donne chiesa mondo - n. 11 - aprile 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2013 numero 11 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Dio e una donna fanno una maggioranza Storia di Josephine Butler la femminista cristiana che fece conoscere oltremanica Caterina da Siena di L UCETTA S CARAFFIA «D io e una donna fanno una maggioranza»: sono parole di una femmini- sta militante, che è stata anche un’appassionata cristiana, l’inglese Josephine Butler. Donna colta, era nata in una famiglia istrui- ta e progressista, impegnata contro la schiavi- tù, che le permise di studiare, e sposò George Butler, studioso e ministro anglicano, che con- divise con lei le battaglie più radicali, pagan- done le conseguenze nella carriera accademi- ca. Madre di quattro figli, la cui unica femmi- na è morta bambina, Josephine ha combattuto battaglie politiche decisive per il benessere delle donne lavoratrici ma soprattutto per la dignità delle prostitute. Ma è stata anche un’appassionata intellettuale: dopo avere aiu- tato il marito a preparare un’edizione critica degli scritti di Chaucer conservati nella Bo- dleian Library, è stata la prima donna ad avere il permesso di frequentare la biblioteca. Inizialmente, si era impegnata per dare alle donne la possibilità di accedere all’istruzione superiore, ma — soprattutto dopo la morte della figlia nel 1863 — la sua azione si è con- centrata soprattutto verso le donne che soffri- vano, cioè le prostitute. Dal 1866, quando George Butler si trasferì al Liverpool College, l’impatto con la grande città industriale fu de- cisivo per sensibilizzare Josephine sulla condi- zione delle donne delle classi basse. A partire dal 1869, Butler ha diretto la cam- pagna contro il Contagious Diseases Act , cioè la legge che imponeva alle donne sospettate di prostituirsi una visita ginecologica: se giudica- te infette da malattie veneree, dovevano passa- re un numero stabilito di mesi in ospedale, si- mile a una prigione, e poi naturalmente, or- mai schedate come prostitute, non potevano che tornare al loro mestiere. Chi rifiutava di sottoporsi all’esame veniva gettata in prigione. Josephine denunciava la prepotenza dei po- liziotti, la violenza con cui anche i medici trat- tavano queste donne, il fatto che potevano ca- dere nelle retate anche donne povere, ma che non si prostituivano, e che venivano poi sche- date definitivamente come prostitute. Ma so- prattutto si scagliava contro la doppia morale, che non prevedeva visite mediche per i fre- quentatori delle prostitute, che potevano così continuare impunemente a diffondere l’infe- zione. Questo regolamento, all’origine applicato solo nei porti e nelle città di guarnigione, nel 1869 doveva essere esteso a tutto il Paese: que- sto provocò la nascita di una Associazione femminile nazionale in cui Josephine gettò tutte le sue energie, nonostante aggressioni fi- siche e diffamazioni. Negli anni successivi, la sua azione si allargò ad altri Paesi europei in cui stavano entrando in vigore norme analo- ghe di regolamentazione della prostituzione, e si impegnò anche nella lotta contro la tratta delle bianche. Oltre a qualche opuscolo di ti- po politico, finalizzato alle sue battaglie, Jose- phine scrisse un solo libro: una biografia di Caterina da Siena, in cui vede un modello di azione politica e di rigore morale molto vicino alla sua esperienza. Intanto, non lesina parti- colari sulla sua influenza politica: «In effetti, si può veramente dire che Caterina governasse Roma a quel tempo. I suoi sforzi erano quasi sovrumani. Ogni mattina si recava in Campi- doglio dove l’attendevano i gonfalonieri della repubblica. Non veniva adottata alcuna misu- ra importante senza averla consultata. Gli in- teressi della comunità sembravano dipendere dalla sua presenza e dalla sua