donne chiesa mondo - n. 10 - marzo 2013

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2013 numero 10 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Di fronte al drago La lotta di Marina contro il male rivela che nella tradizione agiografica donne e uomini sono uguali di S ANDRA I SETTA M arina, in greco Pelagia, nelle versioni latine della passio di- viene Margherita e con questo appellativo viene celebrata il 20 luglio. I manoscritti perve- nuti risalgono al IX secolo ma il nucleo origi- nario è più antico. Margarita, la perla, è sim- bolo dell’umiltà per le sue piccole dimensioni: nel testo greco, Marina riferisce a se stessa l’attributo “perla” per indicare la sua castità, la sua anima, la sua virtù, significati che pos- sono giustificarne la trasformazione in nome proprio. Le versioni latine insistono infatti sul- le doti morali della santa, sfumando l’accento originario posto invece sulla sapienza, con cui Marina giunge alla conoscenza della verità, anche di quella segreta sull’origine delle forze del male. La sua vita sembra una favola: bellissima, figlia di un pagano ma convertita al cristiane- simo dalla nutrice, viene chiesta in sposa dal potente governatore della provincia. Ma la fanciulla ha già scelto di essere solo di Dio e rifiuta il pretendente, andando incontro, co- raggiosamente, al martirio. Rinchiusa in una prigione segreta, sola, pre- ga Dio di mostrarle il reale nemico contro cui dovrà combattere: ed ecco in un angolo buio compare un dragone orribile che l’afferra e la inghiotte. Protendendo le mani in segno di croce, Marina provoca nel mostro l’esplosione del ventre da cui fuoriesce lasciandolo a terra morto. protettrice delle partorienti: le future madri, infatti, per scongiurare i pericoli del parto, si posavano sul ventre gravido un libro della vita di Marina, o meglio ancora, se era possibile, una delle “cinture” della santa conservate in Francia. Una devozione tutta al femminile, dunque, in linea con la tradizione agiografica in cui, come in altre passiones , nella santità si annullano le disparità di sesso e nella lotta con il male uomini e donne diventano perfet- tamente sostituibili. L’incontro con il demonio, un vero e pro- prio combattimento con il male, ha assicurato a questa passio una fortuna strepitosa, sia lette- raria che iconografica, dove Marina è ritratta nell’attimo in cui un mostruoso drago la in- ghiotte, per poi uscirne illesa. di A NNA P OZZI «N el male assoluto il Dio degli occidentali per me si è fatto presenza. Chiusa nella sofferen- za non riuscivo a fare posto agli altri. Finché Lui non mi ha fatto prendere coscienza che appartenevo ancora a un’umanità». Claire Ly ha il sorriso dolce e la gentilezza tipici degli orientali. Ma ha anche uno sguar- do fermo e pulito, che rivela un animo forte e profondo. Una forza che nasce da una frat- tura, da un dolore, da una perdita. Frattura vissuta nella carne e nello spirito. Storia per- sonale e storia un popolo. Cambogia, 1975-1979. Claire Ly, come mi- lioni di suoi concittadini, subisce la follia mortifera del regime dei khmer rossi, che spazzerà via dal suo Paese due milioni di persone su sette milioni di abitanti. Riaffiora- no i ricordi di quei tempi bui: «Volevano co- struire una società “pura”, eliminando tutti gli ostacoli a cominciare dalle persone che potevano pensare, in particolare gli intellet- tuali. Sin dalle prime ore hanno fucilato tutti i professori e gli studenti sino al terzo anno di università, tutti i capiservizio e i notabili, considerati degli imperialisti». E tornano an- che le memorie personali: «Mio padre, mio marito e i miei due fratelli… Sono stati tutti fucilati». Lei, invece, sopravvive. Ma con il figlio di tre anni e la figlia in grembo, viene deportata in un campo di lavoro forzato, costretta a “purificarsi” attraverso il lavoro nelle risaie e i corsi di indottrinamento. All’epoca Claire è una giovane donna bud- dhista. Docente di filosofia, è responsabile del dipartimento del ministero