donne chiesa mondo - n. 30 - dicembre 2014

Per una profonda teologia della donna nelle donne, ma esse devono prendere coscienza di essere parte trainante per l’intera umanità. L’emancipazione civile è avvenuta non a caso in occidente, in culture dalla matrice cristiana. Occorre leggere il fenomeno in un’ottica più ampia, spirituale. Vanno visti i segni dei tempi. La cristianità va percepita nel suo insieme, nei suoi aspetti laici e in quelli ecclesiastici, teologici. Il cristianesimo è forza dirompente di liberazione da tutti i punti di vista. Quello che è avvenuto nel mondo civile, laico, per quanto riguarda le donne, ora aspetta di riversare il suo dinamismo nella Chiesa. Più le donne saranno ascoltate, più intensa sarà l’azione di trasformazione. Più il genio femminile emergerà, più farà da specchio al genio maschile positivo, quello incarnato da Gesù. Mi ricollego poi a quanto affermato da Scaraffia, citando Hallensleben, sul valore soteriologico dello Spirito Santo: concordo pienamente sul fatto che la mancanza di una teologia della donna procede di pari passo con la scarsa attenzione verso lo Spirito Santo, verso il piano spirituale. Assumere Maria come modello incarnato del genio femminile richiede di guardare alla terza persona trinitaria, forse ancora in ombra, velata, altrimenti per le donne potrebbe prevalere un senso di scoraggiamento. Anche nel mondo laico sono in molte a rivolgersi verso la spiritualità, per esempio attraverso lo studio delle mistiche, a impegnarsi profondamente su se stesse per avvicinarsi a quei valori femminili essenziali, un po’ controcorrente, quali la ricettività, il silenzio, il nascondimento, necessari a custodire e proteggere una maternità che non è solo biologica, ma anche spirituale. La capacità di ascolto, l’intuizione, la contemplazione emergono dal contatto con il profondo. Il femminile incarna l’anima contemplativa, la possibilità di uno sguardo diverso. La donna più aderisce al corpo, più è capace di incarnare, rendere visibili tratti spirituali. Più è contemplativa, più diviene strumento di azioni creatrici. Il femminile apre all’eterno, come afferma Chiara Lubich. Nel contesto evangelico il materno rinvia a un’accoglienza della vita che deve germinare a tutti i livelli, porta in contatto con l’invisibile, evoca quella bellezza che può solo essere contemplata, non posseduta. Così il femminile nobile incrina i meccanismi del potere. Principio maschile e femminile non sono intercambiabili né tanto meno derivano semplicemente da aspetti culturali: sono valori ontologici, si potrebbe dire archetipici. Dio crea l’uomo a sua immagine, ma non ha immagine. Nella tradizione ebraica c’è una totale trascendenza, Dio non si può in alcun modo raffigurare. Rivela lentamente i suoi attributi invisibili nell’essere umano. La precisione con cui il testo di Genesi specifica che «maschio e femmina li creò» non può che alludere al fatto che maschile e femminile sono principi presenti in Dio stesso. Se assumono immagine nell’essere umano, vuol dire innanzitutto che sono in Dio. C’è un fondamento ontologico. Inoltre in Dio sono contenuti nella perfetta unità, per cui anche nell’essere umano non possono che tendere ad armonizzarsi. S CARAFFIA Cosa intendi per lavoro spirituale necessario a redimere le relazioni uomo/donna? L UMINI La donna è particolarmente ricettiva all’azione di Dio nell’anima, più sensibile ai piani profondi dell’amore. Per lavoro spirituale intendo proprio la maggiore disponibilità del femminile ad aprirsi all’opera dello Spirito Santo. Solo questo può rendere possibili rapporti di comunione fra donne e uomini. È necessario il silenzio, quella sosta che permette alla vita interiore di germinare. Il genio femminile in Maria trova il suo culmine nella straordinaria potenzialità a tramandare la vita spirituale, la vita che concepisce lo Spirito Santo. Il battesimo di fuoco di Gesù allude alla nuova vita suscitata dallo Spirito. Se Gesù ha fatto la nominazione di Dio come padre, suscitando uno scandalo immenso, mi sembra ora maturo il tempo per un’altra fondamentale nominazione, quella di Dio come Madre. Ancora tutto resta ancorato a una teologia del Padre, ma credo che non sia possibile elaborare una profonda teologia della donna se prima non viene elaborata e messa a fuoco la teologia della Madre. E solo le donne possono farlo. Se ci rivolgiamo alla Trinità, la misteriosa persona femminile della divinità