attività. Urbano VI le conferì i pieni poteri e autorità per agire per il bene della Chiesa. Cittadini importanti attendevano alla sua porta ogni giorno per un breve colloquio e per avere consigli su que- stioni difficili, private e pubbliche». Un vero modello per le prime femministe, quindi, an- che nell’aspetto, nel modo di fare: «Aveva un atteggiamento franco, era come un libro aper- to; aveva l’abitudine di guardare dritto negli occhi le persone cui si rivolgeva; la fronte era larga e aperta, un po’ troppo stempiata per es- sere bella; aveva i capelli e le sopracciglia marrone scuro; gli occhi grigi o nocciola; il naso diritto ed estremamente delicato; il men- to e la mascella forti e piuttosto prominenti; il sorriso viene sempre ricordato; un sorriso af- fettuoso, dolce, che si diffondeva in tutto il volto, le illuminava gli occhi e spesso prorom- peva in una risata. Non aveva il fascino della sicura bellezza, ma quello della gentilezza, della sincerità e della grazia. (...) Parlava ab- bastanza rapidamente e con il più dolce ac- cento senese; aveva modi particolarmente cor- tesi verso chi la veniva a trovare, inchinandosi profondamente per accoglierli, come si faceva a quel tempo, a volte inginocchiandosi quan- do salutava persone che considerava special- mente venerabili, sedendosi poi accanto a loro per conversare in modo franco e amichevole. I suoi modi, con uomini e donne, andavano un po’ oltre le convenzioni prescritte del tempo». Sulla scia di Caterina, nelle apparizioni pub- bliche, Josephine non si preparava un testo, ma si lasciava ispirare dallo Spirito Santo. E riscuoteva grande successo. La sua empatia con la santa la portava per- fino a dipingerla come proto-protestante: «Non c’è dubbio che, se fosse vissuta due se- coli dopo, nel mezzo delle convulsioni che la- cerarono la cristianità, sarebbe rimasta salda a fianco della verità evangelica e avrebbe unito la sua protesta a quella dei riformatori». Il libro di Butler contribuì certamente a far conoscere Caterina fra le femministe inglesi, e a far capire a queste donne moderne che, se volevano un esempio, un modello, lo trovava- no in questa santa medievale. di R ITANNA A RMENI M aria Bonafede è stata la prima donna eletta a ca- po dei valdesi. È stata la prima “moderatora” della tavola dal 2005 al 2012. Oggi è in sabba- tico, studia, viaggia, ma si prepara a riprendere il suo ruolo di pasto- ra, questa volta lontano da Roma. Nell’assumere il ruolo di “mo- deratora” ha sentito una particola- re responsabilità perché era una donna ed era la prima volta che una donna diventava capo della comunità evangelica valdese? «Uno dei motivi che mi hanno fatto decidere è stata proprio que- sta responsabilità. Avevo dei dub- bi. Li ho cancellati quando un’amica più giovane ha insistito dicendo che se non avessi accetta- to la sfida avremmo aspettato altri cinquanta anni prima di avere un’altra opportunità. Allora ho capito che non dovevo rifiutare, non si poteva saltare un appunta- mento con la storia. Per avere un moderatore donna c’erano già vo- luti ottocento anni». La sua candidatura è stata la conseguenza di una battaglia delle donne o è nata per caso? «Si è in- contrata sicuramente con una cre- scente sensibilità, visibile, del re- sto, da quando è stato ammesso l’accesso delle donne al ministero pastorale nel 1962. Se ne era di- scusso per quattordici anni fin dal 1948. Quello è stato davvero un dibattito importante in seguito al quale è aumentata la sensibilità sulle capacità e sui doni femmini- li. Credo di essere stata scelta per un’attitudine alla mediazione al dialogo sia tra i valdesi che con le altre confessioni cristiane». Esiste una fede femminile di- versa da quella maschile? «Ci ho pensato e credo di sì. Ci sono non solo una diversa sensibilità ma un diverso modo