non solo consola- zione ma anche edificazione e insegnamento per sé. Infatti, prima di essere catturato e uc- ciso, per dare un segno eloquente della gran- dezza, umiltà e gratuità del suo amore per i discepoli, si chinerà sui loro piedi e li laverà. Il Vangelo ci supplica, con questo racconto, di avere sguardo e discernimento per ricono- scere l’amore ovunque si mostri, senza bada- re alla buona o alla cattiva fama delle perso- ne, e di imparare da costoro ad amare. Parlando a Simone, Gesù dice una doppia sentenza: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. A chi invece si perdona poco, ama poco», attestando così un doppio legame tra perdono ricevuto e amore. Questa doppia sentenza, che non par- la della difficoltà di perdonare ma piuttosto di quella di essere consapevoli del proprio bisogno del perdono dell’altro, è un buon criterio di discernimento e di interpretazione dei nostri amori: sia di quelli felici, che di quelli miserabili, o mancati del tutto. Dobbiamo chiederci di ogni amore che vi- viamo se ci porta a conoscere di più noi stes- si come persona bisognosa di perdono, o se invece rimpicciolisce, o addirittura spegne questa consapevolezza. Perché, in questo ca- so, dice il Vangelo, questo amore rimpiccioli- sce la nostra capacità di amare. amore del suo popolo, dà ai suoi servi i pro- feti nelle Scritture sante di Israele. Il ministero del profeta non è forse il fati- coso e santo stare tra la santità di Dio e la miseria anche morale del popolo? Ammonen- do costoro perché facciano ritorno a Dio smettendo di fare ingiustizie e cominciando ad amare il proprio prossimo? E infatti Gesù, da vero profeta, vedendo nell’amore della donna la sua guarigione e salvezza, si prende cura di Simone, il vero malato. La cecità di Simone, uomo religioso, è am- monizione severa, profetica ed evangelica, per ciascuno di noi. Ciò che David nostro padre seppe ascoltare, e riconoscere, dalla bocca del profeta Natan, nel Primo Testa- mento: «Sei tu quell’uomo» ( 2 Samuele, 12, 7), il Vangelo lo dice a ciascuno di noi. Per- ché il Vangelo non ci conferma mai nei no- stri pregiudizi, anzi, rivelandone l’ipocrisia, ammonisce ciascuno a svegliare e convertire se stesso. Come la cecità di Simone è severo ammo- nimento, così il discernimento amoroso della donna e di Gesù sono un magistero fonda- mentale per noi. Quella donna, prima fra tutti, discerne in Gesù con l’intuito dell’amo- re un povero e anche un uomo di Dio veri- tiero e compassionevole, e fa per lui tutto ciò che è in suo potere fare, tutto ciò che la sua grande intelligenza amorosa le suggerisce. Nel Vangelo non si dice affatto che questa donna cercasse perdono e salvezza. No. E anche questo è importante. La propria sal- vezza non può essere mai lo scopo dell’amo- re. Ne è solo, ma sempre, la conseguenza. Poiché chi vuol salvare la propria vita la per- de, e solo chi la perde per amore la salva. Di lei è detto solo il suo grande amore, e la sua capacità di non lasciarsi inibire dallo sguardo del padrone di casa, che per esperienza ben sapeva prevedere. Ed è magistero per noi lo sguardo di Gesù che si lascia stupire come da una rivelazione, e sa far tesoro di questi gesti gratuiti ed elo- Il saggio Misericordia spirituale Fu un grande successo, nel 2013, il ciclo di prediche dedicato alle opere di misericordia spirituale tenutosi a Spoleto nell’ambito del Festival dei due mondi in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Curato e ideato da Lucetta Scaraffia, il ciclo — composto da sette incontri, poi confluiti nel volume Le opere di misericordia spirituale (Edizioni Messaggero Padova, 2014) — vide in particolare un grande interesse del pubblico per