donne chiesa mondo - n. 11 - aprile 2013

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne La difficile vita del movimento Donne al Muro per pregare di A NNA F OA E brei in preghiera malmenati e arrestati dalla polizia, il roto- lo della Torah strappato dalle mani di uno di loro. Quello che non potrebbe succedere neanche nel più antisemita dei paesi arabi succede invece in Israele al Muro Occidentale, il co- siddetto Muro del Pianto, il Kotel in ebraico, e a opera della po- lizia israeliana. Il fatto è che questi ebrei sono in realtà ebree, che l’ebreo a cui è stato strappato il rotolo della Torah è una donna, Anat Hoff- man, leader del movimento Donne del Muro, Women of the Wall (Wow): un movimento nato già nel 1988, quan- do un gruppo di donne cominciò a recarsi al Muro Oc- cidentale, nella se- zione riservata alle donne, separata da quella molto più ampia riservata agli uomini, indossando il talled , lo scialle di preghiera e i tefillin (piccole scatole ne- re che contengono versi della Torah e che si legano alla fronte) e portando con sé i rotoli della Torah. La reazione degli ultraortodossi, che negavano loro il di- ritto di leggere la Torah ritualmente e di vestire gli oggetti da preghiera, fu violentissima. Da allora ogni Rosh Chodesh (Capome- se), le donne si ri- trovano davanti al Muro per pregare, nonostante gli at- tacchi degli ultraor- todossi, che le aggrediscono e insultano, gettano loro sedie e altri oggetti, le chiamano naziste. Nel 2002 le Donne del Muro hanno interpellato la Corte Su- prema israeliana sul loro diritto a pregare collettivamente al Mu- ro leggendovi la Torah. Una prima risposta della Corte, che con- sentiva loro di farlo nello spazio antistante la zona riservata alle donne, è stata subito annullata in seguito alle proteste degli ul- traortodossi. La Corte ha deciso allora di proibire loro di pregare nella zona di fronte al Muro, relegandole in una zona laterale. Ciò nonostante, in particolare a partire dal 2010, esse vengono aggredite mentre si recano nella zona loro destinata, arrestate, malmenate tanto dalla polizia che dagli ultraortodossi, che consi- derano il Muro come una zona a loro soggetta e da loro total- mente gestita. Nonostante lo scandalo suscitato da tali fatti nel mondo ebrai- co statunitense e nella diaspora, le donne non hanno finora tro- vato un grande appoggio in Israele. Ai laici, in realtà, poco inte- ressano le modalità della preghiera e queste donne sono religiose. Molte di esse appartengono all’ebraismo riformato o conservative , ma molte sono anche ortodosse moderate, che chiedono l’ugua- glianza con gli uomini nella preghiera. Le Donne del Muro non rimettono in discussione la separazio- ne fra la zona riservata agli uomini e quella in cui vengono rele- gate le donne, ma vogliono pregare come gli uomini, coperte dal talled , leggendo ad alta voce il rotolo della Torah. Una cosa che finora nel mondo ebraico ortodosso le donne non fanno, e che è prerogativa dell’ebraismo cosiddetto “liberale”. Per gli ultraorto- dossi, la questione in discussione non è la promiscuità fra uomini e donne, su cui pure hanno condotto molte delle loro battaglie, e fra l’altro quella sulla segregazione negli autobus di Gerusalem- me che attraversano il quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, in nome della “modestia” femminile e del fatto di non indurre in tentazione i pii studenti delle scuole rabbiniche del quartiere (com’è noto molto facili a cadere in tentazione). Qui si tratta invece proprio della libertà religiosa delle donne. Gli ultraortodossi le accusano di essere femministe e di voler in- dossare per questo, e non per spirito religioso, talled e tefillin . La polizia, che non può arrestarle per aver indossato il talled , o per- ché femministe, le arresta perché questo turba l’ordine pubblico. Poi le rilascia, proibendo loro l’accesso al Muro per un certo pe- riodo. E intanto la battaglia si allarga, e gli stessi laici, in Israele, cominciano ad accorgersi che la libertà religiosa è una questione che interessa tutti, anche chi non prega. Tu in me e io in te, Signore La santa del mese raccontata da Enzo Bianchi N ell’imminenza del primo an- no santo del 1300, Bonifacio VIII attribuì il titolo di dot- tori della Chiesa ad alcuni padri della Chiesa latina. Era il riconoscimento di un’eccellenza di insegnamento, di un magistero illuminante per tutta la Chiesa. Nei secoli successivi altri padri, anche della Chiesa d’oriente, furono proclamati dottori, sicché dopo il concilio Vaticano II erano trenta questi santi “insegnanti”, ma nessuno di loro era una donna. Paolo VI sorprese molti quan- do propose di esaminare la possibilità di riservare tale titolo a Caterina da Siena. Il Papa ricordò che certamente avevano pe- sato molto nella storia della Chiesa le pa- role dell’apostolo Paolo: «Le donne tac- ciano nell’assemblea» ( 1 Corinzi 14, 34). D’altra parte giustificò la propria scelta di- cendo che «la donna partecipa del sacer- dozio comune dei fedeli, che la abilita a professare la fede», e in questa professio- ne, attraverso le parole e gli scritti, può diventare una luce per tutta la Chiesa. Così Caterina da Siena l’8 gennaio 1970 venne proposta ai cattolici quale dottore e riconosciuta tale nel culto. Ma chi era Caterina? Era una donna cristiana, una semplice fedele, nata a Sie- na e vissuta tra il 1347 e il 1380. Una don- na «fatta fuoco», con una vita segnata da una