donne chiesa mondo - n. 41 - dicembre 2015

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne L’origine femminile del culto delle reliquie Veronica ed Elena di L UCETTA S CARAFFIA R oma riuscì a imporsi come primo centro di pellegrinaggio grazie al fatto che raccoglieva quelle che venivano considera- te le più importanti reliquie della tradizione cristiana: quelle della passione — in gran parte raccolte da Elena e conservate nel Sancta sanctorum lateranense — e il Santo Volto, secondo la leggen- da rimasto miracolosamente impresso sul velo di una donna durante la salita di Gesù al Calvario. Due donne, Elena, la madre di Co- stantino, e Veronica, figura probabilmente immaginaria, hanno così contribuito in modo determinante a fare di Roma il più importante centro di pellegrinaggio cristiano, il cuore del giubileo. I Pontefici puntarono soprattutto sulla rivalutazione di una reli- quia, quella del Volto Santo, di cui si ha notizia in città fin dall’ VIII secolo. La devozione verso questa immagine di provenienza bizanti- na si intensificò soprattutto dopo l’anno mille, grazie a una leggen- da che la identificava con la vera immagine del volto di Gesù rac- colta da una donna, Veronica, che con un panno gli avrebbe asciu- gato il volto durante la salita al Calvario. Benché non suffragata dai vangeli, e nonostante il nome della donna — derivante dall’espres- sione “vera icona” — lasci trasparire con evidenza la sua natura me- taforica, la leggenda fu ben presto considerata veritiera, e a ciò con- tribuì soprattutto il rilievo eccezionale che i Pontefici cominciarono a dare al prezioso telo. All’esposizione tradizionale del venerdì santo si aggiunsero, nel corso del XIII secolo, le ostensioni private a personaggi illustri. Nel 1208 Innocenzo III istituì la solenne processione del Volto Santo, presieduta dallo stesso Pontefice, e nel 1289 Nicolò IV giunse ad af- fermare che la reliquia della Veronica era più importante di quella dell’apostolo Pietro. La sua riproduzione su quadrati di stoffa e su piombo divenne il segno che i pellegrini si cucivano addosso per provare l’avvenuto viaggio a Roma. Si hanno poche riproduzioni attendibili di questa immagine, che sembrerebbe di stile bizantino e non pare presentare alcun segno del- la Passione, in contraddizione con la leggenda. L’esistenza di copie della Veronica troppo diverse tra loro, la notizia di una sparizione della preziosa reliquia durante il sacco di Roma del 1527, possono spiegare perché la Chiesa di Roma abbia tacitamente accettato, con il trascorrere del tempo, il progressivo calo di interesse intorno a questa immagine, a differenza della Sindone ora conservata a Torino. Del resto, già nell’edizione del Martirologio romano — pubblicata nel 1583 per incarico di Gregorio XIII da una commissione di cui aveva fatto parte Cesare Baronio che ne compilò poi le note stori- che — non è menzionata santa Veronica. A partire dal pontificato di Urbano VIII vennero proibite le copie di questa immagine, e anzi Papa Barberini ordinò nel 1629 che tutte le copie esistenti venissero bruciate. Anche se la disposizione non fu completamente eseguita, il provvedimento papale contribuì senza dubbio alla decadenza di questa devozione. Ma, al momento dell’indizione del primo giubileo, nell’anno 1300, la devozione per il telo era molto sentita e i pellegrini, come scrive Dante nel XXXI canto del Paradiso , arrivavano trepidanti al suo cospetto pensando di scorgere le vere sembianze divine: «Se- gnor mio Gesù cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vo- stra?». Il Volto santo costituì quindi, almeno fino al XVI secolo, l’at- trazione principale per il pellegrino che si recava a Roma per il giu- bileo, e la sua presenza significava di fatto un inserimento simbolico di