donne chiesa mondo - n. 41 - dicembre 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano dicembre 2015 numero 41 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: R ITANNA A RMENI , C ATHERINE A UBIN , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , per abbonamenti: info@ossrom.va ) Viscere di misericordia Dalla tenerezza di Dio nell’Antico Testamento agli episodi del Vangelo in cui Gesù abbraccia e perdona i peccatori di A NNA F OA I l primo giubileo della storia della cri- stianità fu quello del 1300, bandito com’è noto da papa Bonifacio VIII . Un enorme afflusso di pellegrini rag- giunse Roma, tanto che la città, priva di strutture di accoglienza, di locande, di al- berghi, non riusciva ad accoglierli. L’affolla- mento era tale che, come ricorda Dante nel XVIII canto dell’Inferno, fu introdotta la cir- colazione alternata per attraversare Ponte Sant’Angelo. Nei secoli successivi sarà ancora peggio, e i pellegrini appartenenti a confra- ternite diverse si scontreranno a mano armata sul ponte per avere il diritto di precedenza. Fu in occasione del giubileo del 1300 che i romani si improvvisarono albergatori tramu- tando le loro case in locande, un uso che sa- rebbe continuato a lungo, fino a oggi. In quest’opera di accoglienza, le donne svolsero un ruolo fondamentale sia allora, nel primo giubileo, che in quelli successivi. Meno nu- merose degli uomini nel ruolo di pellegrine — dati i rischi e le difficoltà di lunghi percor- si a piedi attraverso luoghi sconosciuti e gra- vidi di pericoli non solo per la loro borsa ma anche per la loro castità — le donne seppero invece, a Roma, farsi albergatrici, ostesse, in- fermiere e alleviare le fatiche dei pellegrini con cibi, bevande, stanze calde e letti confor- tevoli. Sovente, se non nella realtà almeno nei timori delle autorità cittadine, fra tutte queste donne albergatrici potevano nascon- dersi anche prostitute, e le autorità diffidava- no delle locande senza insegna e cercavano, invano, di controllarle e di scoraggiarle. Fino al Cinquecento inoltrato il giubileo rappresentò un vero e proprio affare per gli albergatori, dal momento che l’accoglienza era a pagamento e che i pellegrini dovevano restare a Roma almeno quindici giorni per compiere ripetute visite alle basiliche per po- ter lucrare l’indulgenza plenaria. Quindici giorni in cui dovevano pur dormire e man- giare. Ma a partire dalla metà del Cinque- cento, in clima di crescente disciplinamento religioso, l’aspetto mercenario dell’accoglien- za nel corso del giubileo si attenua fortemen- te perché alla rete di ostelli e alberghi più o meno improvvisati si sostituisce la rete di ospedali e confraternite che svolgono il loro ruolo di assistenza gratuitamente, come do- vere religioso. Il pellegrinaggio assume un crescente ca- rattere di gruppo, diminuiscono i pellegrini isolati, cresce il ruolo delle confraternite lai- che. Il ruolo delle donne è anche qui molto importante, in particolare quello delle donne dei ceti superiori, aristocratiche e alto bor- ghesi, che si prodigano nell’accoglienza, lava- no i piedi dei pellegrini, li servono a tavola. Sono loro le responsabili dell’organizzazione dell’accoglienza, raccolgono fondi, finanzia- no gli ospizi e gli ospedali. Ma vediamo di seguire un po’ più da vici- no questo percorso. Se il giubileo del 1300 è caratterizzato dal fiorire di alberghi e locan- de, un po’ come i bed and breakfast di oggi, anche in quelli successivi il problema di co- me alloggiare, nutrire e assistere un numero tanto alto di pellegrini restò aperto. In parti- colare nell’importante giubileo del 1450, che sembrò segnare la fine della decadenza di Roma dopo la cattività avignonese e il gran- de scisma e dare inizio alla grande stagione urbanistica che ne avrebbe mutato l’aspetto, Roma attrasse un numero incredibile di pel- legrini, tanto che vi si contavano 1022 locan- de ufficiali, cioè munite di regolare insegna, e molte altre non ufficiali, cioè case trasfor- mate in ostelli. Il problema dell’ospitalità da dare ai pellegrini era uno dei più assillanti tra quelli che caratterizzarono quell’anno santo: molti dormivano all’addiaccio, e per quanto cresciute di numero, locande e ostelli non bastavano alla bisogna. Nel