dell’Istruzione per la traduzione dei libri scolastici dal fran- cese, si ritrova da un giorno all’altro a essere una “nemica”. Perché intellettuale. Perché borghese. Dunque, da sottoporre a rieduca- zione. Deve spogliarsi di tutto, persino della sua lingua khmer più raffinata e colta. E allora si rifugia nel silenzio. Un silenzio colmo di rabbia, di frustrazione, di indigna- zione. Che non può dire a nessuno. Perché non c’è nessuno con cui confidarsi e di cui fidarsi. E allora da quel silenzio viene fuori un grido di rabbia e di ribellione. Contro qualcuno di più grande e di più potente, contro qualcuno che a quel tempo Claire chiama il Dio degli occidentali. «Perché per me — racconta — in quel mo- mento l’Occidente era colpevole. E dunque anche il loro Dio era per me il colpevole ideale. Il buddhismo dice che se non puoi vo cammino che è costretta a intraprendere in un’altra terra, la Francia, che l’accoglie, ma la fa sentire anche diversa ed estranea, che le propone percorsi di integrazione che però rischiano di disintegrarla. È qui che tro- va la forza e l’accompagnamento che la por- teranno dalla saggezza di Buddha verso quella che Claire chiama «la follia d’amore di Gesù Cristo». Dal 1980 Claire Ly vive nel sud della Fran- cia, dove si è ricostruita una vita di insegnan- te, scrittrice e conferenziera, insieme ai suoi figli. Qui ha ricevuto il battesimo, ma ha an- che vissuto la difficile condizione dell’esule. Senza mai rinunciare a gettare ponti tra la sua cultura orientale e quella dell’Occidente, tra le sue origini buddhiste e la fede cattoli- ca. «Questo dialogo a partire dalla vita — spiega — mi permette di poter dire Gesù Cri- sto con maggiore forza». Ed è quanto racconta anche nel suo terzo libro La Mangrovia. Una donna, due anime (Pimedit, 2012), un romanzo-verità, che trae spunto dal vissuto personale dell’autrice. «Anche questo libro nasce da una frattura e da una grande sofferenza — scrive — quella che ho vissuto durante i quattro mesi trascor- si nel 2009 in Cambogia, dove ho assistito ad alcune sedute del Tribunale per i khmer rossi. Un tribunale costruito su un malinteso di fondo. Perché la legge non basta; serve anche la dimensione spirituale, per permette- re alla vittime di sublimare tutte le loro soffe- renze. Io sono stata aiutata dalla mia fede cristiana, ma anche i buddhisti dovrebbero fare questo processo. Oggi è sempre più dif- ficile dire chi sono le vittime e chi i carnefici; alcuni sono al potere, altri sono integrati nel- la società, altri sono pure nella Chiesa. An- che se hanno del sangue sulle loro mani. C’è un diniego di quel periodo; non se ne parla. Eppure continua a toccarci troppo da vicino. Come fare perché le persone possano parlar- ne e parlarsi? Non è solo un dovere della memoria, è anche un lavoro per guarire le fe- rite dell’anima e aiutare il processo di verità, riconciliazione e ricostruzione del Paese». Nel libro, Claire Ly racconta la storia di due donne, che sono in qualche modo le sue due anime. Sullo sfondo, c’è la Cambogia di oggi, strattonata tra un passato di tragedia — la dittatura dei khmer rossi a fine anni Set- tanta — con cui fa fatica a fare i conti e un futuro ancora tutto da costruire. Ma ci sono anche i rapporti tra Oriente e Occidente e in particolare le sfide sempre più attuali delle migrazioni, con tutto ciò che questo implica in termini di integrazione o di “adozione”. E poi il tema matrimoni misti, “luogo” privile- giato e delicato di incontro tra culture e identità diverse, attraverso la vita concreta delle persone. Un libro che scende nelle profondità dell’anima, per trarne un messaggio universa- le: sulla necessità e la bellezza del dialogo tra religioni e culture, ma anche sull’esigenza di incontrare e di accompagnare l’altro, nel ri- spetto delle reciproche differenze e specifici- tà, in un cammino di crescita comune. Un li- bro che parla anche di speranza e della ne- cessità di un mondo riconciliato, di una so- cietà più umana e della liberazione