di credere, sperare e pregare. La mia, come quella di molte donne, è una fede capace di riconoscere il dubbio e di nomi- narlo, un combattimento quotidia- no con me stessa. Credo che que- sta sia una caratteristica femminile anche se so che tanti maschi si in- terrogano. Ma le donne sanno an- che esprimere i loro interrogativi, sanno renderli pubblici. Sono convinte che non c’è bisogno di mostrarsi sempre sicuri e forti. Anche la guida migliore conosce i pericoli e le fragilità di un percor- so di fede. E non per questo non è una buona guida. La problema- ticità femminile, il mettersi in questione e il saper ascoltare non solo le parole ma l’essenza delle persone sono attitudini più pre- senti nelle donne e avvicinano, creano fiducia nella Chiesa». La diversità femminile nella fe- de attraversa le religioni? «Certa- mente sì. L’ho visto nei rapporti ecumenici, ne ho parlato con mol- te donne cattoliche. Una suora re- centemente in convegno riflessio- ne ha affermato che le donne de- vono raccontare alla Chiesa tutta la loro esperienza di fede, che de- vono renderla patrimonio di tutti e metterla a disposizione. In mol- te ci siamo accorte di avere una vocazione e dei compiti che non possono essere ricoperti da altri. Che Dio vi ha fatto una proposta nuova e personale. Certo vale per tutti, ma per le donne delle Chie- se cristiane è stata la scoperta di una potenzialità nuova». Lei ha avuto a che fare sempre con il mondo maschile: ha trovato difficoltà? «La Chiesa cattolica ti tratta per come sei, sa che i valde- si sono diversi e ti riconosce. Se sei pastora, interloquisce con te in quanto pastora. All’interno del mondo valdese in questi anni è cambiato molto. Alcuni anni fa una donna doveva dare continue dimostrazioni di essere all’altezza. Le mie due lauree mi hanno aiu- tato, ma ho faticato per rompere un pregiudizio. Appena consacra- ta sono stata inviata per alcuni anni in una comunità che (l’ho scoperto solo dopo) non avrebbe voluto una donna. Nessuno me lo aveva detto. Molte famiglie erano diffidenti e hanno resistito finché hanno capito di potersi fidare. So che molte altre pastore hanno fat- to esperienze simili. Oggi molto è cambiato. C’è stata una comunità che doveva scegliere il proprio pa- store e che ha rivolto la chiamata a concorrere solo a pastore. All’inizio eravamo tre-quattro, ora siamo il quaranta per cento». Il dialogo fra le religioni oggi è più facile o più difficile? «Più dif- ficile. L’ecumenismo è difficile. Certo dopo il Vaticano II c’è stato un lavoro di apertura, di dialogo, di costruzione, sono crollati i muri del pregiudizio. Ma oggi si do- vrebbe osare di più e affrontare anche i temi più scomodi, quelli che fanno male». Lei ha incontrato molte suore cattoliche, un mondo vario, in movimento. «Ho incontrato teolo- ghe importanti, insegnanti e an- che suore molto semplici. Queste rimangono sempre ai margini, quasi nascoste. Ho partecipato una volta a un pranzo in una ba- silica romana. Un pranzo ottimo nel quale però erano presenti solo uomini. Ho chiesto chi lo aveva preparato. Mi hanno detto che erano stare due suore che nessuno aveva invitato. Quando sono an- data a ringraziarle si sono nasco- ste, non volevano apparire. In una comunità ortodossa etiope le don- ne mangiavano a parte. Io man- giavo con gli uomini ed ero molto a disagio. Pure le Chiese, tutte le Chiese, non avrebbero niente da perdere a valorizzare le donne. Anzi ci guadagnerebbero». di G IULIA G ALEOTTI «A l femminismo rivoluzio- nario (…) si è aggiunto un femminismo cristia- no: Benedetto XV nel 1919 si è pronunciato in favore del voto alle donne; Mons. Baudrillart e Padre Sertillanges fanno un’ardente campa- gna in questo senso (…). Al Senato numerosi cattolici, il gruppo dell’Unione repubblicana, e d’altra parte i partiti di estrema