carattere femminile all’interno di un percorso devozionale di tipo maschile: i pellegrini venivano a Roma per pregare sulle tombe de- gli apostoli, ad limina apostolorum , e per vedere il Pontefice. Un’altra meta concreta del pellegrinaggio a Roma era costituita dai resti degli strumenti della Passione, soprattutto della croce, secondo la leggenda ritrovati, e riconosciuti, da sant’Elena e portati da lei stessa a Roma, dove fece costruire, per custodirli, la basilica Sessoria- na di Santa Croce in Gerusalemme sulle fondamenta di un suo pa- lazzo. Insieme con le reliquie della Passione di Cristo riunite nella cappella di san Lorenzo in Laterano, cioè il Sancta sanctorum, e con la culla di Gesù, conservata nella basilica di Santa Maria Maggiore, essa costituisce la più importante raccolta di reliquie di Cristo. La madre dell’imperatore aveva compiuto il suo pellegrinaggio in età avanzata, come scrive il contemporaneo Eusebio di Cesarea nel De vita Constantini : «L’anziana donna venne in Terrasanta a visitare con premura veramente imperiale le province orientali e tutte le po- polazioni che le abitano». La diffusione della leggenda di Elena, che avrebbe ritrovato la croce di Cristo a Gerusalemme, risale pro- babilmente alla fine del IV secolo, come prova il fatto che la pelle- grina Egeria, recatasi in Terrasanta tra il 381 e il 384, pur annotando la festa per il ritrovamento della croce, non fa menzione di Elena mentre nel 395, tenendo il discorso funebre per l’imperatore Teodo- sio, sant’Ambrogio connette esplicitamente il ritrovamento delle reli- quie della Passione di Cristo alla madre di Costantino. Due donne, dunque, Elena e Veronica — e che quest’ultima fosse una figura immaginaria qui poco importa, perché ciò che interessa è il simbolo femminile — stanno quindi all’origine di quella “materiali- tà” del sacro che contraddistingue il cristianesimo prima, il cattolice- simo poi, e forniscono un supporto indispensabile, perché comprensi- bile e accettato da tutti, per la trasformazione di Roma in un forte polo di attrazione del pellegrinaggio. La concorrenza con gli antichi santuari o con i nuovi poli devozionali viene infatti vinta da Roma non solo grazie all’oculata politica delle indulgenze organizzata intor- no alle scadenze giubilari, ma soprattutto grazie alla presenza di que- ste straordinarie reliquie, tutte nate dalla creatività femminile. Le due grandi statue di Elena con la croce e Veronica con il telo che si impongono alla vista dei visitatori intorno all’altare maggiore della basilica di San Pietro sono un omaggio al loro contributo. Donna dalla parola sconcertante e misteriosa La beata Maria Clementina Anuarite Nengapeta raccontata da Rita Mboshu Kongo L a beata suor Maria Clementina Anuarite Nengapeta nacque nel 1939 da genitori pagani alla pe- riferia di Wamba nella Repub- blica Democratica del Congo. Battezzata insieme alla madre e alle sorel- le, sin da piccola sapeva bene quello che voleva: un giorno, alle elementari, durante la ricreazione si avvicinò alla maestra e le disse: «Voglio il lavoro di Dio». Detto fat- to: questo lavoro non solo l’ha compiuto, ma l’ha portato avanti sino alla fine, dan- do la sua vita per Cristo. Come tutte le ragazze africane, Anuarite era strettamente legata alla sua famiglia ed era avida di fecondità: la maternità, infat- ti, ha un posto predominante nella cultura africana. Una maternità anche spirituale: sentendosi chiamata da Cristo nel cammi- no di celibato, Anuarite rispose «sì». Di- venendo così, una volta concluse le scuole superiori, religiosa nella congregazione belga delle suore della Sacra Famiglia, do- ve svolse diverse mansioni. Fu maestra di scuola, sagrestana e aiuto cuoca. Il dramma si consumò a partire dal 29 novembre 1964, quando — insieme