giubileo del 1500 giocò un ruolo im- portante nell’organizzare l’accoglienza Van- nozza Caetani, l’amante del cardinal Rodrigo Borgia assunto nel 1492 al soglio pontificio, madre dei suoi quattro figli. Quando cessò di essere la favorita di Alessandro VI , Vannozza si trasformò in un’abile donna d’affari e di- venne fra l’altro albergatrice, approfittando della circostanza del giubileo per prendere la gestione di ben cinque locande, tra cui quella della Vacca, una delle migliori della città, do- ve pare che, oltre a vitto e alloggio, venissero offerte ai pellegrini anche cortigiane e prosti- tute. In questo caso, ci avrebbe pensato l’in- dulgenza plenaria da lucrare nei giorni suc- cessivi a cancellare ogni loro peccato. Il mo- dello comportamentale seguito dall’ex favori- ta del papa è quello delle popolane romane, ma praticato a un livello superiore. Vannozza investe, guadagna, allarga i suoi affari con l’anno santo, approfittando anche dello sguardo di favore che comunque le autorità non potevano non avere per colei che restava la madre dei figli del pontefice. Non è esente infatti dal sospetto di usura e, come abbiamo visto, di lenocinio. È verso la metà del Cinquecento, nel clima di rinnovato fervore devozionale, che l’acco- glienza di pellegrini diviene anche e soprat- tutto una forma superiore di pietà religiosa. Le confraternite, in fiorente crescita, si attrez- zano per accogliere gratuitamente i pellegri- ni. San Filippo Neri fonda nel 1548 l’arcicon- fraternita della Santa Trinità dei pellegrini. Nell’ospizio della Santa Trinità, come in quelli delle confraternite, uomini e donne so- no accolti separatamente. Aumenta il numero delle pellegrine, forse non tanto basso fin dall’inizio come si suole pensare, dal momen- to che abbiamo testimonianze che ci rivelano una presenza femminile notevole. Ma è nell’assistenza che il ruolo femminile diventa davvero dominante. Nasce l’icono- grafia della Pietà romana, una donna procace che allatta un vecchio, che ritroviamo in tan- ta pittura del tempo, da Caravaggio a Ru- bens, in un simbolismo tutto barocco. Il ruo- lo femminile si esplica soprattutto a livello degli strati sociali superiori, nel coinvolgi- mento delle donne della nobiltà nell’opera delle confraternite e nell’assistenza. Vestite lussuosamente, le nobildonne romane servono i pellegrini a tavola e lavano loro i piedi, impolverati dal lungo cammino. Suc- cesse anche che fra queste dame talvolta riu- scisse a infiltrarsi qualche cortigiana di alto livello, per svolgere anche lei il compito, gra- tificante e onorevole, di accudire e sollevare i pellegrini. A questa sorta di cerimonia di purificazio- ne, in cui il lusso più sfrenato si accostava al- la miseria, le sete colorate agli abiti logori e sobri dei pellegrini, partecipò nel giubileo del 1675 anche Cristina, la regina di Svezia convertita al cattolicesimo e trasferitasi a Ro- ma. Personaggio assai fuori dal comune, Cri- stina pretendeva un ruolo primario non sol- tanto nell’assistenza ma addirittura nella ge- stione del giubileo. Era la regina di Roma, o almeno come tale veniva percepita dai roma- ni. Nella cerimonia di apertura della Porta Santa, contro ogni etichetta, la sua voce un po’ roca e mascolina si levò alta a rimprove- rare dei gentiluomini protestanti inglesi che non si erano inginocchiati. Tutti la sentirono, compreso il papa, ma tutti fecero finta di niente. Anche la carità dell’accoglienza si era, con lei, ma anche con altri personaggi fem- minili del tempo, trasformata in un teatro ba- rocco, con l’apparente scopo di esser d’esem- pio e quello nemmeno troppo nascosto di brillare al di sopra degli altri, e soprattutto delle altre donne. L’era delle donne albergatrici e quella del- le dame caritatevoli che si prodigano nell’ac- coglienza finisce con la modernità, la crisi della Chiesa nel Settecento, la fine del potere temporale dei papi. Uomini e donne esercite- ranno gli uni accanto alle altre il compito re- ligioso del pellegrinaggio dell’anno santo. La rete delle parrocchie, delle confraternite, del- le istituzioni religiose sostituirà — anche se non completamente — quella medioevale del- le case trasformate in ostelli. Le prostitute, chiuse nei bordelli fino ad anni