dell’uo- mo da tutte le moderne forme di schiavitù. Claire spiega perché ha scritto questo li- bro, che viene dopo altri due dedicati alle sue esperienze nei campi di lavoro ( Tornata dall’inferno ) e al suo primo viaggio nel suo Paese dopo l’esilio ( Ritorno in Cambogia ). «Volevo prendere un po’ di distanza anche dalla mia stessa memoria, per provare a im- maginare possibili vie di dialogo». Come quelle percorse dalle due protagoni- ste del libro, Ravi e Soraya, due amiche so- pravvissute ai khmer rossi, che hanno intra- preso due diverse vie spirituali. Ravi è rima- sta fedele al suo credo buddhista, mentre So- raya si è convertita al cattolicesimo. E come per i discepoli di Emmaus, il loro viaggio di- venta un dialogo a viso aperto. Un racconto in cui è facile rileggere la storia personale di Claire. «Il libro — spiega l’autrice — prende il no- me da una pianta, la mangrovia, che cresce nel territorio di frontiera tra le acque dolci e le acque salate, e ha bisogno di entrambe. Proprio per questo nell’immaginario cambo- giano la mangrovia è un luogo mistico di protezione e di purificazione. Credo che sia un’immagine che ci parla anche dell’incontro e dell’incrocio tra culture in chiave di speran- za. Un incontro che è matrice di una nuova generazione di persone, dove le culture e le religioni imparano a conoscersi nella verità e a fecondarsi a vicenda. Ricordando che Gesù ci aspetta sempre in Galilea, crocevia delle nazioni». Il romanzo Te lo dirò un’altra volta Nell’ambito della ricostruzione della memoria della Shoah — genere letterario molto ricco — sta nascendo un nuovo tipo di memorialistica, quella dei figli dei sopravvissuti. Ne costituisce un esempio particolarmente riuscito il libro di Alba Arikha, Te lo dirò un’altra volta (Bollati Boringhieri, 2013), in cui una giovane donna intreccia le esperienze della sua adolescenza di giovane francese degli anni Ottanta con i racconti, frammentari ma proprio per questo ancora più suggestivi, della vita del padre, delle nonne sopravvissute allo sterminio nell’Europa orientale. Dipanandosi fra la Parigi secolarizzata e ricca e l’Israele delle guerre e della religiosità ortodossa che Alba visita regolarmente per ritrovare molti parenti, la vicenda riporta la memoria dello sterminio nella nostra vita quotidiana, dove chiede di trovare un senso e una espiazione che non sia solo la lenta guarigione delle ferite individuali. ( lucetta scaraffia ) Il film L’anima e la carne Nel 1957 le suore dei film potevano essere ancora pure e fedeli alla loro missione, e suscitare entusiasmo nel pubblico: così fece suor Angela, magistralmente interpretata da Deborah Kerr, che ottenne una nomination per l’Oscar in questa parte nel film L’anima e la carne (titolo originale Heaven Knows, Mr. Allison , regia di John Huston). La storia si svolge in un’isola del Pacifico, dove arriva un marine naufrago e trova una suora missionaria, con la quale dovrà superare una prova difficile: l’arrivo dei giapponesi nell’isola. Il marine, rozzo e poco attento alla religione, saprà salvare entrambi dal pericolo, mentre il rapporto fra lui e la suora toccherà nodi spirituali imprevisti. Ma anche ferirà il cuore di entrambi: il marine innamorato della suora, la suora — suggerisce il film — tentata ma alla fine capace di rimanere fedele alla sua missione. È duro avere Dio come rivale in amore, sembra concludere il film. E suor Angela è stata senza dubbio una delle più belle — in ogni senso! — figure di religiosa della storia del cinema. ( lucetta scaraffia ) M EDICI COLPEVOLI DI ABORTI SELETTIVI IN I NDIA Cento medici indiani saranno condannati per aver condotto aborti selettivi nel Paese. È stato il ministero per la Salute ad aver avviato l’indagine che ha individuato i trasgressori del Pre-Conception & Pre-Natal Diagnostic Techniques Act, la legge del 1994 che rende illegale l’uso di esami volti a rivelare il sesso del feto. Otre a una multa e la sospensione (o cancellazione) della licenza, gli indagati rischiano da 6 