non può che essere lo Spirito Santo. La maternità di Dio si può individuare nello Spirito Santo, nei primi secoli associato alla Sophia . Nella tradizione ebraica inoltre la Ruah è femminile. Del resto anche in Giovanni, lo Spirito Santo è il consolatore. In questo tempo in cui la Chiesa invita all’amore e alla misericordia, la divina maternità deve uscire dall’ombra, venire alla luce. C’è una grande opera spirituale in corso. Dietro quello che si muove nella storia bisogna incominciare a scorgere i segni visibili di una regia invisibile. M ARINELLA P ERRONI Mi sento di rappresentare qui una gran parte di donne che insegnano o studiano teologia, anche in Italia, e che percorrono strade un po’ diverse da quelle indicate finora. Il salmo citato da Gronchi me ne ha fatto venire in mente un altro che sento particolarmente in linea con il nostro lavoro teologico: «La verità germoglierà dalla terra e dal cielo si affaccerà la giustizia» (85). Sono convinta che la verità non sia prestabilita, nessuno di noi ce l’ha, ma germoglierà dalla terra man mano che la terra verrà lavorata: è questo il senso del lavoro teologico. Quando Papa Francesco ha detto che la Chiesa ha bisogno di una teologia della donna, in molte siamo rimaste sconcertate: dai tempi dei Padri della Chiesa alla Mulieris dignitatem , la storia del pensiero teologico è anche una teologia della donna. Fatta da chi, però? Fatta perché? In funzione di che cosa? Oggi alcuni fattori sono ormai cambiati, e ciò comporta che non si può pensare semplicemente di cambiare l’ordine dei fattori in modo che il risultato non cambi. Sono i fattori a essere cambiati. Quali? Innanzi tutto, le donne — e non la donna, che è un’astrazione e vive nell’immaginario — sono diventate soggetti capaci di fare teologia, e cercano strade diverse, capaci di rendere loro maggiore giustizia. Per questo, la prima cosa da fare sarebbe ascoltarle. Le donne hanno elaborato un pensiero in tutti gli ambiti teologici. Il problema allora è provare a ri-ragionare insieme — e oggi dovrebbe essere possibile farlo finalmente anche con quelle ritenute più lontane — su tutta la teologia della donna, che ci schiaccia, da Tertulliano in poi, con i suoi luoghi comuni, vere e proprie ipoteche. Ipoteche pesanti. Gronchi faceva una lettura fenomenologica del rapporto prete-mamma che è verissima. Va ripensato però a fondo anche il binomio Eva-Maria, un’alternativa che pesa per le sue ricadute simboliche potenti che contribuiscono a definire stereotipi che si trasmettono di generazione in generazione. Non è possibile una teologia che renda P ERRONI Esatto. Voglio dire che sia maschile che femminile, o anche sia paterno che materno, possono riguardare entrambi gli ambiti, sia quello della relazione che quello dell’istituzione. È ormai chiaro che la netta distinzione dei ruoli sulla base della quale si è retto il patriarcato sta cedendo il posto ad altri modelli possibili. L UISA M URARO Il mio interesse principale in questa impresa è che il movimento femminista sia fedele alla sua ispirazione originaria, e la sua ispirazione originaria — qui è stato ricordato da Lumini — non è la conquista del potere ma disfare dall’interno il potere, per sostituirlo con l’energia simbolica della parola e delle relazioni, cioè quello che si chiama autorità. A mio giudizio la Chiesa cattolica più delle Chiese riformate ha conservato qualcosa dell’importanza del simbolico. Nella temibile macchina del potere costruita dagli uomini, c’entra non poco la questione della sessualità: la sessualità femminile è quasi naturaliter cristiana, essendo sensibile all’aspetto spirituale. Le donne, se non ci fossero i soldi di mezzo, non farebbero sesso senza amore; gli uomini invece sì e praticano spesso un sesso violento, di rapina (tale dovremmo considerare anche quello a pagamento, secondo me). È per questo, mi chiedo, che nelle società più antiche erano le donne che gestivano il rapporto con il divino e con il sacro? Noi siamo cresciuti in una civiltà fortemente patriarcale che ha capovolto questa gerarchia. Ma ci sono uomini che sentono questa superiorità femminile e dicono «la mia anima è una donna», e ci sono storici, come Kurt Ruh, studioso della mistica occidentale, che dicono: solo una donna può parlare con tanta confidenza a Dio. Se le donne delle parrocchie disertassero, poi, per la Chiesa cattolica sarebbe un problema: per farle tornare dovreste promettergli posti, carriere