donne chiesa mondo - n. 36 - giugno 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano giugno 2015 numero 36 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: R ITANNA A RMENI , C ATHERINE A UBIN , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va) La nonna di Gesù Storia di un culto antico di G IULIANO Z ANCHI Q uando ai resoconti sociologici sull’habitat ecclesiale si obietta che per avere una visione reale di una parrocchia bisogna osservarla dal di dentro, lo si può fare per una reazione apologetica e istinto difensivo. Eppure si dice una cosa vera. Le contabilità scientifiche dell’umano fanno il loro mestiere. Proiettano sui fenomeni lo sguardo dei loro criteri disci- plinari. Come tutti i punti di vista selettivi sono costrette ad astrarre, generalizzare, cata- logare. Producono naturalmente risultati uti- li. In qualche caso persino necessari. Nondi- meno non è il loro metodo che può circoscri- vere l’essenziale. Perché esso resta accessibile soltanto guardando le cose con la perspicacia dello sguardo partecipe e può essere restitui- to soltanto nella forma del racconto che testi- monia. mente severa, ma che ha modellato in loro una identità. Questa solida formattazione dottrinale, che noi saremmo tentati di giudi- care con profondo senso critico, sta proprio alla base della loro capacità di comprendere e accompagnare con cordiale disponibilità le transizioni del concilio Vaticano II e la rifor- ma liturgica, con molto più senso ecclesiale di generazioni più recenti, rimaste più sguar- nite di una reale formazione credente. Ho conosciuto Angelina appena diventato parroco. Assieme a molte altre come lei, era l’anima delle liturgie quotidiane, semplici eu- caristie fatte di niente, nelle quali la preva- lente presenza di donne anziane garantiva a tutta la comunità impegnata altrove il cari- sma dell’ascolto. In una comunità deve sem- pre esserci qualcuno che resta in ascolto del Signore che parla. Chi le immagina come passive e ignare ascoltatrici di ogni razza di predica si sbaglia di grosso. Comprendono con materno silenzio l’annaspare dell’omileta inesperto o inabile. Ma sanno perfettamente che la parola deve mirare più in alto. E quando la sentono, lo capiscono. Sono anche donne assai preoccupate della frenesia e della libertà con cui le loro figlie affrontano la vita, ma non rimpiangono affat- to il tempo in cui è toccato a loro essere gio- vani, raccontando con perfetta coscienza cri- tica i tempi in cui venivano mortificate in pubblico dal parroco per essere state a balla- re o per una manica appena troppo corta. Gabriella ha 83 anni, ma ne dimostra al- meno dieci di meno. Siamo in una parroc- chia periferica della città. Con lei scambio due parole sull’articolo che devo scrivere. Quando le dico che voglio scrivere il suo no- me, ride di gusto. Poi scambia con me qual- che idea. Ci tiene soprattutto a dirmi che le donne anziane, detto senza retorica, sono portatrici di una saggezza attinta dalla lunga obbedienza riservata alla vita, che non va in- tesa come passività agli eventi, ma come co- no per la catechesi comunitaria. Non si fini- sce mai di imparare. Parla di questo suo impegno con la passio- ne di chi ha piena coscienza di esercitare un ministero prezioso all’interno della comunità. Ricorda i tempi della riforma conciliare, quando l’impazienza di molti preti era porta- ta ad archiviare disinvoltamente anche molte cose essenziali, come l’esercizio della cateche- si, che allora si chiamava dottrina. A quel tempo, come è stata preziosa la co- scienza di molte donne che hanno chiesto novità e autonomia, è servita anche la pru- denza di molte altre che hanno aiutato a conservare quello che bisognava conservare. Gabriella mi butta lì alla fine una cosa che può sorprendere. Dice che sarebbe utile an- che sentire quello che hanno da dire le don- ne anziane che negli ultimi decenni si sono allontanate dalla Chiesa. Forse, dice lei, per- ché non hanno trovato un loro posto, non sono state sentite come una risorsa. Flora ha quasi 78 anni. Vive in una media parrocchia vicino al lago d’Iseo. La sua è la storia di una donna semplice, senza partico- scienti risposte alla realtà. Gabriella è stata insegnante per