la predica Insegnare agli ignoranti tenuta da Catherine Aubin, domenicana francese docente presso la Pontificia Università Urbaniana e l’Istituto di teologia della vita consacrata. Muovendo dalla volontà di capire chi siano veramente gli ignoranti e quale il rapporto che il docente instaura con loro, Aubin afferma che «insegnare non consiste in una semplice trasmissione di conoscenze; insegnare è piuttosto il condividere una condizione di vita, il comprendere una verità interiore. Nel momento in cui si insegna, allo stesso tempo ci insegnano proprio coloro ai quali insegniamo e così, nella condivisione, questi diventano i nostri insegnanti». ( @GiuliGaleotti ) Il fumetto L’islam delle donne Rabat, gennaio 2016: Ouman, 25 anni infermiera, e Fatmata, insegnante trentottenne, entrambe provenienti dalla Guinea, si raccontano nel graphic reportage di Cinzia Leone L’islam delle donne , comparso su La Lettura del Corriere della Sera del 7 febbraio 2016. Ouman e Fatmata frequentano la prima accademia islamica per predicatori e predicatrici fondata lo scorso anno dal re del Marocco Mohammed VI per contrastare il terrorismo islamico in Africa. Degli ottocento studenti, 175 sono donne provenienti da sei Paesi del Maghreb e subsahariani. «Voglio diventare predicatrice per lasciare la mia impronta», dice Fatmata a Cinzia Leone, anche lei protagonista del fumetto nato da un’intervista che la giornalista italiana ha fatto in gennaio all’Accademia per predicatori e predicatrici di Rabat. «So di diventare un bersaglio dei jihadisti — aggiunge Ouman — ma predicare il vero islam è la mia trincea. Voglio fare solo questo. Le infermiere si trovano, le predicatrici no». E sempre nella striscia a fumetti, Abdesselam Lazar, l’imam che dirige l’accademia, spiega a Leone: «Abbiamo bisogno delle donne africane per fermare il falso califfo. Studiano il Corano, le lingue, l’economia, le stesse materie degli uomini, e nelle stesse aule». ( @GiuliGaleotti ) L E DONNE DELL ’ ANNO SECONDO «O UR S UNDAY V ISITOR » Ogni dodici mesi, lo statunitense «Our Sunday Visitor» stila la lista dei cattolici che, nell’anno appena trascorso, si sono distinti per il loro impegno a favore della Chiesa e della società: per il 2015, tra gli otto premiati, ben cinque donne. Si tratta, in ordine alfabetico, di Norma Pimental, missionaria di Gesù che si occupa di rifugiati in Texas; Lila Rose, attiva nel movimento per la vita; Janet Smith, docente di teologia morale al Seminario maggiore del Sacro Cuore di Detroit; Marlene Watkins, casalinga fondatrice di un gruppo di volontariato che porta il carisma di Lourdes negli ospedali; e Carolyn Woo, presidente dell’associazione Catholic Relief Services. B IMBE E BIMBI DI STRADA IN B OLIVIA Ogni due sere una équipe di professionisti della Casa San José esce per le strade di Quillacollo, municipio della fascia urbana di Cochabamba in Bolivia, alla ricerca di bambini abbandonati. Si calcola che solo nella cittadina ne vivano in strada 1800. Sono bimbi invisibili che, in cambio di pochi spiccioli, fanno i lustrascarpe, aiutano le persone a salire sui bus, puliscono i vetri delle auto ai semafori o chiedono l’elemosina. Fuggono dalle proprie case per insostenibili situazioni di violenza e di abusi sessuali, per l’abbandono dei genitori che, lavorando, li lasciano soli intere giornate, o per la forte attrattiva di quella che Il film Vision Il film sta finendo, manca una manciata di minuti. La storia di Ildegarda di Bingen dall’infanzia fino alla maturità è già stata raccontata tratteggiando i punti cruciali del suo percorso umano e spirituale, specie nei rapporti con la Chiesa del tempo, eppure per il film Vision (2009) della regista