donne chiesa mondo - n. 44 - marzo 2016

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Perché non dare la parola a donne e uomini laici? A tre condizioni di E NZO B IANCHI N ella Chiesa del tempo post-conciliare, da quando Papa Giovanni con il suo discernimento profetico individuò tra i «segni dei tempi» l’ingresso della donna nella vita pub- blica, più volte sentiamo voci che si levano per chiedere una più grande valorizzazione della donna nella Chiesa, una sua maggior partecipazione alle diverse istituzioni che la reggono e la organiz- zano, un riconoscimento a lei di tutte le facoltà che in quanto battezzata possiede di diritto. C’è una strada decisiva per la valorizzazione della donna nella Chiesa, una possibilità che riguarda più in generale i fedeli, uo- mini e donne, possibilità già esperita e praticata nella storia della Chiesa e di fatto presente, nonostante l’attuale disciplina, in mol- te Chiese locali: la presa della parola nell’assemblea liturgica da parte di fedeli, uomini o donne. Essa rischia però di avvenire in modo selvaggio o, peggio ancora, in modo simulato, così che si finisce per chiamare con altri nomi — come “risonanze” o “pro- posizioni” — quelle prese della parola che devono semplicemente essere chiamate omelie. Il tema è delicato, ma ritengo sia urgente affrontarlo, seppur brevemente in questa sede: certamente per i fedeli laici in generale, ma soprattutto per le donne, ciò costitui- rebbe infatti un mutamento fondamentale nella forma di parteci- pazione alla vita ecclesiale. Innanzitutto va riconosciuto che in questi ultimi decenni vi è la consapevolezza che tutti i battezzati sono consacrati per la missione e che l’annuncio del Vangelo è una responsabilità che li investe tutti: non a caso i predicatori laici sono ben presenti e numerosi nella missione. Si tratta perciò di un ministero della parola un tempo riservato solo ai chierici, oggi invece presente in tutte le componenti della Chiesa. Sono gli attuali testi liturgici ad attestare che i battezzati sono chiamati da Dio «perché an- nuncino con gioia il Vangelo di Cristo nel mondo intero» ( Rito del battesimo , Preghiera e invocazione sull’acqua ) e «diventino parte- cipi della missione di Cristo, profetica, sacerdotale e regale» ( Li- turgia della benedizione degli oli , Benedizione del crisma ). Questa maturazione in parte è avvenuta nel popolo di Dio, che oggi è capace di accogliere anche la predicazione a opera di laici. Dalla storia sappiamo che la predicazione ai laici è stata auto- rizzata pure in ambito liturgico e che nel medioevo anche alcune donne ricevettero dal Papa o dal vescovo questa autorizzazione. Prima del divieto di predicazione ai laici stabilito da Gregorio IX (1228), tra le diverse forme di predicazione vi era anche quella che prevedeva un mandatum praedicandi concesso a semplici fede- li. Soprattutto nei secoli X - XII , e in particolare durante la riforma gregoriana, l’ officium praedicandi è attestato in fecondo esercizio soprattutto all’interno di quei movimenti evangelici laicali che si svilupparono all’inizio del secondo millennio cristiano. I poveri di Lione, più tardi chiamati valdesi, gli umiliati e altri gruppi chiesero al Papa di Roma l’approvazione del loro modo di vivere e l’esercizio della predicazione, ricevendo questa facoltà. La vita evangelica di questi predicatori dava loro una grande autorevo- lezza, sicché la loro parola appariva performativa: si pensi a Ro- berto d’Arbrissel (1045-1116), che predicava di fronte al clero, ai nobili e al popolo, su approvazione di Urbano II ; oppure a Nor- berto di Xanten (1080-1134), che ricevette l’ officium praedicandi da Gelasio II . Ma si ricordi che questo fu possibile anche per alcune donne, tra le quali eccelle Ildegarda di Bingen (1098-1179), pro- clamata da Benedetto XVI dottore della Chiesa, abbadessa che predicò in diverse cattedrali chiamata da vescovi ed ebbe tra i suoi ascoltatori anche Papa Eugenio III . Si tratta di pochi esempi, che dicono però un vissuto secolare nella Chiesa romana, interrotto a causa della paura di eresie, dif- fuse proprio da predicatori del Vangelo. Certamente per poter svolgere il ministero della predicazione si riteneva necessaria l’au- torizzazione da parte della Chiesa, ovvero il conferimento della licentia praedicandi , perché l’ignoranza di alcuni predicatori o il “carismatismo” di altri portava spesso all’eresia, alla confusione e non all’edificazione della Chiesa. È significativo che Innocenzo