e soldi. Per adesso, invece, vengono gratis, sono là, ma potrebbero trasformarsi e diventare simili a uomini e pretendere dei vantaggi. Penso anch’io che il tema della complementarità sia cruciale e vada ripreso in mano, non rattoppato. Secondo me il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha detto cose importanti sulla differenza sessuale; per esempio che non è tra uomini e donne, è in lei, in lui: non ci sarebbe un uomo e una donna se non ci fosse, immanente all’essere umano, il segno della differenza sessuale. La complementarità può essere compresa solo dopo un approfondimento accurato sulla differenza sessuale, che la Chiesa è prontissima a riconoscere, ma in termini dogmatici. Da dove esce la differenza? Gronchi dice: dalla Bibbia, Perrone fa notare che la Bibbia bisogna però saperla leggere. La scienza e la filosofia insegnano che la differenza sessuale è un’invenzione della vita ai suoi livelli più elementari, e che l’umanità l’ha assunta e tradotta in cultura e civiltà, ma spesso in una forma gerarchica che esprime il dominio di un sesso sull’altro. I contenuti della differenza sessuale cambiano nel tempo, però il senso deve essere libero per lei come per lui. I quali poi cercano di accordarsi, nella reciproca indipendenza simbolica. Il conflitto tra i sessi insorge e va affrontato di volta in volta, è una constatazione storica; la complementarità è fenomenologicamente evidente solo sul piano procreativo. Insomma, le posizioni sono tutte da ripensare. Segnalo, a questo proposito, il contributo della teologa svizzera Hallensleben, già citata: c’è squilibrio nella Chiesa, c’è squilibrio tra laici e clero e c’è squilibrio soprattutto a carico del rapporto donna-uomo, dice. In ciò lei capta la voce dello Spirito Santo nella storia, ponendo le basi di una teologia fatta non per andare d’accordo a tutti i costi, ma per confliggere senza odiare, senza fare guerre. E poi c’è la posizione di Cristiana Dobner, la quale nega ogni complementarità. Rileggetela, lei dice: la donna sta per se stessa, l’uomo sta per se stesso. Poi c’è invece una teologa americana, Sara Butler, la quale invoca la complementarità e poi dice agli uomini: e allora il vostro genio? La vostra differenza? Ecco, questa è un’altra strada da aprire: esplorare la differenza maschile. E non solo in negativo come ho fatto qui io, citando la sessualità fondamentalmente disordinata degli uomini. D AMIANO M ARZOTTO Che cosa è l’indipendenza simbolica? M URARO Per brevità, dirò che l’indipendenza simbolica, nella sua versione più radicale, difficile da capire, io la leggo nella Lettera ai Romani , in quel passo interpretato come se Paolo insegnasse la sottomissione. Nelle cose di questo mondo, dice, obbedite alla necessità; per il resto, noi abbiamo la nostra legge che è quella dell’amore. M ARZOTTO Ho ascoltato con grande interesse e reagisco semplicemente su alcune cose che mi hanno colpito maggiormente. Circa il rapporto uomo-donna, mi è piaciuta molto l’espressione che utilizzava padre Piersandro Vanzan: reciprocità asimmetrica. Non so se ricalca la complementarità, secondo me è un po’ diversa e un po’ più profonda, perché non obbliga a uno schema rigido, in cui i due devono comunque inserirsi. Dice però molto della necessità della reciprocità e salva una grande libertà nella asimmetria. Forse coincide con quella sessualità della differenza di cui parlava Muraro, ma io non sono sufficientemente esperto. Mi sembra che ci sia una ricchezza nella realtà delle donne, che va valorizzata, e negli itinerari dei vangeli che ho percorso mi è sembrato appunto di vedere, come dico nel mio libro Pietro e Maddalena , che la donna nella evangelizzazione «precede, approfondisce e allarga». Precede perché è più intuitiva e anticipa l’uomo, tant’è che Dio si rivolge a lei innanzitutto, sicuro di essere capito, ma soprattutto la donna approfondisce. Il discorso che ha fatto Lumini sull’approfondimento mi pare fondamentale, altrimenti noi uomini ci disperdiamo nell’azione ma non entriamo in profondità nel mistero e questo sarebbe una perdita drammatica per la Chiesa. E poi la donna allarga gli orizzonti della missione: noi abbiamo degli schemi ben precisi, la donna li supera e porta più avanti. Non credo che questa reciprocità asimmetrica si fermi alla procreazione, perché mi sembra che Dio sia più ricco nella sua elaborazione; ma al di là di questo vedo che c’è una capacità nelle donne e una