molto tempo. In comunità è ministro straordinario dell’eucaristia, fa parte del gruppo dei lettori, ma soprattutto si prende cura di un percorso di formazione per altri anziani della comunità che si trova- lari studi alle spalle, ma con l’acuminato sen- so critico della gente di paese, una intelligen- za istintiva che progredisce anche senza par- ticolari strumenti intellettuali. Come tante al- tre donne della sua generazione, è cresciuta tra le fila di Azione cattolica, di cui per di- versi anni è stata presidente locale, un’appar- tenenza che ha tirato fuori nel migliore dei modi la sua passione e la sua attitudine per un cosciente sguardo sul mondo, sulla realtà, sui problemi della gente. I suoi figli hanno appreso da lei questa sorta di passione civile ispirata da una spiccata coscienza ecclesiale. Hanno tutti mantenuto un forte legame con la comunità e si sono tutti buttati in attività sociali. Flora si è fatta una cultura attraverso la sua formazione cristiana. Per molte è stato così. Hanno la quinta elementare ma hanno imparato la disciplina di uno studio dalla ne- cessità di acquisire strumenti di formazione spirituale. Lungo la sua vita ha visto passare un sacco di preti e si è misurata con una infi- nità di varianti pastorali. Ha attraversato tut- to con medesima disponibilità e rispetto, non senza la capacità di vedere oltre le mode del momento, padrona di un attento senso criti- co, di una distaccata prudenza, sempre espressa con un garbo, una gentilezza e un sorriso che potrebbe fare di lei un personag- gio femminile di Jane Austin. In questo mo- mento il suo carisma personale si spende nel servizio alla cura pastorale dei malati. Angelina, Gabriella, Flora, non sono bril- lanti eccezioni. Fanno parte, al contrario, di una schiera di donne che l’età non ha affatto sottratto a un ruolo di decisivo sostegno di una comunità. Non sono certamente quel de- trito di una morta tradizione che il luogo co- mune vorrebbe vedere in loro. Quando si at- tenuerà l’ipnosi collettiva per l’effimero idea- le di una perenne giovinezza il peso della lo- ro presenza sarà più facile da riconoscere. In- tanto voglio solo aggiungere che tutte loro, Angelina, Gabriella, Flora, e tutte le altre, non servono il Vangelo solo perché esercita- no un servizio o un ministero nella Chiesa. Hanno servito il Vangelo anzitutto vivendo da donne, amando qualcuno, lavorando so- do, mettendo al mondo dei figli, prestando la propria carne al rinnovarsi dell’enigma umano. Hanno servito la Chiesa dando alla loro vita la forma del Vangelo. Hanno messo a disposizione il loro corpo e la loro vita per permettere al Vangelo di prendere forma nel- la storia. Hanno onorato il ministero fonda- mentale del battezzato. Il ministero di fondo della Chiesa, senza il quale la via evangelica resta invisibile e il tempo del Regno indesi- derabile. Il saggio La terza età «Per la società — diceva Simone de Beauvoir — la vecchiaia appare come una sorta di segreto vergognoso, di cui non sta bene parlare». Per rompere quel silenzio nel 1970 scrisse La terza età , in cui la vecchiaia è esaminata con profondità e meticolosità in tutti i suoi aspetti (storici, medici, filosofici, sociologici) in un compendio che è ormai diventato un classico. Come molti classici, dopo quasi cinquant’anni, è da rileggere per scoprire con qualche amarezza che, come diceva la scrittrice francese, ancora oggi «la condizione dei vecchi è scandalosa». Anche oggi «essi non hanno le stesse esigenze e gli stessi diritti degli altri membri della collettività: a loro si rifiuta anche il minimo necessario». Ma oggi l’autrice — che nell’altro suo famoso libro Il secondo sesso aveva attaccato con una veemenza inusuale per l’epoca (il libro uscì in Francia nel 1949) i ruoli che il pensiero maschile aveva attribuito alle donne — sarebbe consolata nel constatare la nuova dignità che le donne hanno saputo dare alla vecchiaia. ( @ritannarmeni ) Il film Ombre bianche Uomo contro natura. E, soprattutto, donna contro natura. È una lotta impari quella raccontata dalla pellicola di Nicholas Ray e ambientata al Polo Nord, Ombre bianche (1959). Una lotta in cui si inseriscono, con esiti disastrosi, la civiltà e le leggi