abbastanza recenti, non si infiltreranno più, vestite sfar- zosamente, fra le nobildonne intente ad eser- citare la carità cristiana. Difficile, ormai, con- fonderle. Il pellegrinaggio, da momento rischioso di passaggio di una soglia, si trasforma in un viaggio, nemmeno più a piedi come nei seco- li del medioevo e della prima età moderna, ma in treno, in pullman, munito di qualche comodità. Le donne sono ancora albergatri- ci? Forse sì, ma come proprietarie o impiega- te delle agenzie immobiliari, senza mescolare la pietà religiosa alla volontà di guadagno e alla mondanità. La favola La colomba e la formica Molti di noi sono cresciuti in mezzo agli animali parlanti — e tremendamente umani — narrati dallo scrittore e poeta francese Jean de La Fontaine (1611-1695), così abile, e conciso, nel descrivere le tentazioni del potere, i vizi umani, i difetti, ma anche i pregi o le sorprendenti doti di altruismo, fantasia e ironia. In La colomba e la formica , ad esempio, è centrale il concetto di misericordia. Che salva, e da cui si viene salvati. La colomba (nella traduzione di Emilio De Marchi) «bevea nell’acque limpide d’un ruscello, quand’ecco vi precipita una formica. Invan cerca la misera di trarsi fuori da quel vasto oceano, quando, tocca da gran misericordia, la colomba un fil d’erba le gettò, e fu per la formica un promontorio. (…) In quel mentre di là passa uno zotico villano a piedi nudi, che di Venere vedendo il sacro uccel, tosto d’ucciderlo con una sua balestra meditò. E già la mira, e nel suo cor già sembragli d’averla bella e cotta nella pentola. Ma in quel momento sul tallon la piccola avveduta formica il morsicò. Mentre indietro a guardar egli volgeasi, la colomba ebbe tempo di fuggirsene. E la cena così fuor della pentola col piccione nell’aria svaporò». Esempio di misericordia, poetica, forse al femminile. ( @GiuliGaleotti ) Il film Sette opere di misericordia L’immigrata clandestina Luminita (Olimpia Melinte) sopravvive grazie a borseggi ai danni di persone in difficoltà almeno quanto lei. E per ottenere dei documenti falsi arriva addirittura a sequestrare un anziano malato (Roberto Herlitzka). Ma l’incontro fra i due aprirà forse un inaspettato spiraglio di umanità. Sette opere di misericordia (2012) dei fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio si situa a metà fra il cinema dei fratelli Dardenne, per lo stile e l’attenzione ai temi sociali, e quello di Pasolini, per il modo di inquadrare il sottoproletariato all’interno di categorie cristiane. L’operazione è azzardata: confermare la necessità della misericordia attraverso la sua provocatoria negazione. I capitoli del film sono infatti scanditi dai nomi delle sette misericordie corporali, ma ciò che vediamo sullo schermo sistematicamente le contraddice. E il fatto che una donna sia protagonista di certe azioni rende la provocazione ancora più forte. Il discorso rischia in più momenti di diventare astratto e programmatico, salvo poi trovare la necessaria concretezza nel barlume di una catarsi finale. ( emilio ranzato ). S UOR Z ENAIDE E SUOR V ANDERLEIA AD H AITI La comunità religiosa inter-congregazionale di Haiti riceverà altre due missionarie brasiliane: suor Zenaide Laurentina Mayer della Congregazione delle Suore Francescane di San Giuseppe e suor Vanderleia Correa de Melo della Congregazione delle Suore Francescane di Cristo Re. Dal terremoto che ha colpito Haiti nel gennaio 2010, la Conferenza dei Religiosi del Brasile ha preso l’iniziativa di inviare missionari nel Paese per aiutare la popolazione locale così duramente provata. «La messe è molta e gli operai sono pochi. La vita delle persone ha senso solo quando ti dai alle grandi cause e questa missione è una di esse» ha detto suor Vanderleia, che ha alle spalle diciassette anni di vita consacrata, di cui sei trascorsi lavorando in insediamenti di fattorie ( fazendas ) e nella pastorale dei bambini della città di Cocalinho. Il fatto che tanti religiosi abbiano voluto partire in missione verso Haiti è stato, secondo la suora, il grande incentivo perché anche lei dicesse sì. «Questo è un momento opportuno per me», ha aggiunto. Laureata in belle arti e pedagogia, a partire dal marzo 2016 suor Vanderleia assumerà la