donne chiesa mondo - n. 36 - giugno 2015

L’OSSERVATORE ROMANO giugno 2015 numero 36 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Donne e vecchiaia Biblioteca vivente Intervista con suor Emidia Bergamaschini, missionaria nata nel 1920 Suor Emidia Bergamaschini è nata il 3 dicembre 1920 in un piccolo villaggio che a quel tempo si chiamava San Bernardino ma che ora è unito alla città di Crema (lo chiamavano “cremino”). È entrata nell’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Francesca Cabrini nel 1939. Laureatasi in lettere classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore — padre Agostino Gemelli è stato suo professore — è stata docente e preside nelle scuole superiori. Inviata in Africa, si è occupata della scuola della missione. Tornata in Italia dopo sei anni, è stata segretaria generale della congregazione a Roma. Nel 2005, colpita da vari problemi di salute, è stata inviata a Codogno presso la casa delle Suore anziane. È impegnata nella Cappella dell’Adorazione dove trascorre varie ore del mattino e del pomeriggio. donne chiesa mondo Due famose pittrici alle prese con la vecchiaia al femminile: Frida Kahlo, «Ritratto di Donna Rosita Morillo» (1944, sopra) e Tamara de Lempicka, «La nonna» (1953, accanto). di M ARIA B ARBAGALLO «T utti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovi- nezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvici- na, essi sono di stimolo con le loro parole e di conforto con l’esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in alcu- ne regioni del mondo — penso in particola- re all’Africa — sono stimati giustamente co- me “biblioteche viventi” di saggezza, custo- di di un patrimonio inestimabile di testi- monianze umane e spirituali». Così scrive- va nella Lettera agli anziani Giovanni Paolo II , e così riteniamo anche noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere con persone an- ziane o molto anziane, capaci di insegnare ancora come vivere, come affrontare gli an- ni della decadenza fisica e psichica, come assumere l’attesa dell’ultimo passaggio, quello nella vita eterna. Suor Emidia è nata 95 anni fa. Nel 2004 ha avuto un grave ictus, è rimasta colpita nelle gambe e costretta sulla sedia a rotelle. La mente, per fortuna, è rimasta lucida. Qualche anno prima di ammalarsi, era ancora responsabile di una comunità e una scuola: con un po’ di ironia, a una consorella che le insinuava che era ormai troppo vecchia per fare la superiora aveva risposto che Papa Wojtyła e Carlo Azeglio Ciampi avevano la sua stessa età: uno diri- geva la Chiesa, l’altro l’Italia. Non credo ci sia stato orgoglio nella ri- sposta di Emidia, era invece la dimostra- zione che per lei la vecchiaia era una sta- gione della vita da vivere serenamente co- me se niente fosse. Era stata professoressa per molti anni, missionaria in Africa, se- gretaria generale, responsabile di un cen- tro di spiritualità e tante altre cose: per questo le ho chiesto come ha vissuto que- sto cammino verso la vecchiaia, e come è coinciso con la malattia. «Non ho mai avuto la sensazione di diventare vecchia» ha risposto e riferendosi alla malattia ha aggiunto: «Tutto è stato un dono del Si- gnore che è venuto improvvisamente; sen- tivo che veniva qualcosa di nuovo, avverti- vo che la memoria non era più la stessa. Ma non sentivo fastidio, perché io ho do- nato tutto a Gesù per questo momento storico per la Chiesa, ma è un passaggio che sentivo venire lentamente». Poi suor Emidia ha raccontato di quel giorno quando è arrivato l’ictus: «Era il 31 maggio 2005, stavamo pregando il Vespro, avevo preparato tutto, ma durante le pre- ghiere finali, a un tratto, non potevo più parlare, la bocca non si apriva più... la preghiera l’ha portata avanti un’altra suo- ra. Ho sentito un primo impatto, ma non mi sentivo vecchia, non pensavo alla vec- chiaia; pensavo piuttosto che Dio aveva bisogno di me, voleva da me qualche altra cosa. Infatti qualche tempo prima, la ma- dre generale era stata in Africa e venendo a trovarci nella nostra comunità, ci aveva comunicato che avrebbe voluto aprire la Cappella dell’Adorazione quotidiana. Ho sentito come una voce: “Ti voglio là”, e quando abbiamo finito la nostra riunione mi sono avvicinata alla madre generale e le ho detto: “Desidero essere presente nel- la Cappella dell’Adorazione”. Ho passato tre mesi all’ospedale per la mia situazione e poi sono stata trasferita a Codogno dove ho iniziato la mia presenza quotidiana nella Cappella dell’Adorazione». Ho chiesto a suor Emidia come mai si sente dire tra la gente che la vecchiaia è un peso. «La vecchiaia è un grande valore — sì, qualcuno pensa che è uno scarto — ed è un