capacità negli uomini, che non sempre è sostituibile, anche se bisogna essere molto attenti nel non considerare sempre come definitivo quello che talvolta è un portato culturale. A me sembra che proprio perché siamo unità di corpo e spirito, ciò che è nel corpo si trasfonde nello spirito e viceversa. Il problema è come definire ciò che è caratteristico; certo, viviamo sovente di stereotipi. Oggi direi che c’è una ricchezza in questo dialogo fra uomini e donne che non va perduta, ma forse un po’ ripensata. In questo ripensamento, credo che la Bibbia sia molto importante. Però ho l’impressione che alle volte si prenda la Bibbia per andare a cercare delle conferme a quello che corrisponde alla sensibilità attuale. Ma questo non è il modo di trattare la Bibbia. S CARAFFIA Come si deve affrontare la lettura biblica? M ARZOTTO In questo io vedo un po’ la difficoltà: è vero che bisogna sempre ripensare le convinzioni correnti, la cultura contemporanea cerca appunto di ripensarle interrogando la Bibbia, però la Bibbia va studiata e seguita anche nelle sue proposte originali, cercando di capire le situazioni come si vivevano a quel tempo. Occorre evitare di proiettare sulla Bibbia un’esigenza teologica e culturale di oggi. Quando ho voluto leggere il tema della donna nei vangeli ho cercato di vedere se c’è una teologia dell’evangelista, e come, all'interno di questa teologia, l’evangelista collochi la figura femminile. Allora, credo, emerge un contributo che a me pare interessante: se l’evangelista, che tutto sommato era la scuola di Gesù, si è preoccupato di descrivere un certo tipo di rapporti fra uomo e donna, un qualche valore l’avrà! Da ridiscutere, da ripensare, però secondo me è questa una base utile anche per eventuali altre indagini, alla ricerca di livelli precedenti della tradizione evangelica. Mi sembra importante anche il problema evocato da Gronchi: nella Chiesa ci sono i sacerdoti, che non sono sposati — e io penso che il celibato del clero sia un valore importantissimo — ma pensano, per il fatto che non sono sposati, che il problema “donna” per la loro vita sia chiuso, o lo risolvono, come ha detto lui, con il tema della mamma: la mamma è l’unica donna della mia vita, con tutte le conseguenze che egli ha evidenziato. Penso che un tema importante per questa discussione sia l’educazione dei sacerdoti, a partire dal seminario, a una relazione positiva e costruttiva con la donna, e non soltanto come anima da guidare. Cioè un prete deve imparare a dialogare e a entrare in una dinamica di collaborazione con le donne; oltretutto, se il tema non è preso in considerazione in modo critico e consapevole può portare ad atteggiamenti regressivi, invece che aiutare ad approfondire e dare maggiore vigore alla evangelizzazione e alla testimonianza della Chiesa. Damiano Marzotto C ONTINUAZIONE DALLA PAGINA 13 pienamente ragione della pluralità dell’umano se non si sciolgono alcuni nodi critici perché si può anche continuare a esaltare la donna, ma poi le donne continuano a vivere oltre il margine. La seconda ipoteca forte, poi, è il binomio mariano-petrino per configurare la fisionomia della partecipazione delle donne alla vita della Chiesa. Anche il Papa sembra prediligere questa strada battuta già dai suoi predecessori. Anche se, in forza di questo principio così come è stato formulato da Hans Urs von Balthasar, il mariano, cioè, l’accoglienza amorosa, è carisma primario rispetto al petrino, cioè l’esercizio del potere di giurisdizione, non ci si rende conto che ci si muove sempre su due piani e da questo prendono le mosse molte delle discriminazioni fondate sulla differenza sessuale. Ancora una volta: è necessario ripensare alcune categorie che venivano prima tranquillamente accettate perché, sia dal punto di vista simbolico, sia sul piano delle ricadute socio-ecclesiali, il modo di pensare il maschile e il femminile non è più lo stesso. Quando von Balthasar elabora la categoria del principio mariano-petrino, lo fa in assoluta coincidenza con la sua spiritualità e con il suo rapporto con la mistica Adrienne von Speyr, ma questa andrebbe ora ridiscussa sia in rapporto al Nuovo Testamento, sia sulla base di un nuovo rapporto tra antropologia ed ecclesiologia. L UMINI Vuoi dire che va ripensato il fatto che il petrino riguardi l’istituzione, mentre Maria rimandi alla relazione? Marinella Perroni Luisa Muraro

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