tedesca Margarethe von Trotta non è ancora arrivata la parola fine. Al monaco Volmar (Heino Ferch) che le chiede, dopo l’ennesima crisi di salute che sembrava fatale, «cosa ti hanno detto gli angeli?», Ildegarda (interpretata con garbo e maestria da Barbara Sukowa) risponde: «Mi hanno detto: “Alzati, il tuo lavoro non è ancora finito”». E dinnanzi allo sguardo perplesso dell’uomo, aggiunge: «Andrò in viaggio a predicare». «Viaggiare per predicare? Sapete questo cosa comporta?». «Lo so. È inaudito. Sarò la prima donna». ( @GiuliGaleotti ) Visse in un tempo difficile Era necessario combattere l’immoralità del clero e l’eresia catara Solo una personalità dotata di un’autorevolezza indiscussa poteva attendere a questo compito Lei che si considerava timida fu la prima donna a potersi sostituire ai vescovi nella predicazione Colmando il vuoto lasciato dall’indolenza dei prelati «Predica di Ildegarda di Bingen» (pala dell’altare di Ildegarda, particolare, Bingen, Rochuskapelle) Sessantuno omelie E se fosse una predica? La difficile arte di riconoscere l’amore nel vangelo di Luca Il testo sacro è impietoso nel raccontarci la visione accecata di Simone E la sua percezione stravolta di ciò che avviene sotto i suoi occhi di V ALENTINA G IANNACCO C olonia, 1163: dal pulpito della maestosa cattedrale l’anziana ba- dessa di Bingen pronuncia il suo atteso sermone. Tutto il clero cit- tadino si è riunito per lei ed è in- tento ad ascoltarla. La voce risuona tra le pos- senti mura: non si ode alcun tremore in essa. A temere, infatti, non è la donna, pur sola di fronte al potente uditorio maschile, ma è que- st’ultimo, duramente ammonito per la grave pace di pensiero scientifico e di creazione arti- stica. Ildegarda visse in un tempo cupo, in cui le stelle erano «oscurate», come denunciò meta- foricamente lei stessa, a causa della degenera- zione morale del clero. Era necessario estirpa- re la simonia e combattere il concubinato, e solo una personalità dotata di un’autorevolez- za indiscussa poteva attendere a questo supre- mo compito. Ma da dove derivava l’autorità della Sibilla del Reno e come fu possibile che, in piena età medievale, una donna ricoprisse manca la luce della giustizia, come se le stelle non brillassero. Non istruite il vostro popolo che si disperde come cenere e che in ogni oc- casione agisce come vuole. Ma così voi vi atti- rerete innumerevoli e infiniti tormenti. Io che sono, dico a coloro che mi ascoltano: quando giungerà quel momento, la rovina cadrà su di voi attraverso un popolo che vi perseguiterà ovunque e che svelerà le vostre azioni. Questo popolo giungerà cappato sotto una veste nera, con la tonsura, si mostrerà placido e quieto, non amerà l’avarizia, non possederà denaro e praticherà il digiuno. Ma il diavolo è con lui. Oh! Questi uomini infedeli deviano dalla veri- tà, non sanno ciò che fanno, e saranno il vo- stro flagello, affinché voi vi purifichiate». Si percepisce nelle sue parole un impeto o pressura , come la profetessa stessa la definiva, che la costringeva a scrivere velocemente per non tacere nulla di quanto la visione divina le riferiva. Il linguaggio era diretto, incalzante, proprio perché scaturito dall’impulso di una personale rivelazione. Colpisce la stretta interrelazione tra i due fenomeni contro cui la Sibilla del Reno fu chiamata a combattere: l’eresia da una parte — il popolo che «giungerà cappato sotto una ve- ste nera» — e la corruzione della Chiesa Vi è una forte nota ottimistica nel suo mes- saggio finale. L’autrice non predisse l’incom- bente avvento dell’Anticristo, ma prefigurò la «purificazione della Chiesa» rinviando, nello stesso tempo, la fine del mondo. I catari