III , per esempio, accogliesse la richiesta della predicazione da parte di Francesco e dei suoi primi compagni (1210), chiedendo loro in cambio la tonsura. In ogni caso Francesco, senza ricevere l’ordine (né diaconato né presbiterato), predicò pubblicamente, sempre con l’approvazione romana, nonostante la contrarietà di alcuni vescovi locali, e anche dopo il divieto di Gregorio IX ven- ne mantenuta la possibilità di un accesso dei laici alla predicazio- ne. Si raccomandava che queste omelie fossero di carattere mora- le ed esortativo e non dottrinale o teologico, ma di fatto furono autorizzate, e donne predicatrici, da Maria d’Oignies, la beghina di Liegi (1177-1213), a Caterina Paluzzi (1573-1645), incaricata della predicazione nei monasteri femminili dal cardinale Paolo Sfron- dati, non mancarono mai. E oggi? Nel post-concilio la Conferenza episcopale tedesca chiese a Paolo VI nel 1973 il mandatum praedicandi per alcuni laici impegnati nella pastorale (tra cui non poche donne) e la Santa Sede concesse loro il permesso ad experimentum per otto anni. Allo stesso modo, il Direttorio per le messe dei fanciulli (1973) per- mette che l’omelia sia tenuta da laici preparati, anche donne. So- no aperture di cui si dovrebbe fare tesoro. Sarebbe comunque importante che, senza mutare nulla della dottrina tradizionale, si desse la possibilità a laici, uomini e donne, di prendere la parola nell’assemblea liturgica, ad alcune precise condizioni. Innanzitutto l’assoluta necessità di un mandatum praedicandi (anche temporaneo) conferito dal vescovo a un fedele, uomo o donna, che sia preparato e abbia il carisma della predicazione. In secondo luogo, poiché la liturgia eucaristica è un atto di culto unito in se stesso e con un’unica presidenza, spetta al pre- sbitero che presiede l’eucarestia incaricare ritualmente chi, aven- do ricevuto dal vescovo la facoltà di predicare, va all’ambone, donandogli la benedizione. Infine, il fedele chiamato a predicare, uomo o donna, lo fa per carisma e per istituzione, cioè nella consapevolezza di avere un dono a utilità degli altri e del bisogno di un mandato che lo in- nesti nella tradizione. Senza carisma e senza chirotesia (forma di imposizione delle mani che è una benedizione, non un sacramen- to), non si evidenzierebbe il ministero della parola nella liturgia, che abbisogna sempre del dono del carisma e dell’autorizzazione episcopale. La concessione della facoltà di predicare, a queste condizioni, consentirebbe alle comunità religiose femminili di non ascoltare sempre e solo l’omelia del cappellano loro assegnato. E le comu- nità cristiane potrebbero ascoltare la predicazione fatta da donne (con accenti diversi, dunque) e da uomini non solo ordinati. Non dimentichiamo che Gesù ha predicato nelle sinagoghe di Nazareth e di altre città senza essere né un sacerdote né un rab- bino ordinato, ma lo ha fatto per carisma profetico e perché in- caricato dai capi delle diverse sinagoghe. E non dimentichiamo neppure che, quando un vescovo voleva impedire al laico Orige- ne di predicare, gli altri vescovi replicarono: «Dove c’è qualcuno capace di essere veramente utile ai fratelli nella predicazione, sia dai vescovi chiamato a predicare al popolo» (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica VI , 19, 18). Passione divorante Santa Battista Camilla da Varano raccontata da Caroline Pigozzi «L a vita di santa Battista, totalmente immersa nelle profondità divine, fu un’ascesa costante nella via della perfe- zione, con un eroico amore verso Dio e il prossimo». Con queste parole, risuonate in tutta piazza San Pietro, Benedetto XVI , commosso, il 17 ottobre 2010 ha canonizza- to Battista Camilla da Varano. Una donna nobile di nascita e di animo, che aveva già colpito due Pontefici: Gregorio XVI , che la beatificò nel 1843, e Leone XIII , che riaprì il suo processo di canonizzazione e dal 1877 riconobbe il miracolo della guarigione di una bambina italiana affetta da rachiti- smo. Ma ci è voluto più di mezzo millen- nio perché fosse proclamata santa. Cresciuta in un ambiente molto privile- giato, la nostra protagonista vede la luce il 9 aprile 1458 nelle Marche. È la figlia di Giulio Cesare di Varano, duca di Varano, signore di Camerino, a capo di un piccolo stato indipendente, come altri stati, molto ambito dal Papa. La futura santa è dun- que di buona famiglia, secondo un’espres- sione comune dell’epoca. Suo padre, allea- to con importanti famiglie dell’alta aristo- crazia regnanti