mesi a 5 anni di carcere. Il dottor Pascal Carvalho, membro della Pontificia accademia per la vita, ha dichiarato ad Asia News di giudicare positiva la decisione del ministero: «Usare forti deterrenti può aiutare a prevenire simili forme di discriminazione». Il medico ricorda come la preferenza per i maschi sia «espressione di mancanza di rispetto verso le donne, e una delle cause dell’aumento dei crimini contro di loro», e come la motivazione alla base sia legata a ragioni economiche. Emerge, del resto, anche dal documentario It’s a Girl (2012): il disprezzo verso le donne comincia prima della nascita e dura (per quante riescono a nascere) tutta la vita. Non v’è, infatti, solo il problema della dote, ma anche del rispetto per la donna sposata, legata alla nascita di un maschio. Inoltre, in alcune province dell’India è ancora diffusa l’usanza del sati , l’immolazione della vedova sulla pira del marito defunto: presentato come un rituale volontario, si tratta in realtà di un modo per liberarsi del peso economico di una donna rimasta sola. Infine va ricordato come gli aborti selettivi non siano limitati a bassi livelli economici e sociali, essendo diffusi anche tra le famiglie di ceto medio-alto. «Secondo il recente studio Skewed Sex Rations in India: Physician, Heal Thyself — ha concluso Carvalho — nel Paese le famiglie di medici hanno più figli maschi che femmine». P REMIATE IN P ERÚ LE M ISSIONARIE DI S AN C OLOMBANO La Congregazione delle Suore Missionarie di San Colombano è tra i vincitori della Medaglia di Santo Toribio de Mogrovejo, conferita dalla Conferenza Episcopale peruviana (Cep) per il contributo fornito alla Chiesa locale. A consegnare l’onorificenza sono stati monsignor Salvador Piñeiro, arcivescovo di Ayacucho e presidente della Cep, e monsignor Lino Maria Panizza Richero, vescovo di Carabayllo e segretario generale della Cep. Le Missionarie di San Colombano, giunte in Perú cinquant’anni fa, vivono tra gli ultimi nella periferia di Lima, nella regione del deserto di Ica (a sud della capitale) e recentemente al centro del Paese, vicino a Ayacucho, in una zona dove si parla prevalentemente il quechua. Dedite a istruzione, attività mediche e sociali, promuovono iniziative per giovani, famiglie e anziani nelle parrocchie, e sono coinvolte nella promozione dei diritti delle donne. La congregazione, che conta oggi 183 religiose in 41 case sparse tra Asia, America, Regno Unito e Irlanda, fu fondata il 1º febbraio 1922 a Ennis (Irlanda) da John Blowick della Società di San Colombano. La prima missione venne fondata in Cina quattro anni dopo. S EDICENNE DI N AZARET COLPITA DALL ’ ACIDO Un uomo ha tirato dell’acido in faccia a una sedicenne araba di Narazet. Attaccata a un respiratore a causa delle ferite in bocca, i dottori dell’ospedale Rambam di Haifa temono possa perdere la vista. La polizia ha arrestato un cinquantenne: si ritiene che l’uomo abbia aggredito la ragazzina dopo il suo rifiuto di sposare un membro della sua famiglia. A NNA S CHÄFFER Il 17 marzo di quarant’anni fa, presso la curia vescovile di Ratisbona, iniziava il processo informativo per la beatificazione di Anna Schäffer (1882-1925), che sarebbe terminato il 14 maggio 1977. Laica, vissuta in Baviera con la responsabilità dei fratelli piccoli dopo la morte dei genitori, Anna fu per anni inferma a letto. Voleva diventare missionaria, ma un grave incidente nella lavanderia in cui lavorava quando aveva solo diciannove anni — cadde in una vasca di acqua bollente con lisciva, riportando ferite da cui non guarì mai — la rese per sempre invalida. Da quel momento, e fino alla morte prematura (avvenuta a soli 43 anni), Anna Schäffer fu sempre pronta a offrire ascolto e consiglio, e a pregare per tutti. Beatificata nel 1999 da Giovanni Paolo II , che elogiò la sua vita passata tra «malattia e debolezza», è stata canonizzata da Benedetto XVI il 21 ottobre 2012 (la sua memoria liturgica ricorre l’8 ottobre). I PICCOLI EVANGELIZZATORI DEL P AKISTAN Nell’Anno della