responsabilità di progetti legati ai bambini, ai giovani, alla formazione e all’alfabetizzazione. Dal canto suo, invece suor Zenaide, laureata in psicologia, psicologia dell’educazione e teologia, lavora come psicologa e psicopedagogista nell’ambito sociale aiutando famiglie, adulti, giovani, bambini con difficoltà di apprendimento, nella sfera relazionale. «Sono sempre stata occupata in questo settore con i poveri», ha commentato raggiungendo l’isola caraibica. C RISTIANE CONTRO LA VIOLENZA DOMESTICA IN S IRIA Nel quadro del progetto intitolato “La mia dignità”, l’Associazione delle giovani donne cristiane (Ywca, acronimo di Young Women Christian Association) di Giordania ha redatto una Guida alla protezione dalla violenza domestica. Lo scopo del manuale — a cui ha dato un sostanziale contributo l’avvocato Mona Makhamreh, nota attivista dei diritti umani — è quello di fornire una metodologia per affrontare gli episodi di violenza domestica, applicando anche ai singoli casi specifici le disposizioni legislative che proteggono le categorie fisicamente più deboli, come minori, donne e persone con disabilità. Il manuale, rivolto in particolare ai formatori, contiene dati ed elementi di natura giuridica. La Ywca è un’organizzazione non governativa, fondata in Giordania nel 1950 e branca locale della Ywca mondiale con sede a Ginevra, che si propone di aiutare le donne e di tutelare i loro diritti da ogni discriminazione di natura razziale, sociale e religiosa. B ASTA ALLE SPOSE BAMBINE IN G UATEMALA Il Guatemala ha finalmente approvato una modifica al suo codice civile che pone come età minima per contrarre matrimonio il compimento dei diciotto anni sia per le ragazze che per i ragazzi. Dal 2009 al 2013 più di 80 mila bambine sotto i diciotto anni sono state costrette a sposarsi con uomini che avevano, nella maggior parte dei casi, il triplo della loro età. La nuova legge è stata resa possibile grazie alle trattative durate tre anni portate avanti da Plan International con la sua Campagna mondiale Because I am a Girl , in collaborazione con alcune organizzazioni civili a favore dei diritti delle bambine. Per raggiungere questo importante risultato è stata necessaria un’ampia mobilitazione sia sociale che politica. La nuova legge proteggerà le bambine da abusi sessuali, gravidanze precoci, violenze fisiche e psicologiche: finalmente potranno continuare la loro istruzione ed esprimere pienamente il loro potenziale. Ovviamente il lavoro è appena iniziato: ora si tratterà di diffondere la legge nelle comunità locali, in particolare in quelle rurali dove le tradizioni e le culture spingono ancora per i matrimoni precoci. Plan International Italia sostiene la campagna Because I am a Girl con due progetti: uno a San Pedro Carcha in Guatemala per la scolarizzazione delle bambine e il secondo a Mansa in Zambia per l’introduzione nel mondo del lavoro di seicento ex spose bambine. M ORTALITÀ MATERNA DIMEZZATA MA RESTA DA FARE Negli ultimi venticinque anni la mortalità materna nel mondo si è quasi dimezzata, ma solo nove Paesi hanno raggiunto gli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite: lo attesta il rapporto diffuso dalle agenzie dell’Onu. Entro la fine del 2015, infatti, la mortalità materna sarà diminuita del 44 per cento rispetto ai livelli del 1990. Questo enorme (e lento) progresso è però distribuito in modo diseguale: il 99 per cento dei decessi è infatti stato registrato nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo era di ridurli del 75 per cento, ma solo Bhutan, Capo Verde, Cambogia, Iran, Laos, Maldive, Mongolia, Rwanda e Timor Est lo hanno raggiunto. Altri 39 hanno invece registrato progressi definiti “importanti”. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista britannica «The Lancet», nel 2015 sono state 303 mila le donne morte per complicazioni durante la gravidanza o il parto o nelle prime sei settimane dopo il parto contro i 532 mila decessi registrati nel 1990. A oggi si stima siano 216 i decessi ogni centomila nascite, contro i 385 del 1990. I progressi più marcati sono stati registrati nell’Asia orientale, con un calo del 72 per cento della mortalità materna. La regione del globo dove la situazione è più drammatica resta l’Africa sub-sahariana: qui è stato registrato il 66 per cento dei casi. Si tratta cioè di due decessi su tre nel mondo. Anche qui, però, v’è stato un passo avanti: la regione ha infatti registrato quasi il quarantacinque per cento in meno di decessi negli ultimi venticinque anni, passando da 987 decessi ogni centomila nascite a 546. Insomma, molto è stato fatto ma ancora molto resta da fare per centrare il nuovo obiettivo fissato lo scorso settembre dalle Nazioni Unite per il 2030: raggiungere un rapporto di settanta decessi ogni centomila nascite. P REMIATA LA NOSTRA COLLEGA D OROTA S WAT C’è una fotografia che ritrae la cerimonia solenne svoltati il 9 novembre all’ambasciata polacca presso la Santa Sede dove il presidente della Repubblica del Paese, Andrzej Duda, ha insignito dell’Ordine della Polonia restituta, una delle più prestigiose onorificenze polacche, diversi suoi connazionali che lavorano in Vaticano. Ebbene, accanto ai tanti uomini premiati — il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i laici, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, e cinque sacerdoti, tra cui il postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II , monsignor Sławomir Oder — vi è anche una donna, la nostra collega dell’edizione mensile in lingua polacca e collaboratrice di «donne chiesa mondo», Dorota Swat. L’Ordine della Polonia restituta (in polacco Order Odrodzenia Polski , in italiano Ordine della Polonia rinata) viene conferito per il conseguimento di importanti risultati nell’ambito di educazione, scienza, sport, cultura, arte, economia, difesa della nazione, impegno sociale, servizio civile o relazioni internazionali. Creato il 4 febbraio 1921, il riconoscimento viene assegnato sia a civili che a militari, comprese personalità straniere. Il saggio Le porte del cielo Rendendola avvincente come un giallo, in Le porte del cielo. I giubilei e la misericordia (il Mulino, 2015) Lucetta Scaraffia ripercorre la storia del giubileo che — di origini antichissime — è diventato pratica della Chiesa con Bonifacio VIII , quando si avvertì l’esigenza di un periodo di purificazione nel corso del quale, con preghiere e offerte, conquistare la salvezza eterna. Tra peccati e Papi, autenticità e bramosia, invenzioni felici (come quella della Porta Santa) e turismo lucroso, reliquie e senso della confessione, misericordia e angoscia moderna, il saggio finisce per essere anche uno specchio della storia della Chiesa e dei suoi fedeli nei secoli. Tra gli altri, spicca il capitolo dedicato alla presenza e alla partecipazione femminile negli anni santi: perché, come scrive Scaraffia, «il giubileo non ha significato la stessa cosa per le donne e per gli uomini». Una costante importante, e troppo spesso dimenticata, nella storia del cristianesimo. ( @GiuliGaleotti ) La storia inizia con una donna senza nome che entra nella casa di Simone il fariseo piangendo sconsolata E si conclude con una donna perdonata che esce con un cuore florido e traboccante di pace Dopo un incontro che le ha ridato la vita L’atteggiamento del Figlio di Dio è sempre profondamente umano e liberante Spezza tabù infrange frontiere, smonta pregiudizi relativizza leggi E smaschera l’ingiustizia Guidoccio Cozzarelli, Santa Caterina da Siena scambia il cuore con quello di Gesù (1450-1517) Albergatrici e cortigiane Donne nei giubilei tra medioevo ed età moderna A partire dalla metà del Cinquecento agli ostelli più o meno improvvisati si sostituisce una rete di ospedali e confraternite che svolgono gratuitamente il loro ruolo di assistenza In questa attività caritativa si impegnano anche nobildonne vestite lussuosamente che servono gli ospiti a tavola E lavano loro i piedi impolverati dal lungo cammino di N URIA C ALDUCH -B ENAGES «C hi misericordia ha, mise- ricordia trova» recita il proverbio. In solo cinque parole la saggezza popo- lare ha condensato un te- ma di grande attualità nella Chiesa, un tema che sta a cuore a Papa Francesco. Secondo il dizionario della lingua italiana Zingarelli, la misericordia è «un sentimento che induce alla comprensione, alla pietà e al perdono verso chi soffre o chi sbaglia». Così in italiano si utilizzano le seguenti espressioni: avere o sentire