as- sunsero in questa prospettiva una precisa va- lenza positiva, ponendosi come un flagello ne- cessario a punire il clero decaduto e indurlo a una profonda conversione. La profetessa spiegò le ragioni della vendet- ta divina e annunciò il ripristino della giusti- zia per offrire ai peccatori una concreta possi- bilità di redenzione. Ed è forse questo uno degli aspetti di mag- gior valore della predicazione ildegardiana. In un tempo tanto oscuro, quando la Chiesa era tradita da un male interno, una donna diede un nuovo messaggio di speranza all’uomo. Una sua grande studiosa, Kathryn Kerby-Ful- ton, ha scritto: «Ildegarda ha dischiuso al mondo il fine divino nascosto nella storia». Non è un caso se, tra i suoi contributi più ri- levanti, si riconosca proprio quello dato nell’ambito della teologia della salvezza. corruzione in cui è precipitato e per l’inerzia manifestata contro il dilagare dell’eresia cata- ra. Nessuno tra gli astanti si leva a confutare i suoi attacchi. Sanno che le parole del sermone non sono le sue, ma vengono direttamente da Dio e l’impressione che ne ricevono è indelebile. Questo è lo scenario di una delle drammati- che predicazioni di Ildegarda di Bingen (1098- 1179), proclamata da Benedetto XVI santa e dottore della Chiesa: «Questa grande donna “profetessa” parla con grande attualità anche oggi a noi — ha detto Papa Ratzinger — con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica». Non era facile per la Chiesa di quegli anni — ma potremmo dire per la Chiesa di sempre — accettare una donna che viveva un’intensa esperienza mistica e, al tempo stesso, era ca- Il loro errore, la loro eresia, stava infatti in altro: così pro- fondamente impressionati dal male del mondo, essi credette- ro che il creato non fosse ope- ra di Dio ma di un opposto principio maligno e che solo lo spirito fosse creato da Dio. Lo scontro con la Chiesa era per- ciò inevitabile. Contro l’estremismo eretico, che condannava il mondo per la sua malvagità, Ildegarda af- fermò l’intrinseca sacralità del cosmo e del microcosmo-uo- mo, nel loro inscindibile lega- me con lo spirito di Dio. Claudio Leonardi ha sottoli- neato come Ildegarda parlasse con assoluta sicurezza di ciò che affermava, dal momento che si fondava sull’autorità stessa di Dio: «Per tutto il me- dioevo — scrive — si è conti- nuata la critica al papato, an- che da parte esplicitamente cri- stiana. Ma questa di Ildegarda è diversa, nel senso che non assume toni moralistici quanto piuttosto autoritativi. È lei, sia pure a nome di Dio, nella vi- sione della realtà e delle perso- ne che ritiene di avere da Dio, che si pone come chi sa come il papato deve essere esercitato. In lei sembra operare un cari- sma petrino che le impone di richiamare il Papa al suo ruolo». Con Ildegarda la profezia appare, per la prima volta con tanta forza, in una donna. Tanto che, scrive ancora Leo- nardi «la sua parola appare in- vestire il ruolo vescovile (e pa- pale) e come sostituirsi ad esso». sioni ildegardiane, fortemente difese anche da Bernardo di Chiaravalle, maestro del Papa stesso. La benedettina, che di per sé si considerava timida et paupercula , timida e povera, fu così la prima donna a potersi sostituire all’autorità vescovile nella predicazione, colmando il vuo- to lasciato nella guida pastorale dall’indolenza dei prelati. Umile e, nello stesso tempo, asso- lutamente audace come portavoce di Dio, co- me emerge in un brano tratto dal sermone te- nuto nella cattedrale renana nel 1163. Ildegarda parla in prima persona, rivolgen- dosi direttamente ai chierici in ascolto e rife- rendo loro ciò che Dio ha rivelato a lei. «Il cosmo è stato creato secondo un ordine e non manca di