Fede, l’opera di evangelizzazione della Chiesa in Pakistan passa anche attraverso le bambine e i bambini che, percorrendo il loro cammino cristiano e riscoprendo la fede, diventano «autentici evangelizzatori». Lo ha affermato la Chiesa locale, celebrando lo scorso 17 febbraio a Lahore la Giornata dell’infanzia missionaria. Come riferito a Fides, nella chiesa di San Giuseppe e sotto la guida del padre francescano Francis Nadeem, le centinaia di bambini presenti hanno rinnovato il loro impegno non solo a vivere e approfondire la fede (catechesi e studio), ma anche a dare una testimonianza cristiana negli ambienti in cui vivono. «I bambini hanno un grande ruolo da svolgere all’interno della comunità cristiana e nell’aiutare altri bambini bisognosi», ha sottolineato padre Nadeem. Il sacerdote ha esortato i piccoli «a crescere nel lavoro missionario, aiutando poveri, disabili, orfani e bambini di strada, offrendo così un contributo alla società pakistana. Voi — ha detto — siete la luce del mondo. Siete la luce della fede, dell’amore, della pace, che si deve diffondere nella società». Durante la celebrazione eucaristica i piccoli, oltre a recitare la Preghiera «Dio fammi strumento della tua pace» attribuita a san Francesco, hanno voluto pregare intensamente e in modo particolare per Benedetto XVI negli ultimi giorni del suo pontificato. D A VENT ’ ANNI NEL CAMPO NOMADI DI V ILLAPIZZONE ALLA PERIFERIA DI M ILANO Più di un secolo fa l’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini si interessò per primo dei bimbi del campo nomadi di Villapizzone, parrocchia di San Martino alla periferia nord di Milano, affidandoli a don Mario Riboldi e a padre Luigi Peraboni. Poi, vent’anni fa, sono arrivate le Figlie di Maria Ausiliatrice che nel tempo hanno letteralmente trasformato la comunità, formata da circa trenta nuclei familiari di Rom Harvati e Rom Kalderasa. Un piccolo laboratorio per confezionare indumenti; corsi per imparare a leggere e scrivere; una roulotte convertita in luogo di preghiera; preparazione ai sacramenti; iscrizione di tutti i bimbi alle scuole dell’obbligo e superiori. «Insieme, sacerdoti, religiosi e laici, collaboratori della gioia e della speranza per questi fratelli e sorelle Sinti e Rom — hanno detto suor Angela Anzani e suor Teresina Pesenti al «Bollettino Salesiano» — perché il Campo diventi sempre più casa e spazio di vita nuova. Superandone i confini, per tutti». L A DROGA TRA I BIMBI ARGENTINI Se l’Argentina è un Paese particolarmente colpito dalla crisi, un allarme specifico riguarda la situazione dei bambini, vittime — tra l’altro — di consumo di droga e lavoro minorile. Quanto al primo aspetto, da tempo il vescovo della diocesi di Neuquén e vicepresidente della Conferenza episcopale argentina, monsignor Virginio Domingo Bressanelli, ha richiesto l’intervento deciso dello Stato per contrastare la diffusione della droga tra i giovanissimi: i dati attesterebbero una diminuzione nell’età dell’inizio del consumo dai 14 agli 8 anni. «Il problema della droga è adesso presente anche nelle scuole elementari» ha affermato il prelato. Quanto invece al lavoro minorile, l’Università Cattolica Argentina ha recentemente pubblicato un rapporto ( Lo stato della situazione del lavoro giovanile ) da cui emerge che bambini e adolescenti sono impegnati in lavori domestici pesanti, soprattutto nelle famiglie dove gli adulti di riferimento mancano da casa per molte ore, o dove ci sono molti figli dei quali occuparsi. Lo studio ha indicato che, generalmente, il lavoro svolto da bambini e adolescenti influisce negativamente sulla loro educazione, perché la mancanza di tempo per lo studio e la stanchezza generano un ritardo nel ritmo di apprendimento e di crescita. Il saggio Osare Dio «Si deve avere il coraggio di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio», scriveva Etty Hillesum nelle sorprendenti pagine del suo cammino umano e spirituale che, passando per il fumo di Auschwitz, era però indirizzato verso il