occidentali. In un universo selvaggio e quasi disabitato, il cacciatore Inuk (Anthony Quinn) sceglie Asiak come compagna di vita e, con generosità, prende a vivere con loro anche sua madre, «una vecchia inutile». Pauti, senza forze e senza denti — la figlia deve masticare per lei ogni boccone —, è solo un peso e quando Asiak sta per partorire, il suo destino diventa inesorabile: come è usanza della sua gente, viene abbandonata tra i ghiacci. Nel libro da cui è tratto il film – Il Paese delle ombre lunghe di Hans Ruesch – l’episodio ha una conclusione diversa. Asiak e il marito, che non hanno mai conosciuto un neonato, alla vista del loro bimbo senza denti restano atterriti e pensano di ucciderlo. La vecchia Pauti, allora, ricorre a uno stratagemma che la renda nuovamente utile: promette alla coppia che in poche stagioni, con l’aiuto delle Potenze delle Nevi, lei lo avrebbe guarito. E così salva la vita al nipote e allunga la propria. Poi, tutto va come deve. Nel bene e nel male: spuntano i denti e Pauti diventa preda degli orsi. Tutto secondo una logica abominevole (ma, a ben vedere, non del tutto superata) per i lettori di altre latitudini e altri tempi. ( @silviagusmano ) M IRIAM E M AŁGORZATA Mentre i governi europei discutono l’agenda sull’emigrazione, la Fondazione Estera — creata in Polonia da Miriam Shaded, figlia di una polacca e di un pastore presbiteriano siriano — mantiene i contatti con gruppi di cristiani a Damasco, Homs e Aleppo, dove si vanno intensificando gli attacchi dei jihadisti dell’Is. La fondazione ha raccolto i mezzi necessari per ospitare in Polonia 300 famiglie cristiane cattoliche, ortodosse e protestanti, per un totale di 1500 persone, di cui metà bambini e, molti, orfani. Tuttavia per farli venire in Polonia occorrono i visti, difficili da ottenere anche perché l’ambasciata a Damasco è chiusa. Sostenuta dal settimanale «Tygodnik Powszechny» di Cracovia, suor Małgorzata Chmielewska, fondatrice della comunità Pane della vita (che «donne chiesa mondo» ha intervistato lo scorso gennaio), ha diffuso una lettera aperta al governo e al primo ministro Ewa Kopacz, chiedendo di accelerare le pratiche amministrative al fine di concedere ai siriani i documenti necessari per il viaggio. «Fra un anno — scrive suor Małgorzata — potrebbe essere troppo tardi. Noi polacchi, così duramente provati durante la seconda guerra mondiale e nel periodo comunista, abbiamo una straordinaria tradizione di proteste contro le ingiustizie». L E DONNE DEL N EPAL Con i mariti che lavorano all’estero — gran parte degli oltre 2,2 milioni di nepalesi oltremare sono uomini le cui entrate rappresentano oltre il venti per cento del prodotto interno lordo — sono migliaia le donne nepalesi che stanno affrontando da sole l’emergenza del terremoto, sommerse dai debiti, senza casa né aiuti. La situazione è particolarmente difficile nel villaggio di Thailchok a Sindhupalchok, uno dei distretti più colpiti con 2500 morti e oltre il novanta per cento delle case distrutte. Prive di qualsiasi supporto psicologico o morale, esposte ad abusi e malattie, sole a occuparsi, nella tragedia, di figli e familiari anziani, le donne dei lavoratori migranti sono ulteriormente svantaggiate. Ad esempio, all’ora di pranzo in un campo di fortuna a Kathmandu, i sopravvissuti, in fila per avere gratuitamente cibo, rispettano un preciso ordine: prima gli uomini, poi i bambini, infine le donne. È la cultura del Paese. In un comunicato della ong locale Women’s Rehabilitation Centre si legge: «Le donne mangiano alla fine, di solito gli avanzi degli uomini e dei bambini. C’è discriminazione, anche in tempi di crisi». Ulteriori difficoltà le donne incontrano nel trasporto dei generi di soccorso, come i sacchi di riso mandati dalle agenzie umanitarie. Vivono una sfida dietro l’altra, ma non vogliono che i mariti rientrino in Nepal per aiutarle, altrimenti la famiglia perderebbe l’unica fonte di reddito. I NGEBORG , DOTTORATA A 102 ANNI È probabilmente la più anziana dottorata della storia: a 102 anni, infatti, la neonatologa tedesca Ingeborg Syllm-Rapoport ha ricevuto il PhD dall’università di Amburgo settantasette anni dopo aver finito la sua tesi di dottorato sulla difteria. Essendo