sinistra, so- no per il voto alle donne: ma la maggioranza dell’assemblea è contraria». Così scriveva Si- mone de Beauvoir nel suo celeberrimo saggio Il secondo sesso . Ricordando l’impegno di Papa della Chie- sa, del futuro cardinale Alfred-Henri-Marie Baudrillart, del teologo domenicano Antonin Sertillanges, colei che viene universalmente ricordata come la madre del femminismo ri- conosceva il favore attivo della Chiesa catto- lica verso l’allargamento del suffragio alle donne. E coglieva un punto che da metà Ot- tocento in poi caratterizzò questa battaglia in molti Paesi occidentali: la poco nota vicinan- za tra cattolici e socialisti. È stato il caso della Francia. Ma è stato anche il caso di altri Paesi occidentali. «I partiti democratici occhieggiano al femmini- smo, si atteggiano di quando in quando a suoi paladini ma non offrono nessun contri- buto di pensiero e di azione organico e dura- turo — si legge nella lettera aperta che nel 1919 l’Unione Femminile Nazionale italiana indirizzò all’onorevole Antonio Salandra — Soltanto i partiti clericale e socialista (…) fanno un posto alla donna anche nelle loro organizzazioni economiche e politiche». Superato l’iniziale contrarietà della Chiesa (nel 1905 Papa Pio X affermava che «la don- na non deve votare ma votarsi ad una alta espressamente il suffragio alle donne nel suo programma. Convinto che l’allargamento del- la partecipazione alla cosa pubblica alle si- gnore non avrebbe danneggiato la famiglia, don Sturzo non solo considerava il voto am- ministrativo e politico «una conseguenza lo- gica di una partecipazione extra-familiare alla vita sociale e agl’interessi collettivi», ma so- prattutto inseriva l’allargamento del suffragio in una «concezione dinamica» della demo- crazia, come «fattore complessivo di educa- zione civile». Tutt’altro che isolata, la posi- zione del Partito Popolare esprimeva la capa- cità di parte della Chiesa di cogliere il senso di una presenza femminile in grado di arric- chire democraticamente la società. Questa apertura aveva alle spalle non solo la tradizione cattolica (il diritto canonico, ad esempio, per secoli è stato il solo a porre sul- lo stesso piano adulterio maschile e femmini- le), ma anche un’attività indefessa da parte delle donne cattoliche che ne aveva messo chiaramente in luce doti, capacità e valore. Basti pensare all’attività di tante giovani, per lo più maestre o impegnate nell’organizzazio- ne delle operaie, come Angelina Dotti, Pieri- na Corbetta o Adelaide Coari (di costei è ce- lebre la contrapposizione con Elena Da Per- sico, fieramente contraria invece al suffragio femminile, a dimostrazione di come le donne non siano state mai in passato né siano oggi un blocco monolitico). Non che, ovviamente, la nascita del Partito Popolare avesse fatto scomparire forti per- plessità all’interno del variegato mondo cat- tolico verso il voto alle donne. Anzi, il suffra- gio femminile sembra giocare un ruolo cen- trale nell’attacco che «La Civiltà Cattolica» mosse al programma del Partito Popolare nel 1919: premesso che il voto alle donne costi- tuisce uno dei «punti indiscutibili espressi dal partito, ma per lo meno discutibili secon- do le dottrine cattoliche, perciò da non im- porsi alle coscienze dei cattolici», quello che deve essere chiaro è che il suffragio femmini- le, tutt’altro che un diritto o una prova di de- mocrazia, è «una necessità sociale, per op- porre i voti supposti conservatori delle donne ai voti generalmente sovversivi dei socialisti, degli anarchici o di altri siffatti partiti estremi». La via comunque era ormai tracciata. E questo ben prima della netta presa di posi- zione del 21 ottobre 1945, quando Pio XII esorterà, senza mezzi termini, le donne a uscire dalla sfera privata: «La vostra ora è so- nata, donne e giovani