dono prezioso; ci fa stare uniti al Signore, fa crescere l’amore con Dio e fa pensare tanto a quello che succede nel mondo; se molti sapessero cosa significa stare su una sedia a rotelle; solo il Signore sa i benefici che in questo stato si portano alla Chiesa e alle persone. Poi, l’adorazio- ne: è un bene prezioso, stare con Gesù ore e ore, ascoltare la sua voce, chiedere a lui quello che altri vengono a chiedere». Nel- la Cappella dell’Adorazione entrano ed escono molte persone, a volte solo per un momento e per chiedere a suor Emidia di pregare per una intenzione specifica. Sono persone che si fanno mediatrici di altre che non hanno il coraggio di chiedere. Suor Emidia legge molto: libri, articoli, riviste, non solamente cose religiose, anche articoli culturali e storici. Ma ciò che la occupa completamente è la lettura dell’Osservatore Romano che riceve con devozione, come fosse lo stesso Papa che glielo manda. «Leggendo l’Osservatore, sto nel cuore della Chiesa, ora faccio un po’ più fatica e per me è un sacrificio leg- gere poco, qualche mese fa leggevo tanto, anche i paragrafi più piccoli. Ma mi tengo informata e vivo con la Chiesa, le sue spe- ranze e le sue angosce». Cosa ha imparato in questi ultimi anni? «Ho dato un senso alle piccole cose che prima mi sembravano inutili; ho capito che non vale la pena fare questioni: vivo quello che il Signore vuole, lui se ne serve per un bene maggiore. Oggi il Signore vuole questo. Mi ricordo come desideravo andare in Africa, anche quella chiamata è stata improvvisa. Ma adesso il presente è questo». Suor Emidia è persona di grandi e pro- fonde relazioni umane. Ha sempre avuto ottimi rapporti con tutti, e spesso non è capita. È proverbiale il numero di biglietti d’auguri che spedisce a Pasqua e a Natale, per onomastici e compleanni, per ricorren- ze matrimoniali, battesimi, condoglianze e lauree: non dimentica nessuno. «I miei rapporti sono con le persone che si incon- trano e con quelle che sono lontane; molte persone mi vengono a trovare, anche ex alunne di trenta e quarant’anni fa, sono nonne e bisnonne: vengono per salutarmi, ma soprattutto per chiedermi preghiera, per raccontarmi i loro problemi». A questo punto suor Emidia mi raccon- ta tante storie di ex-alunne, romanzi che potrebbero essere sceneggiati come fiction tv. Storie drammatiche che le sono rimaste nel cuore. Per quelle persone Emidia con- tinua a pregare, giorno e notte; sì, perché la notte quando si sveglia — e si sveglia spesso — prega intensamente per le inten- zioni che le sono state raccomandate. La memoria di suor Emidia non è più molto fresca, ma solo l’anno scorso ci ha scritto i suoi ricordi come segretaria gene- rale della congregazione: il periodo del concilio Vaticano II , il rinnovamento della vita religiosa, l’aggiornamento delle costi- tuzioni, le celebrazioni della congregazio- ne, e lo ha fatto con dettagli molto preci- si. Quando non era sicura di qualcosa, scriveva all’archivio generale di Roma per chiarimenti. Sì, anche lei è una “biblioteca vivente”, i giovani preti le vengono a chiedere di tradurre gli articoli in latino, le suore più giovani le domandano notizie del passato della congregazione, le persone che l’han- no conosciuta le chiedono di scrivere que- sta o quella lettera. Oltre alle preghiere, molte persone vanno da lei per un po’ di conforto: non si può dire quante lacrime ha asciugato suor Emidia! Quando legge una lettera e le raccontano cose tristi, ri- mane fortemente turbata, e prega. I paren- ti le portano a conoscere i pronipotini ai quali lei spiega il valore dei sacramenti, dello studio, dell’importanza di imparare le lingue. Quando si ammala gravemente una suora o sta per morire, Emidia cerca di starle vicino, la tiene per mano, deve ac- compagnarla ad andare incontro allo Spo- so. Alle ragazze del servizio fa una sorta di catechesi, dà da leggere libri e giornali: quando ha finito di leggere l’Osservatore, lo passa al marito di una delle ragazze. Adesso suor Emidia parla con difficoltà, la malattia le dà sempre più fastidio, ma il suo sguardo è sereno e, anche se qualche volta si avverte in modo molto chiaro il disappunto su quello su cui non è d’accor- do, è sempre molto presente. Vuole sapere cosa accade nella congregazione, quante novizie ci sono, quanti cardinali ha fatto il Papa, come si è risolta quella tale questio- ne e quando ci saranno le votazioni. Suor Emidia è anche una grande e buon’amica. A volte vengono dall’estero persone — sia religiosi sia laici — che l’hanno conosciuta molti anni fa. Nel rive- derla scoppiano a piangere ricordando il momento dell’incontro avuto con lei. Ri- cordano soprattutto lo stile