misericordia per qualcuno, per il suo stato o le sue sofferenze, usare miseri- cordia a qualcuno, fare una cosa per miseri- cordia, oppure agire senza misericordia. Nella Bibbia il concetto di misericordia è collegato con diversi vocaboli, ciascuno dei quali ha un significato proprio con diverse sfumature. Nel linguaggio biblico, dunque, misericordia ha un significato molto ricco che va oltre la nozione di una semplice azione compassionevole. Per quanto riguarda la lingua ebraica, il pri- mo termine da considerare è rèhem , sostantivo maschile singolare che indica in origine il seno materno, il luogo da dove proviene la vita. Lo stesso sostantivo al plurale, rahamîm , designa propriamente le viscere, e in senso traslato è usato per esprimere l’attaccamento istintivo di un essere a un altro. Nell’antropologia semiti- ca questo sentimento intimo e profondo di amore e di compassione è localizzato nelle vi- scere, nel grembo materno e nell’utero. Si ca- pisce allora che l’archetipo della misericordia sia l’istinto materno. Ecco le parole che Dio rivolge alla città di Gerusalemme in Isaia , 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno?». Per (letterale: ha sconvolto le mie viscere)» ( Canti- co , 5,4). Il secondo termine con cui l’Antico Testa- mento indica la misericordia è hèsed (e deriva- ti). Anche se il suo significato fondamentale è quello di bontà, può essere tradotto con pietà, compassione o solidarietà. Secondo il gesuita teologo francese Xavier Léon-Dufour, il so- stantivo hèsed «designa per sé la pietà, relazio- ne che unisce due esseri e implica fedeltà. Per tale fatto la misericordia riceve una base soli- da: non è più soltanto l’eco di un istinto di bontà, che può ingannarsi circa il suo oggetto e la sua natura, ma una bontà cosciente, volu- ta; è anche risposta a un dovere interiore, fe- deltà a se stesso». Per quanto riguarda i termini greci, il Nuo- vo Testamento adotta il linguaggio dei Settan- ta, che fondamentalmente riflette i concetti dell’originale ebraico. Il termine greco più fre- quente è èleos , che può essere tradotto con compassione, misericordia, bontà, pena o pie- tà. Lo segue il sostantivo oiktirmòs , di uso più limitato, che sottolinea l’aspetto esterno della compassione in quanto si traduce in dolore, compianto e commiserazione. Vanno segnalati, infine, il sostantivo splànchna , che letteralmen- te equivale all’ebraico rahamîm — viscere, parti interne — e il verbo splanchnìzomai (provare commozione, avere misericordia, sentire com- passione), che nel Vangelo, oltre alle parabole lucane della misericordia, è utilizzato per de- scrivere la reazione di Gesù di fronte alla ma- lattia e alla sofferenza altrui. La misericordia di Dio si manifesta in ogni pagina dell’Antico Testamento, ma in modo splendido è espressa in Esodo , 34,5-7 conside- rato dagli studiosi la miglior definizione di Jahvé di tutto l’Antico Testamento: «Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, si manifesta sempre disponibile al perdono. Intendiamoci bene, non si tratta di sottovalu- tare oppure di relativizzare il peccato. Anzi questo va sempre e comunque punito. In altre parole, in Esodo , 34,5-7 l’accento non è posto sul castigo di Dio, ma sulla sua sovrabbon- dante misericordia. Mentre il suo castigo si estende soltanto fino alla terza e quarta gene- razione, la bontà del suo amore non ha limiti, e si estende per mille generazioni. La misericordia di Dio si rivela in tutto il suo splendore nella figura di Gesù di Nazaret. «Immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura» ( Colossesi , 1,15), Gesù è il volto della misericordia divina. Le sue parole, ma soprattutto la sua vita e le sue opere ne danno testimonianza. Infatti, durante la sua vita pubblica Gesù ha sempre mostrato una grande attenzione verso coloro che soffrono di qualsiasi genere di afflizione. Sensibile a ogni forma o espressione di dolore, ascolta, proteg- ge, guarisce e perdona tutti. Gesù si rivela co- me medico dei corpi ma soprattutto delle ani- me ( Marco , 2,17; Luca , 5,31). Lo dimostra il suo atteggiamento compassionevole e miseri- cordioso con i peccatori, che trovano in lui un amico ( Luca , 7,34) sempre disposto a sedere a tavola con loro ( Luca , 