Cielo che lo sovrastava. E che lei — giovane ragazza ebrea — imparò a vedere proprio nell’orrore del campo. Un cammino in cui il corpo di Etty è stato capace di trasformare il desiderio dell’altro in relazione umana con l’altro. Un cammino che due uomini di oggi — padre Alessandro Barban, priore generale dei camaldolesi, e Antonio Carlo Dall’Acqua, laico sposato che si occupa di finanza creativa — hanno ripercorso, passo dopo passo, con lei. Il risultato è Etty Hillesum. Osare Dio (Cittadella Editrice, 2012), complesso volume che accompagna il lettore nella conoscenza della «ragazza che non sapeva inginocchiarsi», a partire dal più antico documento fotografico della famiglia Hillesum, datato 1931. Nella storia, tanti uomini hanno cercato (o preteso) di raccontare e spiegare con voce loro, la voce di grandi donne. Pochi hanno però tracciato percorsi che — facendosi davvero altro da sé — valga la pena di leggere e ricordare. ( giulia galeotti ) L’incontro con il demonio ha assicurato a questa «passio» una strepitosa fortuna letteraria e iconografica «Historia sanctae Margaritae» (Firenze, Biblioteca Riccardiana, XIII secolo, ms. 453, fogli 13v-14r) Per camminare insieme Incontro con Lytta Basset, docente di teologia protestante e per diciassette anni pastore a Ginevra «È una forza venuta dall’Invisibile un dinamismo che mobilita Spetta a noi acconsentire di esporci a esso» Dalla saggezza di Buddha alla follia d’amore di Gesù Inchiesta sul percorso di una donna cambogiana Come fare perché le persone possano parlarne e parlarsi? Non è solo un dovere della memoria è anche un lavoro per guarire le ferite E per aiutare il processo di verità riconciliazione e ricostruzione del Paese tenuto il Premio del libro di spiritualità La Panora- ma-La Procure. E pubbli- cherà presto un libro col- lettivo dedicato all’accom- pagnamento spirituale. Nella sua opera lei attri- buisce grande importanza alla dimensione affettiva: «Chiusa nella sofferenza — dice Claire Ly — non riuscivo a fare posto agli altri Finché Lui mi ha fatto prendere coscienza che appartenevo all’umanità» remoto accompagna la discesa di una colomba con una corona nel becco, le corde si spezza- no e Marina emerge illesa dall’acqua. Condot- ta fuori città, dopo avere detto addio ai suoi fratelli e sorelle, viene decapitata mentre pro- nuncia l’ultima preghiera. Una parte della tra- dizione riferisce la conversione del boia e il suo perdono da parte di Marina, a perfetta imitazione cristica. Da questo fantastico episo- dio deriva il culto popolare di Marina come La martire, come la donna ve- stita di sole di ( Apocalisse , 12), nuova Eva, porta a compimento la promessa genesiaca. Dall’an- golo sinistro della prigione le appare un altro demonio in for- ma di uomo nero che le rinfaccia di avere ammazzato suo fratello Rufo, il dragone, inviato per uc- ciderla, e di volere ammazzare anche lui con il maleficio della sua preghiera. La santa lo afferra per i capelli, lo getta a terra, cal- candogli il capo con il piede, e prega. Una luce immensa e im- provvisa pervade la prigione, mentre una croce si staglia dal cielo fino a Marina. Sulla croce, una colomba annuncia alla mar- tire che la corona della vittoria e il paradiso sono preparati per lei, non appena avrà sconfitto il demonio. La vittoria non tarda a giun- gere: dopo averlo legato e inter- rogato sulla sua origine e il suo nome, Marina abbandona il de- monio nella prigione. Il giorno del martirio, spogliata, i carnefi- ci bruciano il suo corpo con lampade accese, poi provano ad annegarla. Marina prega il Si- gnore di trasformare i supplizi nella luce della salvezza e nell’acqua del battesimo: un ter- di S YLVIE B ARNAY L ytta Basset è docente di teolo- gia protestante all’università di Neuchâtel in Svizzera. Per diciassette anni è stata pastore pro- testante a Ginevra. È autrice di nu- merose opere che hanno segnato il panorama del pensiero cristiano de- gli ultimi dieci anni e rinnovato l’approccio ai Vangeli. In particolare è