con al- tre consorelle — Anuarite fu catturata dai ribelli Simba. Trasportata su un camion a Isiro, nella notte del 1º dicembre verrà tru- cidata pur di non tradire la propria voca- zione. Quando infatti il capitano Olombe pretese dalla madre generale di avere per sé «una bella ragazza» e la scelta cadde su suor Anuarite, la giovane religiosa non ebbe dubbi. «Non voglio, non voglio — gridò lei — scelgo piuttosto la morte che essere sua». Per tutta risposta, l’uomo di- venne una furia: pugni, schiaffi, percosse lungo tutto il corpo. E alla fine, impugna- ta una pistola, la uccise. Maria Clementi- na Anuarite Nengapeta è stata beatificata da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1985, du- rante il suo viaggio apostolico in Africa. Anuarite è un esempio per tutti: per i cristiani, per i non cristiani e per i gover- nanti nella sua capacità di restare sempre fedele ai suoi impegni, sino al martirio. Nella terribile preoccupazione di vedere intaccata la sua purezza, davanti alla mi- naccia della sua stessa vita, trova in Gesù, suo Sposo, la forza di dire con lui: «Ora l’anima mia è turbata». Inoltre, per difen- dere la superiora, minacciata di morte a causa del suo rifiuto, Anuarite si rivolge ai soldati con queste parole: «Uccidete sol- tanto me». E poi, raggiunta dai colpi mortali, aggiunge: «Vi perdono, perché non sapete quello che fate. È così che ho voluto, è così che ho voluto!». Anuarite è una donna dalla parola scon- certante e misteriosa. Appartiene alla grande schiera delle donne africane che si sono rivelate testimoni, educatrici, maestre di vita e portatrici della cultura locale. Come tante altre ragazze congolesi, è stata educata secondo lo spirito più puro del suo popolo, non ha lasciato che chiunque attingesse sfrontatamente piacere dalla sua carne. Alcuni scherzano sull’Africa nera proclamando ai quattro venti che l’unica cosa vergine e pura è la foresta equatoria- le. Ciò significa conoscere ben poco la no- stra Africa. Anuarite e la sua storia raccontano che la verginità prematrimoniale deve essere ri- spettata perché è un valore quasi assoluto. E una garanzia per l’accrescimento della fe- condità, della felicità nel matrimonio e di ogni chiamata. Il martirio di questa giova- ne religiosa ci invita a lottare contro il tri- balismo, l’etnicismo, il regionalismo e tutte le divisioni che ogni giorno mettono a ferro e fuoco il mondo. Nel suo ambiente, suor Anuarite era portatrice di perdono, di pace e di comunione. Ed è proprio nel contesto della vita di tutti i giorni che ella imparò a santificarsi, donandosi interamente al Si- gnore nell’umile servizio ai fratelli. Ha fat- to cose ordinarie con un amore straordina- rio per Gesù Cristo e per l’umanità. Seppur radicata in una cultura che attri- buisce grande importanza alla comunione clanica e tribale, Anuarite ha saputo anda- re al di là di questo genere di comunione, superando ogni discriminazione. La sua spiritualità è una spiritualità della comu- nione, dell’«essere con». Una spiritualità che si apre alla reciproca trasparenza del sensibile e dello spirituale. Teologa congolese nata nel 1966 a Luebo, Rita Mboshu Kongo fa parte delle Figlie di Maria Santissima Corredentrice. Dopo gli studi in medicina all’università di Kinshasa, ha preso a Roma la licenza in teologia spirituale e il dottorato presso il Pontificio istituto di spiritualità Teresianum. Insegna nella Pontificia università Urbaniana e fa parte della redazione di «donne chiesa mondo». Seppur radicata in una cultura che attribuisce grande importanza alla comunione clanica e tribale Anuarite ha saputo andare al di là di questo genere di comunione Superando ogni discriminazione Ivo Dulcić, «Cristo e la Veronica» (1975)

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