cattoliche; la vita pub- blica ha bisogno di voi». Ad esempio, scrivendo che «il femminismo è una questione di pane», nel 1930 padre Sertillanges (ricordato, come visto, anche da Simone de Beauvoir) argomentava: «I fatti e le condizioni imposte alla donna da tutto il movimento contemporaneo vanno difenden- do la sua causa nel modo più efficace, perché non sono più discorsi ma solide realtà che di qui a poco busseranno alle nostre cittadelle politiche per farvi breccia in nome della don- na. Se ovunque, nei gruppi femminili, si svi- luppano iniziative, si assumono incarichi, se si conquista una larga istruzione, se ci si co- struisce un valore personale e professionale che presto diventerà un valore di opinione, non sarà permesso a lungo di ragionare di voto femminile in modo accademico». È inoltre interessante ricordare che la fem- minista americana Dorothy Day — incarcera- ta nel novembre 1917 per aver protestato, in- sieme ad altre 39 donne di fronte alla Casa Bianca per l’esclusione femminile dal suffra- gio — è stata proclamata serva di Dio. E che la prima donna a far parte del Consiglio co- munale di Vienna nel 1919 per il Partito So- cialdemocratico nonché, l’anno dopo, la pri- ma donna a essere eletta deputata al Consi- glio nazionale austriaco, a suffragio universa- le appena conquistato, fu la beata Hildegard Burjan. Del resto, è una cattolica italiana ad aver pronunciato una delle frasi più determinate a denuncia dell’uso pretestuoso che, troppo spesso, ancora si fa delle donne in politica. Il I ° ottobre 1945, durante i lavori della Consul- ta italiana, per la prima volta una donna par- la in aula in veste di esponente politica. È la democristiana Angela Guidi Cingola- ni. Consapevole ma non paga del significato storico del suo intervento, non pronuncia un discorso di circostanza: denunciando quanto poco era stato fatto, e si continuava a fare, per le donne in politica, Guidi Cingolani rimprovera l’uditorio maschile: «Parole genti- li, molte ne abbiamo intese nei nostri riguar- di, ma le prove concrete di fiducia in pubbli- ci uffici non sono molte in verità». Ottenuto, accanto al voto, l’elettorato pas- sivo (ora contestualmente, ora prima, ora do- po), tra le poche donne occidentali elette in Parlamento, molte saranno cattoliche. Per lo più ignorate, il loro determinante lavoro è stato però doppiamente ostacolato. Guardate con diffidenza dai loro stessi partiti perché donne, sono state marginalizzate anche dalle altre donne in quanto cattoliche, e quindi so- spette di eccessivo conservatorismo. È questo il prosieguo della storia, che merita di essere raccontato nei suoi aspetti meno noti e più sorprendenti. Il compito per le donne cattoliche in poli- tica è stato e resta grande: partecipando alla cosa pubblica come elettrici e come elette, compiamo quotidianamente un passo ulterio- re verso il riconoscimento del valore della soggettività come diritto di cittadinanza. Una cittadinanza che si fa e che ci fa responsabili nella storia e della storia. Della storia civile che è e resta parte integrante della storia del- la salvezza. Il romanzo Se va via il Re La seconda guerra mondiale è appena finita, Roma riprende faticosamente a vivere tra dolori, privazioni e grandi speranze: nel romanzo di Lia Levi Se va via il Re (e/o 1996) la voglia di ricominciare è vissuta e raccontata da una bambina ebrea curiosa e attenta. Le macerie, la fame arretrata, gli aiuti americani e il fatidico 2 giugno 1946 quando, per la prima volta in Italia, votarono anche le donne. La bimba fotografa tutto: la consapevolezza della storicità del momento; la politica che chiama a raccolta tutte le donne, ma proprio tutte; la preoccupazione (smentita) che costoro avrebbero votato compatte per la monarchia; l’incubo del rossetto (all’epoca, la scheda elettorale