nulla. Io vi ho creati come il sole e le stelle, affinché risplendeste tra gli uomini con il fuoco della dottrina, ma voi non medi- tate la giustizia di Dio. Alle vostre lingue una così alta funzione pubbli- ca? Una risposta è certamente data dalle condizioni di emer- genza in cui versava la Chiesa. Solo il carisma di Ildegarda poteva esercitare una forte in- fluenza sui fedeli e riportarli nell’alveo dell’istituzione ec- clesiastica, e così rimarginare quella frattura tra popolo e clero causata dal disimpegno morale e religioso di quest’ul- timo. Nel 1147 Eugenio III ri- conobbe l’autenticità delle vi- Ildegarda predicò tra il 1158 e il 1170, quand’era ormai anziana, nelle prestigiose sedi arcivescovili di Treviri e Colonia, ma anche a Metz, Würzburg, Bamberga e Kirchheim, in Svevia, e le fonti attestano che laddove giunse la sua parola, il movimento cataro fu arginato prima che si scatenasse l’ondata persecutoria indetta da Innocenzo III , Papa tra il 1198 e il 1216. Le omelie giunte fino a noi sono 61: tre che testimoniano il suo impegno per la riforma della Chiesa e contro l’eresia catara, scritte su richiesta dei prelati che l’avevano invitata e raccolte nel suo epistolario; 58 commenti a testi evangelici, pubblicati in una apposita sezione nelle opere minori. dall’altra. Come riformatrice, Ildegarda dove- va mostrare ai prelati le loro dirette responsa- bilità nei confronti degli eretici: se i catari os- servavano la castità assoluta e la mortificazio- ne del corpo, era per dura reazione al lassismo di molti di loro. Paolo Veronese, «Cena in casa di Simone» (1567-1570) Suor Norma La scena evangelica racconta il grande amore per Gesù di una donna che faceva la prostituta Un amore dimostrato non a parole ma con l’eloquenza di gesti amorosi, umili e sapienti Da vera esperta dell’amore considerano una vita facile. La maggior parte di queste situazioni dipende dall’estrema povertà, dallo sradicamento causato dalla migrazione verso le grandi città e dalla mancanza di un sistema di protezione sociale che identifichi i casi più vulnerabili. Casa San José si occupa del reinserimento familiare dei bimbi, cercandone i parenti e tentando, grazie a psicologi ed educatori, di ricucire i rapporti con i genitori. Quando questo si rivela impossibile, le équipe ricorrono alla famiglia allargata: zii, nonni e cugini per individuare un nucleo vicino al bambino che lo protegga e gli offra sicurezza. R IAPRE IL MONASTERO CALDEO A T EHERAN Alla vigilia dell’incontro in Vaticano tra il Presidente iraniano Hassan Rohani e Papa Francesco, è stato possibile riaprire a Teheran il monastero caldeo della Congregazione delle Figlie di Maria. Lo riferiscono le fonti ufficiali del patriarcato caldeo, ricordando che il monastero è rimasto chiuso dal 2013. «La nostra congregazione — spiega suor Luigina Sako, superiora della casa romana delle Suore caldee Figlie di Maria — è presente a Teheran dal 1963. Prima della rivoluzione islamica tenevamo aperta anche una scuola. Il monastero è annesso alla parrocchia dedicata alla Vergine Maria. Adesso, dopo una sospensione di più di due anni, le suore potranno riprendere il lavoro pastorale tra la gente, nelle parrocchie». Il monastero per ora ospiterà due religiose, suor Batul e suor Liliana, che da molti anni, già prima del periodo di chiusura, facevano parte della comunità di Teheran. S TOP ALLE SPOSE BAMBINE IN Z IMBABWE La corte costituzionale dello Zimbabwe ha messo fuorilegge i matrimoni prematuri, deliberando che nessuno possa sposarsi prima di aver compiuto 18 anni. La sentenza è storica per un Paese dove il 31 per cento delle ragazze si sposa prima di aver raggiunto la maggiore età. La decisione