l’autrice di Guérir du malheur (1999), Le pouvoir de pardonner (1999), Moi, je ne juge per- sonne. L’Évangile au-delà de la mora- le (2003), La joie imprenable (2003), Le pardon originel. De l’abîme du mal au pouvoir de pardonner (2005), Sainte colère. Jacob, Job, Jésus (2006), Ce lien qui ne meurt jamais (2007), Aimer sans dévorer (2010). Anche le sue numerose conferen- ze e i suoi seminari, che rivisitano i fondamenti della cultura ebraico-cri- stiana, l’hanno fatta conoscere al grande pubblico alla ricerca di una lettura viva della Bibbia. È la fon- datrice e l’attuale direttrice della ri- vista «La Chair et le Souffle» che cerca di trovare nuove vie, e uno sguardo più profondo nell’affrontare le grandi questioni teologiche e spi- rituali odierne, con un’attenzione costante alla chiarezza e all’esigenza critica. Il suo ultimo libro (colletti- vo), S’ouvrir à la compassion , è stato da poco tradotto in italiano. Una delle ultime prospettive aperte da Lytta Basset si articola attorno alla tematica dell’accompagnamento spi- rituale. Nel nostro cammino di umanità come “fare un percorso in- sieme”, per incontrare l’altro e aprir- si all’ospite di passaggio? Recentemente ha pubblicato Ai- mer sans dévorer , che nel 2011 ha ot- donne, dal soffio santo che attraver- sa anche loro». Più precisamente, lei invita a ri- trovare un nuovo soffio? «Preferisco parlare di “soffio d’amore” piuttosto che di “Spirito santo” perché l’espressione è più comprensibile e più accessibile. Nella narrazione bi- blica, il soffio d’amore è un soffio che “differenzia”, che “distingue”, ossia “rende santi”, secondo l’etimo- logia ebraica della parola “santo”. mobilita: spetta a noi acconsentire di aprirci a esso». È un soffio universale? «Questo soffio, questo processo di differen- ziazione e di santificazione, è in grado di mobilitare tutti gli esseri umani, e non solo i cristiani. Si si- tua anche agli antipodi dell’esoteri- smo: simile a una “fiamma di un lu- mino” o a un “fuoco di incendio”, è sempre all’opera per unificare ciò che è diviso all’interno dell’essere umano. È proprio questo soffio che Gesù ha voluto far conoscere ai suoi contemporanei e a tutti coloro che erano pronti ad ascoltarlo: “Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” ( Giovanni , 15, 15)». Questo soffio può ricaricare il cri- stianesimo, il cui “disincanto” (come dice Max Weber) deriva da una frattura del senso universale? «Sì, nella misura in cui ci lasciamo tra- sportare. E quali barriere potrebbe- ro impedire al soffio d’amore, che è necessariamente un soffio di verità, di attraversare anche la persona più ermetica o più refrattaria? Esso non esclude nessuno. Ritorniamo qui all’universalità del messaggio evan- gelico». Lei insiste molto sulla creazione di un nuovo linguaggio per dire il cristianesimo attraverso le parole del XXI secolo. «Questa creazione si di- mostrerà cruciale. Con un linguag- gio diverso, il senso viene compreso da tutti. Per esempio, come si può chiamare Dio con parole nuove? Il popolo dei credenti ha un potenzia- le di creatività che esige di essere ri- svegliato». Lei “milita” per una teologia poe- tica? «Credo sia molto importante riscoprire il linguaggio simbolico, che è onnipresente nella Bibbia. Contrariamente alle dichiarazioni assertive e ai catechismi tradizionali, questo linguaggio ha la capacità di creare un nuovo legame, di “parlare al cuore” di ogni essere umano». Il cristianesimo si avvicinerebbe allora alla psicanalisi? «Mi sembra che l’atteggiamento di Gesù a tale proposito sia esemplare. Come un terapeuta, Gesù mostra una benevo- lenza incondizionata, per esempio nel suo incontro con Zaccheo ( Luca , 19, 1-27). È il suo modo di accoglie- re Zaccheo, senza un giudizio che lo caricherebbe di responsabilità. Cri- sto stesso esprime il suo bisogno ur- gente di entrare in contatto con lui, di fermarsi “a casa sua”». Cosa può dirci della compassio- ne? «I Vangeli utilizzano un verbo greco molto preciso: “essere com- mosso fino alle