andava chiusa come una busta, e si temeva che tracce di colore avrebbero potuto invalidare il voto). Nel nervosismo della madre e del padre, nella coralità della scena che vede uomini e donne appropinquarsi al seggio, attraverso gli occhi della bambina Lia Levi tratteggia con grande maestria lo stato d’animo di un’intera comunità chiamata a entrare in relazione con qualcosa di veramente nuovo. ( @GiuliGaleotti ) Il film The Iron Lady La Lady di ferro, la leader politica di sesso femminile più dura del Novecento, nel film The Iron Lady (2011) di Phyllida Lloyd, è raccontata dal lato della debolezza: è un’anziana con problemi di memoria, che soprattutto rifiuta la morte del marito, sempre in secondo piano nella sua vita, ma invece è stato fondamentale per il suo equilibrio, con il quale si ostina a continuare il dialogo quotidiano. Il marito che ha saputo accettare la ruvida figlia del droghiere, tanto ambiziosa e intelligente, concreta e piena di coraggio, che è stata capace di superare i pregiudizi misogini dei colleghi in politica senza fare appello a nessuna ideologia femminista, ma solo dimostrando di essere più capace di loro. Ma per fortuna, nel film, viene dato spazio anche alla civetteria di Margaret Thatcher, alla sua passione per le borsette e per i colori pastello, alla sua rivalità tutta femminile con la regina Elisabetta. Facendoci capire che anche una donna di ferro ha il suo modo femminile di gestire il potere. ( @LuceScaraffia ) P REMIATA LA CILENA SUOR N ELLY L EÓN È stata suor Nelly León Correa, responsabile della cappellania del penitenziario femminile di San Joaquín in Cile, a vincere il riconoscimento dell’organizzazione Comunidad Mujer che ogni anno premia l’istituzione o la persona distintasi per il lavoro svolto a favore delle donne. Cilena, la quarantottenne suor Nelly (che fa parte delle suore di Nostra Signora della carità del Buon Pastore, vicine alle persone vulnerabili) ha creato la fondazione Mujer Levántate (Donna alzati) che sostiene le donne in carcere. Nella sola Santiago le detenute (recluse principalmente per reati legati al microtraffico di droga) sono circa 1.400, provenienti da Cile, Bolivia, Perú e Argentina. Oltre alla relazione individuale e all’ascolto, suor Nancy (da nove anni impegnata in questo campo) si occupa delle necessità pratiche delle detenute e dei contatti con le loro famiglie. Lavorano con lei 3 religiose (di altri istituti) e 35 laici. A Santiago, racconta, «abbiamo avviato anche una collaborazione con gli studenti dell’ultimo anno di legge dell’Università cattolica per le detenute che non possono pagare un avvocato e quindi hanno bisogno del patrocinio gratuito». In carcere la situazione è particolarmente critica per le donne con problemi mentali: «Non esiste un luogo separato dove possano vivere: stanno con tutte le altre, senza possibilità di essere curate. Come cappellania stiamo chiedendo uno spazio protetto per loro, anche per arginare la violenza che può nascere». Nel settore dei diritti umani e della violenza contro le donne, è stata invece premiata l’avvocato Paulina Maturana Vivero. Un riconoscimento infine all’impegno sociale dell’imprenditrice Rosa Esther Salazar: titolare di una fabbrica che realizza vestiario protettivo per i minatori, ha dato lavoro a cento detenute del carcere della città portuale di Antofagasta. B ADANTI E ANZIANE IN CORO Cantano per creare un contatto tra generazioni e nazionalità diverse e per recuperare il filo dei ricordi. Sono il Coro delle badanti, un gruppo formato da donne anziane e da persone che si occupano di loro giorno e notte. Al primo incontro, avvenuto il 12 marzo a Villa Piaggio a Genova, faranno seguito altri undici: tutti, gratuiti, di lunedì, fino al prossimo 17 giugno. L’iniziativa, che finora ha coinvolto una decina di