straordinaria assiduità e intimità con il Signore, una vita spesa a servizio dei fratelli e capace anche di un’efficace “pre- sa di parola” nella Chiesa. Una donna che non si sentiva chiamata, come comune- mente avveniva in quel tempo, a scegliere tra matrimonio o vita claustrale ( aut mari- tus aut murus ), ma che osò restare nella compagnia degli uomini, nella pòlis , come una semplice battezzata che «vuole diven- tare un altro Cristo attraverso l’unione a lui nell’amore», e in questa sua dignità cristiana assumere anche una responsabili- tà pubblica. Ultima dei venticinque figli di Jacopo Benincasa, tintore di lana, e di Lapa Pia- centi, Caterina vive fino a 27 anni in mo- do quotidiano ma ascetico, impegnata nel- la “penitenza” in una stanza diventata co- me una cella monastica, dove la contem- plazione del Signore e l’esercizio dell’arte del riconoscimento della sua presenza di- venta il suo impegno. Giovanissima era entrata a far parte dell’ordine delle man- tellate, una sorta di terz’ordine domenica- no, dedicandosi alle opere di misericordia quali le visite agli ammalati negli ospedali della città, la cura dei lebbrosi. È la vita del Gesù dei vangeli che assume come ispirazione, e in tutto cerca non solo di conformarsi a lui ma soprattutto di vivere con lui un’intimità di tutta la sua persona, compreso il suo corpo. Il mistero straordi- nario di Dio nella carne umanissima di Gesù Cristo diventa per Caterina il “fuo- co” della sua contemplazione, della sua preghiera, della sua passione, di tutta la sua vita. Il corpo di Gesù, nella sua realtà di corpo di carne e di sangue, diventa così la sua “esperienza”, vissuta nel proprio corpo di donna di fuoco. Il corpo e il san- gue di Cristo contemplato è anche il cor- po e il sangue dei malati e dei poveri che Caterina serve, è il corpo e il sangue di Cristo nell’eucaristia, è il corpo e il sangue di Cristo che è la Chiesa. In questo tratto della vita spirituale di Caterina c’è tutta la capacità di percezione e di discernimento del corpo propria delle donne, un tratto della femminilità che sa leggere il processo della nostra divinizza- zione in un corpo a corpo con Gesù Cri- sto. Possiamo addirittura essere scandaliz- zati dalle parole di Caterina, ma il suo lin- guaggio è quello dell’amore manikòs , folle, della passione che è vampa di fuoco (cfr. Cantico dei cantici 8, 6), dell’amore che tutto brucia, purifica e consuma nel cro- giolo della comunione con il Signore. Ca- terina, donna di desiderio, brama il corpo di Gesù, brama l’eucaristia, brama di esse- re seduta alla tavola della Triunità di Dio, tavola imbandita dal Padre, in cui il Figlio è il cibo e lo Spirito è colui che serve. Ca- terina ha un abisso di conoscenza divina che quasi non riusciamo a sostenere, e in questo intimo commercium con Cristo giun- ge fino a sentire con lui uno scambio dei cuori: il cuore di Gesù nel suo petto e il suo petto nel cuore di Gesù! Certamente non si può non fare men- zione anche della Caterina che “prende la parola” nella Chiesa. A partire dal 1374 inizia infatti la sua azione pubblica: essa sente questa sua attività di parola e di scrittura come un mandato che viene dal Signore stesso, e in risposta a tale appello vuole essere serva di Gesù Cristo e dun- que di tutta la Chiesa, serva del suo rin- novamento e della sua comunione. Im- pensabile ma vero: una donna, una sem- plice battezzata, indirizza lettere non solo a semplici cristiani, ma anche a vescovi e Papi. Che autorità ha? Nessuna, se non l’autorevolezza di chi è teodidatta, am- siamo citare, oltre alle Scritture, da lei co- nosciute e frequentate personalmente e con intensità, i padri del deserto, Agosti- no, Gregorio Magno, Bernardo di Clair- vaux, Tommaso d’Aquino. Potremmo sin- tetizzare tutta l’esperienza e la dottrina di Caterina in queste parole: «Tu in me e io in te, Signore!» ( Giovanni 17, 21). Enzo Bianchi (1943) è fondatore e priore della Comunità monastica di Bose. L’università di Torino gli ha conferito la laurea honoris causa in Scienze politiche. Membro del Consiglio del Comitato cattolico per la collaborazione culturale con le Chiese ortodosse e orientali del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha partecipato come esperto alle assemblee del Sinodo dei vescovi nel 2008 e nel 2012. Autore di libri di spiritualità biblica e patristica, scrive per «La Stampa», «la Repubblica», «Avvenire», «Jesus», «Famiglia cristiana». Francesco Messina, «Santa Caterina da Siena» (1961) Caterina non si sentiva chiamata a scegliere tra matrimonio o vita claustrale Donna «fatta fuoco», osò restare nella compagnia degli uomini, nella polis maestrata da Dio, di chi è stata dotata da Dio di doni par- ticolari e li mette a servizio della comu- nità cristiana. E così ecco Caterina dare un notevole contri- buto alla riforma tentata da Gregorio XI , eccola consiglia- re il Papa, eccola ri- chiedergli al Papa di riportare da Avi- gnone a Roma la sede apostolica. E si potrebbero ricorda- re anche le sue pa- role di pacificazione all’interno della vita della pòlis . Da dove le ven- gono questo fuoco e questa forza? Dal desiderio che la abita, desiderio di un amore bruciante di Cristo, suo spo- so, come Caterina spesso lo chiama. Da questa dinamica passionale nascono le sue numerosissi- me lettere, il suo Dialogo , le bellissi- me Orazioni . Quan- to alle fonti di que- sta teodidatta, pos-

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