nelle diverse città italiane, ha avuto tre figli legittimi e sei fuori dal matrimonio, tra i quali lei. Una ferita se- greta? Ciò non impedirà comunque a que- sta figlia naturale di essere educata alla corte dei Varano, nel loro grandioso palaz- zo, dove riceve l’ottima educazione di una vera aristocratica, studiando latino, storia dell’arte, pittura, i grandi classici della cultura umanistica, ma anche musica, dan- za ed equitazione. La sua gioventù oscilla tra piaceri e mi- sticismo. Di fatto, dall’età di 10 anni, ogni venerdì, colpita dalle predicazioni dei frati francescani — Domenico da Leonessa e Pietro da Mogliano — Camilla venera si- lenziosamente Cristo nel più profondo del suo cuore. Una passione divorante che avrebbe potuto guidare solo la sua vita quotidiana ma che invece le detta di di- ventare religiosa. Scelta complicata con un pater familias autoritario che, fedele alla tradizione, ha già trovato per sua figlia un buon partito, fatto che avrebbe potuto lusingare la sua vanità. Eppure il duca rispetterà la sua scelta, e poiché vuole il meglio per la sua figlia preferita, quando all’età di 23 anni entra nell’ordine delle clarisse, obbedendo alle rigide regole dell’amore a Cristo nella povertà e nella fraternità, fa erigere a Ca- merino un monastero per lei, divenuta suora Battista. Accompagnata da otto religiose, velo nero, abito scuro, diviene la madre bades- sa del suo convento e si dedica, per vent’anni, all’adorazione di Cristo e alla scrittura. Un’opera impressionante: lettere, preghiere, poesie, trattati e scritti storici di grande spiritualità e spessore intellettuale. Se fino a quel momento la monaca si era potuta abbandonare con serenità a Dio e a lui soltanto, i due decenni succes- Caroline Pigozzi è stata giornalista politica del «Figaro Magazine» e dal 1992 è grand reporter a «Paris Match» e scrive di religioni per la radio Europe 1. Tra i suoi libri, Le Pape en privé (2000, tradotto in dieci lingue), Jean Paul II intime (2005, tradotto in otto lingue) e Rosso cardinale (2010). Con Henri Madelin, ha scritto Così è Francesco. Un gesuita in Vaticano (2014). Nonostante avesse già trovato un buon partito per la figlia preferita il duca rispetterà la scelta della ragazza Che entrerà tra le clarisse duchessa di Varano e il fratello minore, poi va in esilio a Venezia. Non ritornerà più al suo convento perché teme rappresaglie in seno alla sua comunità. Cerca allora di rifugiarsi a Fermo, ma la popola- zione locale, terrorizzata all’idea di dover affrontare lo spietato Ce- sare Borgia, la respinge. Suor Bat- tista trova riparo ad Atri, in Abruzzo, dove rimane fino all’ele- zione del nuovo Papa, Giulio II , che le permette di ritornare nella sua città natale. Siamo nel 1503, la famiglia riacquista la sua legittimi- tà e l’unico Varano ancora in vita, Giovanni Maria, viene rimesso a capo del suo ducato. Quanto al Pontefice, aiuterà la religiosa a fondare il monastero delle clarisse di Fermo, nelle Marche della sua infanzia. Ma la donna di carattere, piena di saggezza, vuole portare a termi- ne l’opera della sua vita. Si reca perciò nel vicino monastero di San Severino per seguire con au- sterità, bontà e altrettanta pedago- gia la formazione delle suore pas- sate all’Osservanza. Il 31 maggio 1524 a Camerino, la missione che si era prefissata fin da ragazza sivi saranno per lei più dolorosi. Alessandro VI Bor- gia scomunica il duca di Varano, ufficialmente per ragioni finanziarie. Questo lo priva dei suoi onori e dei diritti signorili e permette all’ambizioso Cesare Borgia, figlio del Papa, di annettere le vaste terre del signore di Camerino allo Stato Pontificio, per ampliarlo. Cupidité oblige : la cupidigia comporta ob- blighi! In un clima di guerra, organizza una terribi- le rivolta, fa imprigionare e poi strangolare il duca di Varano e tre dei suoi figli. Suor Battista, annichi- lita, riesce comunque a fuggire e a proteggere la s’interrompe. Ha 66 anni. La recente canonizzazione di santa Battista Ca- milla da Varano ha rimesso in luce l’ordine fondato nel 1212 da Chiara d’Assisi. Quelle quindicimila monache che vivono in clausura in ogni parte del mondo, in qualche modo, continuano ad accompa- gnare la nostra vita quotidiana, poiché un’usanza radicata suggerisce da secoli di deporre uova presso le clarisse per non far piovere nei giorni di cerimo- nia. Degne eredi di suora Camilla, che fanno anco- ra il bello e il cattivo tempo.

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