viscere”, sempre usa- to nella forma passiva. All’improvvi- so si ha come un “nodo allo stoma- co”. L’espressione è molto forte: la compassione si produce nella carne. Gesù è andato fino in fondo alla vi- cinanza totale con la sofferenza vis- suta dagli uomini e dalle donne che ha incontrato, perché era in contat- to profondo con se stesso: egli era pienamente umano, abitato e attra- versato dal soffio d’amore che lo fa- ceva “vibrare” di fronte alla dispera- zione altrui, e diceva che tutti ne siamo capaci». E anche rispetto al termine pecca- to «quanto sarebbe necessario rin- novare il linguaggio! Il termine pec- cato è incomprensibile oggi: la real- tà che designa deve essere detta in altre parole. In tutta la Bibbia il peccato è il non-rapporto, la rottura del rapporto con Dio. Adamo ed Eva che si nascondono nel giardino dell’Eden, non hanno più bisogno di Dio. Il loro rifiuto dell’alterità li condanna a una ripiegamento. Si ri- chiudono in se stessi». In Aimer sans dévorer , lei dice che l’obiettivo è una “collaborazione che ha qualcosa del soffio”. «In un lin- guaggio simbolico, il libro della Ge- nesi in effetti racconta come Eva, per esempio, cerchi di colmare la sua solitudine, il suo vuoto, “consu- mando” suo marito. Con il frutto proibito, Eva in realtà divora l’alte- rità dell’altro, che si è annessa. An- che Adamo divora l’alterità. In se- guito dirà a Dio: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nasco- sto” ( Genesi , 1, 10), come se sua mo- glie non esistesse più. Non c’è più rispetto per l’altro, umano o divino, nella sua alterità». In questa ricerca del rapporto s’iscrive l’accompagnamento spiri- tuale? «L’accompagnamento spiri- tuale ha senso solo in una benevo- lenza incondizionata per aiutare la persona ad avvicinarsi al mistero di un Dio completamente vivo, che di- mora nel suo intimo e desidera con- dividere la sua vita. Implica il rice- vere da un Altro la sua parte di fuo- co, quel “soffio d’amore” donato a Pentecoste. Con la riscoperta e la pratica della benevolenza divina che ci attraversa, credo che possiamo ri- trovare tutta la freschezza del cri- stianesimo». perché? «Il rapporto affettivo è in primo luogo un’esperienza offerta a ognuno in un mondo in cui prevale terribilmente l’utilitarismo. Esso è al centro dell’incontro tra le persone. È anche al centro dell’incontro tra l’umano e il divino. Ebbene, su que- sto punto, le donne devono prende- re la parola. Una grande parte della tradizione cristiana è stata fatta da- gli uomini. La Chiesa ha un urgente bisogno di lasciarsi rivivificare dalle “Il vento soffia dove vuole e ne sen- ti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” ( Giovanni , 3, 8), afferma Gesù. Questa espressione del “soffio d’amore” si trova nel Targum al po- sto di “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” ( Genesi , 1, 2). Evoca an- che un amore umano che può trova- re un soffio nuovo e non lasciarsi inghiottire. È una forza venuta dall’Invisibile, un dinamismo che conservare la serenità devi costruirti un oggetto mentale, su cui gettare tutti i sentimenti negativi. Una sorta di capro espiatorio. E allora io ho costruito il mio oggetto mentale, contro cui dirigere i miei sentimenti di collera e di rivolta. Passavo il mio tempo ogni giorno a insultarlo. An- che perché — dice con un pizzico di ironia — non potevo certo mettermi a insultare i khmer rossi!». Dopo due anni in compagnia di questo “oggetto mentale” Claire comincia a viverlo come qualcosa di familiare. «È diventato co- me un bastone indispensabile — ricorda — come un storpio che trova un ramo a cui ap- poggiarsi, io non potevo più fare a meno di quel Dio per camminare. Questo mi ha evita- to di cadere nella vera follia». Ormai è il suo compagno di viaggio in quella lunga attraversata del male. Ma c’è bi- sogno di un’altra frattura perché diventi qualcosa di più. La frattura che è insita nell’esperienza dell’emigrazione, in quel nuo-

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