pone fine a un caso giudiziario iniziato nel 2015, quando due giovani ex spose, Loveness Mudzuru e Ruvimbo Tsopodzi, chiesero alla corte di dichiarare la legge sul matrimonio una violazione della carta fondamentale dello Zimbabwe. Una bambina su tre nei Paesi in via di sviluppo si sposa prima dei 18 anni, una su nove prima dei 15. I dati dal 2000 al 2011 attestano che più del 60 per cento delle donne tra i 20 e i 24 anni che vivono nei Paesi con le più alte percentuali di matrimoni prematuri si sono sposate prima dei 18 anni: Niger (75 per cento), Ciad (72), Bangladesh (66), Guinea (63) e Repubblica Centrafricana (61). Nel mondo, attualmente, oltre 700 milioni di ragazze si sono sposate prima del diciottesimo anno di età e circa 250 milioni hanno contratto il matrimonio prima dei 15. D ONNE CON DISABILITÀ IMPRENDITRICI A G AZA La storia è stata raccontata da Michela Trigari sulla rivista «SuperAbile»: nella Striscia di Gaza, Iman Al Rantisi e Mona Al Masri, ventisettenni entrambe sorde, hanno avviato un centro estetico, mentre Sawsan Hassouna, trentunenne con un grave deficit visivo, ha aperto un asilo; e ancora, se Sawsan Al-Khaleeli, affetta da nanismo e con una malformazione alle mani, gestisce, dopo aver conseguito la laurea in contabilità, un negozio di ricamo, Nida’a Tala’at Mahmoud Al’okor, ventiseienne con disabilità motoria, ha avviato un piccolo allevamento di conigli. E ancora, Ghada Al-Haj Salem, 24 anni, un diploma in multimedia e gravi problemi di udito, lavora come grafica, mentre Sameeha Al-Sa’douni, laureata non vedente, offre corsi di recupero nel suo centro. Sono queste alcune delle 34 donne con disabilità che, grazie alla ong riminese EducAid e al progetto “Ricomincio da me”, hanno dato vita ad altrettante microaziende nella Striscia di Gaza. Il progetto — ha sottolineato Francesca Manzoni di EducAid — ha effetti molto positivi anche a livello psicologico. «Le ragazze smettono di sentirsi un peso per le famiglie e la società, e iniziano a considerarsi soggetti produttivi integrati nella propria comunità di appartenenza, contribuendo allo stesso tempo al benessere del proprio nucleo domestico». D ONNE IN PREGHIERA AL MURO DEL PIANTO Da anni una volta al mese si presentano al muro del Pianto vestite con gli scialli rituali e pretendono di compiere un gesto proibito: pregare come gli uomini. E se finora, tra duri scontri anche fisici, ciò era stato loro negato, adesso — grazie a 11 voti (dei ministri a favore della proposta del premier Benjamin Netanyahu) contro 5 (dei rappresentanti dei partiti ortodossi) — per le donne sarà finalmente possibile. Diretto da Anat Hoffman, il movimento Women of the Wall (Wow) nacque nel 1988, quando un gruppo di donne cominciò a recarsi al Muro occidentale, nella sezione riservata alle donne, separata da quella molto più ampia riservata agli uomini, indossando il talled , lo scialle di preghiera, e i tefillin (piccole scatole nere che contengono versi della Torah e che si legano alla fronte) e portando con sé i rotoli della Torah. La reazione degli ultraortodossi, che negavano loro il diritto di leggere la Torah ritualmente e di vestire gli oggetti da preghiera, fu violentissima. Da allora ogni Rosh Chodesh (capomese), le donne si ritrovano davanti al Muro per pregare nella modalità finora riservata agli uomini, nonostante gli attacchi degli ultraortodossi, che le aggrediscono fisicamente e le insultano. Il movimento non rimette in discussione la separazione fra la zona riservata agli uomini e quella in cui vengono relegate le donne, ma vuole pregare con il talled e leggendo ad alta voce il rotolo della Torah.

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