infatti figlia di una ebrea — la madre era la celebre pianista Maria Syllm — nel 1938 non poté sostenere l’esame orale a causa del regime nazista. Ingeborg Syllm-Rapoport fuggì poco dopo dalla Germania, riparando negli Stati Uniti dove non fu affatto facile affermarsi professionalmente senza il documento che provasse i suoi studi. Ma la voglia e la forza di lottare non hanno mai abbandonato questa donna, che non solo scelse poi di tornare in patria — dove è diventata una stimata docente di neonatologia — ma decise che non avrebbe rinunciato a ciò che ingiustamente le era stato tolto. «È una questione di principio» ha commentato ora finalmente soddisfatta, «non una questione personale». Il romanzo Suor Giovanna della Croce «Non aveva specchio per vedere il suo viso, ma sapeva che i solchi del tempo vi erano impressi profondamente: erano corti, sotto le bende, i suoi capelli, ma lei sapeva che erano tutti bianchi. Adesso certe fatiche, certe astinenze, la trovavano debole e scoraggiata. Adesso nella preghiera, non trovava che dolcezza molle e quieta, mai più entusiasmo. Si sentiva ed era vecchia». Così Matilde Serao in Suor Giovanna della Croce descrive la «sepolta viva» che per una improrogabile legge dello Stato è costretta a lasciare insieme alle sue consorelle il convento in cui aveva vissuto fino ad allora. Tristezza, terrore, incertezza: sono questi i sentimenti che si impadroniscono della vecchia suora costretta a tornare nel mondo che ha lasciato. Povertà, privazioni, umiliazioni sarà quello che vi troverà. Matilde Serao con Suor Giovanna ha scritto uno dei suoi romanzi più belli ed emozionanti malgrado le critiche che lo accolsero quando iniziò a pubblicarlo a puntate nel 1901 su un quotidiano napoletano. Nella edizione della Bur il saggio introduttivo di Henry James ne conferma un valore che per anni non le è stato riconosciuto. ( @ritannarmeni ) Anna non è menzionata neppure una volta nei vangeli canonici Ne parla molto però il Protovangelo di Giacomo l’apostolo più volte citato come “fratello” di Gesù Con Maria e Gesù ella forma la trinità “femminile” E ciò sottolinea ancora una volta il contributo delle donne all’Incarnazione Sant’Anna trinitaria di Masaccio e Masolino Un decisivo sostegno Donne anziane raccontano il loro contributo alla comunità parrocchiale di appartenenza Per anni presidente dell’Azione cattolica locale Flora vive in una parrocchia vicino al lago d’Iseo Sin da giovane è stata animata da passione civile ispirata dalla forte coscienza cristiana Guidata da un senso giansenista della disciplina e formatasi alla luce di una severa cultura tridentina Angelina era l’anima della liturgia quotidiana Lin Delija, «Donne in preghiera» (1968-1975) Va perciò imboccato l’indispensabile sen- tiero del racconto quando si vuole entrare con qualche verosimiglianza in quella parte di Chiesa abitata da donne anziane, dalla lo- ro placida presenza, segnata, in quanto don- ne e in quanto anziane, da un duplice stigma di minorità e soggezione. La convenzione letteraria, quella delle sociologie come quella delle antropologie, ha assestato la sua rap- presentazione nel ritratto oleografico che an- che la cinematografia continua a perpetuare con più o meno involontarie derive caricatu- rali: la donna anziana col velo nero, preferi- bilmente del sud, preferibilmente illetterata, avvolta nella nube del dialetto, scontato so- prammobile del rito religioso, compulsiva consumatrice dei più arcaici prodotti del sa- cro. Insomma materia base della documenta- ristica etnologica che si esercita sui costumi di un’antica civiltà rurale con lo stesso sguar- do alieno e compiaciuto con cui un etologo si occuperebbe dei riti di corteggiamento di una curiosa specie animale. Per uscire da queste sabbie mobili della non conoscenza bisogna invece raccontare storie di persone vive, che si incontrano nella complessa alchimia della vita reale delle no- stre comunità, esperienze uniche e irripetibili, vite straordinarie, insospettabilmente avvin- centi. Mi piacerebbe per esempio che il lettore avesse conosciuto Angelina, morta pochi me- si fa all’età di 96 anni, donna di raro tempe- ramento e con una voce subissante. Ho co- nosciuto Angelina