donne — per la metà originarie di Ucraina, Russia ed Ecuador — è nata da un’idea dell’attrice Carla Peirolero, in collaborazione con UniAuser, Anziani Oggi e il sostegno della fondazione Carige. A dirigere le coriste è Laura Parodi, specializzata in musica popolare, secondo cui «cantare permette di mettere in circolo energie inascoltate. Vogliamo dare importanza alle culture delle badanti e all’anziano, che spesso non ha modo di esprimersi». Il repertorio del coro verrà scelto strada facendo, con il contributo di badanti e anziane. Il primo brano eseguito è stato Voglio andare in America , canto tradizionale sull’emigrazione. L E SUORE DEL G UATEMALA Delicato ed essenziale: è il servizio che il giornalista di Al Jazeera David Mercer ha realizzato da San Pedro, in Guatemala, raccontando l’impegno delle suore a favore dei bimbi appartenenti alla popolazione maya, tra le minoranze più povere e trascurate del Paese. Nell’assenza di aiuti statali, le religiose offrono ai bimbi cibo, cure mediche, istruzione e guida spirituale. Suor Maria Del Rosario sente la responsabilità e la bellezza del proprio lavoro: dare ai bimbi gli strumenti per affacciarsi all’età adulta con consapevolezza e capacità. R ITA P RIGMORE Rita Prigmore, zingara di etnia sinti sopravvissuta agli esperimenti medici nazisti, ha raccontato la sua storia (grazie alla mediazione della comunità di Sant’Egidio) agli studenti di Frosinone. Nate nel 1943, Rita e la gemella Rolanda furono usate come cavie umane a sole sei settimane di vita. Subirono incisioni sul cranio e altre sevizie, a cui Rolanda non sopravvisse. La madre (sterilizzata insieme al marito) riuscì a fare battezzare almeno Rita. La bimba fu poi costretta a lasciare la scuola per dolori lancinanti alla testa, svenimenti e malori. Trasferitasi negli Stati Uniti, solamente da adulta conoscerà la verità. Rita — la cui testimonianza, insieme a quella della madre, è stata registrata da Spielberg e custodita nell’Holocaust Memorial di Washington — non si stanca di raccontare ai più giovani le sue dolorose esperienze, mettendoli in guardia sulle terribili conseguenze del razzismo verso zingari e immigrati. A quanti le hanno chiesto se non provi sentimenti di rancore o vendetta, Rita Prigmore ha risposto serena e decisa: «Perdonare, ma non dimenticare». U N BUFALO PER UNA MOGLIE Ragazzine di 14-16 anni vengono comprate e vendute come mogli nello stato centrale indiano del Madhya Pradesh in cambio di denaro. Al contante si va spesso ad aggiungere un bufalo. La situazione è conseguenza della strage delle bambine: avendo difficoltà a trovare le spose per i figli maschi nelle regioni di origine, le famiglie si rivolgono ai trafficanti perché procaccino loro future mogli altrove. L’allarme è stato lanciato, tra gli altri, da Amarjeet Singh dalle pagine di «The Times of India». Il giornalista racconta anche che è molto difficile perseguire il crimine: la povertà, infatti, rende le vittime e le loro famiglie incapaci di valutare ciò che stanno subendo, e di agire di conseguenza. D UE MILIONI I BIMBI SIRIANI COLPITI I bambini siriani stanno pagando il prezzo più alto per il conflitto in corso nel Paese: la violenza è arrivata infatti a colpire oltre un milione e ottocentomila minori. «Il rischio che diventino una generazione perduta cresce ogni giorno»: l’ennesima voce che sta tentando di richiamare l’attenzione su questo dramma è l’Unicef, che racconta di arresti, mutilazioni e omicidi. Un quinto delle scuole siriane ha subito danni, compromettendo seriamente l’istruzione di centinaia di migliaia di minori. Oltre cinquecentomila sono già fuggiti in Libano, Giordania, Iraq, Turchia ed Egitto, finendo spesso nei campi profughi. Sono, ad esempio, bimbi la maggior parte degli sfollati nel campo di Atmeh, al confine tra Siria e Turchia. Molti