dell’accoglien- za, la sua straordinaria gentilezza, il suo farsi in quattro per soddisfare i loro bisogni. Tanto per ricordare un caso, voglio rac- contare quello che fece Emidia nel Due- mila, quando la casa di Roma dove lei era responsabile si riempì di giovani per la giornata mondiale della gioventù. Erano giovani polacchi, dormivano con il sacco a pelo nei vari spazi ricavati per loro. Una giovane coppia appena sposata si era timi- damente avvicinata a lei e aveva chiesto se per loro poteva esserci un piccolo spazio per stare da soli; era il loro viaggio di nozze e avevano scelto l’occasione della gmg per non avere spese. Suor Emidia preparò una cameretta con il letto matri- moniale, i fiori, dei dolci, un biglietto di auguri e tante altre piccole attenzioni. Na- turalmente i ragazzi ne furono felici. La sua giovinezza di spirito è sempre più vigorosa anche se non la può manife- stare come prima. Così dice ancora Gio- vanni Paolo II nella Lettera agli anziani : «Quanti trovano comprensione e conforto in persone anziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio mediante il consiglio amorevole, la silenziosa preghie- ra, la testimonianza della sofferenza accol- ta con paziente abbandono! Proprio men- tre vengono meno le energie e si riducono le capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel dise- gno misterioso della Provvidenza». È l’identikit di suor Emidia, una suora mis- sionaria. In ogni circostanza della vita. Nel corso dell’ultimo secolo la durata della vita si è talmente allungata da arrivare quasi a raddoppiare quello che era il dato medio all’inizio dell’Ottocento, almeno per quanto riguarda i paesi cosiddetti avanzati. E in questa gara a chi vive più a lungo le donne mantengono ovunque il primato, anche se sono quelle che si curano di meno; quando poi prendono medicine, si tratta di farmaci testati solo sugli uomini. Qualcuno dice che è perché non lavorano, ma si tratta di una ipotesi facilmente smentita dalla realtà: le donne lavorano in media molto più degli uomini perché aggiungono ai ruoli familiari quelli professionali. La risposta vera sta forse nella maggiore capacità delle donne di affrontare la vecchiaia: non avendo puntato tutto sulla realizzazione nel lavoro — come fanno gli uomini, che entrano spesso in depressione quando vanno in pensione — accettano più facilmente una fase della vita in cui la realizzazione di sé è limitata ai rapporti personali, alle soddisfazioni affettive e all’esercizio della solidarietà. Proprio per questo — da quando è quasi scomparsa la mortalità per parto, che ha segnato per secoli il loro destino — le donne anziane si sono moltiplicate, assumendo anche ruoli nuovi ed esplorando spesso impensate possibilità. Che non sono solo fare ginnastica o curarsi di più di se stesse, come suggeriscono i media, ma anche, forse soprattutto, approfondire la loro vita spirituale. Quell’aspetto che era forzatamente trascurato negli anni del doppio se non triplo impegno lavorativo, nel tempo della vecchiaia è finalmente accessibile anche a loro. È come se l’allungamento della vita offrisse a molte donne la possibilità non solo di aiutare gli altri, allargando il raggio degli affetti e dei legami, ma anche di approfondire il senso della loro vita, del loro impegno religioso, con letture e incontri, con pellegrinaggi e ritiri spirituali, trovando in questa dimensione un nutrimento dell’anima di tipo nuovo. I primi a beneficiare di questo impegno sono i familiari, accompagnati nella preghiera con maggiore attenzione, ma anche tutte le persone che appartengono al loro gruppo sociale, che ne riconoscono la capacità rinnovata di aiuto e di ascolto. Se ci guardiamo intorno, vediamo che le donne anziane tengono in piedi il mondo: non solo come nonne che aiutano spesso in maniera insostituibile ad allevare i nipoti, ma anche come assistenti dei poveri e dei più anziani, come aiuto dei parroci nella vita di parrocchia, dove spesso impegnano il loro tempo improvvisamente libero. Ma anche, e non secondariamente, nella preghiera: le anziane sono capaci di sostenere per questa via la vita delle persone care, che spesso non ne sono neppure consapevoli. Ed è risaputo, come conferma suor Emidia, intervistata in prima pagina, che le donne sanno sopportare meglio la sofferenza fisica, e trasformare anche le crescenti sofferenze in nuove opportunità per lo spirito. La vecchiaia femminile quindi è potenzialmente carica di doni, tanto che gli uomini dovrebbero imparare da questo modello, come fa Simeone nel prendere in braccio il piccolo Gesù, rivelando una tenerezza materna. ( lucetta scaraffia )

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