5,27.30; 15,1; 19,5-7). Nei vangeli vediamo spesso Gesù profonda- mente commosso di fronte alla miseria e soffe- renza umana. Come non ricordare, per esem- pio, la commozione interiore di Gesù dinanzi al pianto della vedova di Naim per la perdita del suo unico figlio? Dice l’evangelista Luca: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione ( splanchnìzomai ) per lei e le disse: “Non piangere!”» ( Luca , 7,13). Lo stesso senti- mento prova di fronte ai due ciechi seduti lun- go la strada ( Matteo , 20,34), al lebbroso emar- ginato ( Marco , 1,41) o di fronte alle folle stan- che, sfinite e affamate che ai suoi occhi ap- paiono come pecore senza pastore ( Matteo , 9,36; 14,14; 15,32; Marco , 6,34; 8,2). In tutti questi testi gli evangelisti descrivo- no lo stato d’animo di Gesù con il verbo splanchnìzomai , che in italiano si suole tradurre con “commuoversi interiormente”. Come ac- cennato, tale verbo appartiene al campo se- mantico di splànchna , viscere, e quindi denota una commozione viscerale provocata dalla vi- sta del dolore altrui. Gesù non resta indiffe- rente dinanzi alla fragilità degli ammalati e di- venta solidale con il loro dolore. Offrendo lo- ro la sua misericordia, i sofferenti ricuperano la dignità, la salute, la vita, la gioia e la spe- esprimere la tenerezza di Dio il profeta usa anche questa espressione: «Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo predi- letto? Infatti, dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza» ( Geremia , 31,20). Sentimenti come la commozione, la pena, l’angoscia abitano nelle viscere dell’essere umano. Quando Giuseppe vide suo fratello Beniamino, «uscì in fretta, perché si era com- mosso nell’intimo (letterale: nelle sue viscere) alla presenza di suo fratello e sentiva il biso- gno di piangere» ( Genesi , 43,30). Dice la sposa nel Cantico : «Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolto Questi versetti contengono una formula teo- logica che suona ai nostri orecchi come una professione di fede. In essa il Dio di Israele proclama due volte il proprio nome, seguito dai suoi attributi, presentandosi anzitutto co- me un Dio misericordioso e fedele. Questa formula è ripresa, in tutto o in parte, in vari altri testi dell’Antico Testamento ( Gioele , 2,13; Giobbe , 4,2; Salmi , 86,15; 103,8; 145,8; Neemia , 9,17), nonché nella forma riassuntiva “ricco di misericordia” in Efesini , 2,4. L’autodefinizione del Signore, se così si può chiamare, mette in rilievo lo stretto rap- porto che unisce Dio alla sua creatura; un rapporto segnato dalla bontà e tenerezza divi- ne nei confronti dell’essere umano. Tanto è vero che di fronte alle mancanze umane, Dio il Signore, Dio miseri- cordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazio- ne”». ranza. Vista in questo modo, la misericordia si presenta come «esperienza fondatrice di una nuova creazione». Gesù sconcerta. Sconcertano le sue parole, i suoi gesti, i suoi silenzi; parole, gesti e silenzi che usano un linguaggio inclusivo, il linguag- gio della misericordia. Con esso Gesù accoglie gli emarginati della società, quelli che vivono alla periferia perché non hanno posto nella città, quelli che nessuno vede e ascolta, poiché non hanno né volto né voce, i mendicanti per necessità, poiché non hanno diritti, i piccoli, gli ammalati, le donne, tra cui la “pubblica peccatrice” o “la donna del profumo”, come a me piace chiamarla ( Luca , 7,36-50). La storia inizia con una donna senza nome che entra nella casa di Simone il fariseo pian- gendo sconsolata, e si conclude con una don- na perdonata che lascia il racconto con un cuore florido e traboccante di pace. L’incontro con Gesù misericordioso le ha ridato la vita. L’atteggiamento misericordioso di Gesù è profondamente umano e liberante: da un lato spezza tabù, infrange frontiere, smonta pre- giudizi, relativizza leggi, smaschera l’ingiusti- zia; dall’altro genera vicinanza, relazione, dia- logo, intimità e promuove l’incontro interper- sonale autentico. Incontrarsi con Gesù è sem- pre un punto di partenza, una finestra aperta al futuro, uno stimolo di speranza, uno sguar- do di misericordia. Matthius Meyvogel, «Caritas Romana» (1628)

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