facendo il parroco in una piccolissima comunità ai lembi estremi della diocesi di Bergamo. Appartiene a quella ge- nerazione di donne che hanno tirato su i figli nel primo dopoguerra, quasi con niente, gui- date da un senso quasi giansenista della di- sciplina che si respira ancora da queste parti, formate nella loro infanzia e nella loro giovi- nezza da una cultura tridentina indubbia- Gabriella ha 83 anni Ministro straordinario dell’eucaristia fa parte del gruppo dei lettori e cura un percorso di formazione per suoi coetanei Innocente Salvini, «Mia madre accanto al fuoco» (1925) di L UCETTA S CARAFFIA L’ arte sacra non ha mai dato spazio alle donne anziane: Maria e le san- te sono sempre giovanis- sime, o ritratte in un’im- mobile bellezza regale senza età. Solo la raffigurazione di Anna, madre di Maria, fa eccezione a questa regola, e anche questa non sempre: Leonardo, ad esempio, nella meravigliosa opera conservata al Louvre in cui ritrae Anna con la Vergine e il Bambino, la dipinge giovane e bellissima come la figlia. Ma la sua resta una delle poche eccezioni. Nella serie imponente di opere nelle quali Anna è raffigurata, la troviamo nettamente differenziata dalla figlia, giovane o giovanissima, sia per i tratti del volto che per i colori e la foggia dei vestiti, la statura e vari altri segni, che ci permettono di ricostruire, attra- verso il suo esempio, l’immagine della donna anziana nella società e nella tra- dizione cristiana per un lunghissimo arco di tempo. Più raramente il suo volto è solcato da rughe, per dare maggiore verosimiglianza alla sua età: la donna vecchia era percepita come fi- gura inquietante, invidiosa delle donne giovani e belle, che potevano ancora generare. Non per nulla, per alcuni se- coli, ogni donna anziana era considera- ta potenzialmente una strega. Il numero delle opere dedicate rivela l’importanza della madre di Maria: la nonna di Gesù è oggetto di un culto antico e fiorente, anche se non è men- zionata neppure una volta nei vangeli canonici. Ne parla molto, però, il Pro- tovangelo di Giacomo , cioè il testo attri- buito all’apostolo che è stato citato più volte come “fratello” di Gesù e quindi considerato suo parente stretto, che poteva essere al corrente delle storie di famiglia. Ad Anna, nata in una fami- glia della tribù di Giuda — anch’essa quindi di stirpe reale come Giuseppe — era anche attribuita una sorella, poi madre di Elisabetta, che partorisce a sua volta Giovanni Battista. Il suo ma- come santa dei minatori — veste nella quale la conobbe Lutero, figlio di un minatore, e in gioventù a lei devotissi- mo — che alcuni interpretano come «colei che conserva nelle viscere un gioiello». Altri invece preferiscono at- tribuire questa qualifica all’assonanza del suo nome con quello della dea cel- tica della montagna, Ana. Su queste notizie, per un certo verso anche inquietanti, si costruisce il culto alla nonna di Gesù, confermato poi dalle visioni di santa Coletta — all’ini- zio irritata dalla complessa vita matri- moniale di Anna, poi sua grande soste- nitrice — in base alle quali si costruisce anche un nuovo modello iconografico, quello della Santa parentela. A parte questo testo, la storia di An- na è soprattutto una storia di immagi- ni, che sono particolarmente eloquenti e aprono scenari insospettati. Anna viene ritratta da sola molto raramente, di solito è con la Vergine e il nipotino, ma in molti casi, specialmente nel nord dell’Europa, accanto a lei si accalcano i numerosi discendenti che, uniti ai ma- riti e alle sorelle, possono far arrivare i personaggi ritratti addirittura a 29. Ma il numero a lei più spesso colle- gato è il 3: anche se, nella sua prima immagine, un affresco a Santa Maria Antiqua, accanto a lei sono dipinte al- tre due madri, Maria ed Elisabetta, il trio più diffuso è quello con la figlia e il nipotino, tanto che queste opere vengono abitualmente chiamate Sant’Anna trinitaria. Questo trio può essere raffigurato in orizzontale, ma più spesso è su scala verticale, e Anna lo domina, per statura e imponenza protettiva. In una società patriarcale questa immagine, dalla quale sono espunti sia Gioacchino che Giuseppe, offre un esempio di potere matriarcale. È evidente — e lo si deduce già dal no- me — che le tre figure sembrano ripro- porre, in dimensione umana e femmi- nile, la Trinità. In alcune opere, come la Sant’Anna trinitaria di Masaccio e Masolino conservata agli Uffizi, questa somiglianza con il modello trinitario è evidente, e sicuramente ricercata dall’artista stesso, e del resto ci sono almeno due chiese — una a Firenze e una a Como — nelle quali alla trinità “femminile” viene affiancata quella “maschile”, con il Padre che tiene sulle ginocchia il Figlio crocifisso mentre su di loro vola la colomba che raffigura lo Spirito santo. La parentela umana, cor- porea, di Gesù, costituisce una trinità femminile e umana che si affianca a quella divina, sottolineando una volta di più il contributo femminile all’In- carnazione. La Santa parentela, invece, che offre l’occasione di raffigurare tante persone di età diverse e che allude chiaramente all’importanza della famiglia e del li- gnaggio, con il suo ricondurre anche l’adesione degli apostoli principali a un legame di famiglia si distacca visto- samente dall’universalità del messaggio di Gesù. Anna può anche essere inquietante: nella xilografia di Hans Baldung del 1511, in cui, seduta accanto alla Vergi- ne, tiene tra le mani l’organo sessuale del Bambino, il suo volto non è certo benevolo. E capiamo allora perché pa- re così allarmato Giuseppe, che con- trolla la scena dall’alto di un muretto. Forse si tratta solo di una delle tante opere in cui la sessualità di Gesù Bam- bino viene esibita per rafforzare il dog- ma dell’Incarnazione, ma uno storico del Rinascimento, Jean Wirth, sospetta invece che quest’opera riveli come An- na, in quanto donna anziana, fosse considerata una strega. E vede in que- sto la prova di quanto fossero conside- rate inquietanti e sospette queste don- ne, che del resto — data la brevità della munque avuto un riflesso sociale posi- tivo nel favorire l’alfabetizzazione delle donne, e più in generale la loro dime- stichezza con il mondo della lettura. Anna viene così privata del suo po- tere — sia positivo che negativo — ma trimonio con Gioacchino è se- gnato da vent’anni di sterilità, per la quale l’uomo viene schernito al tempio. In ri- sposta alle preghiere di Anna, arriva una gra- vidanza insperata: na- sce Maria, che viene donata al tempio all’età di tre anni. Ma la storia di Anna non finisce qui: morto Gioacchino, sarebbe andata in sposa suc- cessivamente ai suoi due cognati, dai quali avrebbe avuto altre due figlie, tutte di nome Maria, a loro volta madri di figli maschi che sarebbero diventati apostoli di Gesù. Questa storia viene ripresa — e resa celebre — dalla Legen- da aurea di Jacopo da Varagine, nella Vi- ta della Vergine . Non ci dobbiamo stupire, allora, che questa improvvisa e insperata fertilità di Anna l’abbia fatta di- ventare la protettrice delle donne sterili e delle partorienti. Me- no evidente invece appare la sua carriera acquista il ruolo di educatrice, di colei che trasmette la tradizione della fede, che sarà poi proposto a tutte le donne nell’Ottocento. Ed è l’ennesima prova che i simboli femminili, nella tradizio- ne cattolica, sono sempre stati molto importanti e ricchi di significato. vita umana, e soprattutto di quella femminile, decimata dai parti — non dovevano essere numerose. Dopo la spaccatura di Lutero, sulle immagini di Anna pesarono molto le critiche dei protestanti, così che dopo Trento vediamo che la sua raffigura- zione subisce un profondo restyling: scompare definitivamente come sog- getto la Santa parentela (di impian- to decisamente matriarcale), che viene sostituita dalla Sacra fa- miglia, dove un posto im- portante occupa Giu- seppe. Anna può es- sere aggiunta, ma la presenza di Giusep- pe diventa obbliga- toria — talvolta ri- compare perfino Gioacchino — e la fi- gura della nonna, dipinta ormai deci- samente come anzia- na, diventa margina- le. Oppure può ave- re ancora un posto per sé, accanto alla figlia, mentre le in- segna a leggere. Quest’ultimo tipo di raffigurazione — an- che se si può consi- derare una diminu- zione rispetto al ruolo dominante di protettrice che svol- geva prima — ha co- Hans Baldung (1511)

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