di loro sono stati testimoni di fatti atroci, alcuni hanno perso i familiari e tanti soffrono di insonnia o hanno paura dei rumori forti come quelli degli aerei. Tra le tende del campo, creato quando la Turchia ha ridotto drasticamente l’ingresso dei siriani bloccandone migliaia alla frontiera, è facile incontrare minori che raccolgono la legna o portano l’acqua. Solo a volte si vede qualcuno di loro giocare. Ogni giorno continua ad arrivare gente, ma non ci sono tende e cibo a sufficienza. Il saggio Dieci donne In età contemporanea l’estraneità delle donne rispetto alla politica era talmente scontata che la maggior parte delle leggi elettorali non sentì la necessità di escluderle espressamente dall’elettorato, esattamente come non avveniva per cani, piante o pietre. La lacuna però non passò inosservata: in diversi Paesi occidentali, infatti, alcune donne chiesero l’iscrizione alle liste elettorali. Le prime furono le inglesi: era il 1868. Nel 1906 anche le italiane cercarono di approfittare del vuoto legislativo e, sorprendentemente, in alcuni casi le loro domande furono accolte. Ma la magistratura, chiamata a pronunciarsi su tale ammissione, si oppose sempre. Con una sola eccezione: il 25 luglio 1906 la corte di appello di Ancona valuterà la loro iscrizione conforme allo Statuto Albertino. La sentenza sarà poi chiaramente cassata e le signore cancellate dalle liste, ma il significato politico dell’episodio rimase. A queste elettrici mancate lo storico Marco Severini ha dedicato il volume Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane (Liberilibri 2012), di cui offre puntuali ritratti. Età media 28 anni, estrazione modesta, professione maestre (tre di loro frequentavano anche corsi universitari). Otto si sposeranno: Igina Matteucci, però, aspetterà di aver compiuto 85 anni. ( @GiuliGaleotti ) Il suo libro rivelò alle inglesi in cerca di un modello a cui rifarsi che questa santa medievale era perfetta allo scopo Sulla scia della mistica italiana, l’inglese non si preparava un testo nelle apparizioni pubbliche Si lasciava ispirare dallo Spirito Santo Josephine Butler in una foto del 1870 La moderatora della Tavola Incontro con Maria Bonafede, la prima eletta alla guida del valdesi La fede delle donne ha un tratto specifico È una fede capace di riconoscere il dubbio e di nominarlo La vita pubblica ne ha bisogno Inchiesta sul contributo cattolico alla battaglia per la conquista del suffragio femminile Ottenuto anche l’elettorato passivo tra le poche occidentali in Parlamento molte saranno cattoliche Nonostante il loro apporto prezioso subiranno un doppio ostracismo: dai partiti e dalle altre donne «Il femminismo è questione di pane Non è più possibile ragionare di voto femminile in modo accademico» scriveva padre Sertillanges nel 1930 Papa Francesco Con l’immagine di questa suora in raccoglimento — ritratta in piazza San Pietro nelle ore del conclave — vogliamo rivolgere il nostro saluto e la nostra preghiera per Papa Francesco. Donne francesi incatenatesi in Place de la Concorde a Parigi per richiamare l’attenzione pubblica sul mancato allargamento del suffragio alle donne Suore in fila davanti al seggio (Roma, 18 aprile 1948) idealità di bene umano»), analo- gamente a quanto accadeva tra i socialisti (inizialmente contrari al suffragio femminile perché teme- vano il ruolo conservatore delle donne), in quegli anni si andava definendo un importante cambia- mento nella posizione assunta dalla Chiesa cattolica. Eppure di lì a poco, con il ritorno dei cat- tolici sulla scena politica italiana, il Partito Popolare di don Luigi Sturzo — oltre a inse- rire una donna nei suoi organi dirigenti (Giuseppina Novi Scanni, esponente del sin- dacalismo femminile cattolico) — previde

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