donne chiesa mondo - n. 1 - maggio 2012

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Artemisia Gentileschi e Maria Una Madonna diversa di I SABELLA D UCROT L a mostra di Artemisia Gentileschi, aperta fino a luglio a Parigi, suscita riflessioni di tipo psicologico. Male, perché è una tentazione a cui si dovrebbe resistere, per la ragione che la popolarità di Artemisia è stata per molto tempo alimenta- ta dalle vicende della sua vita e molto meno per il suo ecceziona- le valore di artista. Bisognerebbe lasciarsi andare e guardare, guardare i quadri — una cinquantina — godere delle belle forme, Giovanna d’Arco, figlia di Dio La santa del mese raccontata da Sylvie Barnay C ontemporanea della nascita della Nazione francese nel XV secolo, Giovanna ne è innan- zitutto il paradigma, riattivato nelle mentalità collettive del XIX e del XX secolo, dopo secoli di quasi totale oblio. Questo ritorno è legato so- prattutto al posto dato al Medioevo all’inizio della Terza Repubblica, per legit- timare le lotte politiche e religiose. A par- tire dal 1870, la vita di Giovanna diviene allora il riflesso di questo gioco politico, dopo che il movimento romantico aveva fatto di lei una delle sue figure mitiche, che sanno incarnare l’anima del popolo. I cattolici salutano così in Giovanna «la primogenita della Chiesa», promotrice delle «grandi imprese di Dio per mezzo dei Franchi», le Gesta Dei per Francos , mentre i nazionalisti fanno di Giovanna d’Arco la figlia del popolo, diffondendo una leggenda — dovuta a Michelet nel 1841 — che la fa diventare sorella della Marianne rivoluzionaria. Il destino di Giovanna è ormai legato a queste due visioni della storia, sostituite subito da un terzo archetipo all’indomani della prima guerra mondiale: «la santa della patria». L’espressione forgiata an- ch’essa da Michelet — «Sì, secondo la Re- ligione, secondo la Patria, Giovanna d’Ar- co fu una santa» — costituisce una mesco- lanza tra l’eredità cattolica e una forma di messianismo nazionale sostenuto dalla nuova destra. L’anno 1920 vede così il Parlamento francese dedicare l’8 maggio al ricordo nazionale dell’eroina, mentre Roma la canonizza dopo averla proclama- ta venerabile nel 1894 e beata nel 1909. La pastorella ispirata sta fianco a fianco con la guerriera intrepida nelle chiese come nei monumenti ai caduti dei paesi fran- cesi. Il movimento nazionalista francese co- struisce però un legame fra «Viva Giovan- na d’Arco» e «Abbasso gli ebrei» e la san- ta della patria non esce più dal girone del- la destra nazionalista, al di là delle feste ufficiali. Da parte sua, la Chiesa cerca di difenderla da questi tentativi di appropria- zione: nella vulgata clericale è indubbia- mente la figura di santa Giovanna la pa- storella a prevalere! Giovanna, strumentalizzata dall’ideolo- gia dello Stato francese di Vichy e dai so- stenitori più estremisti del collaborazioni- smo che l’erigono a buona contadina della Francia, viene successivamente invocata anche dalla Resistenza e la Francia libera. Dei tre modelli forgiati a cavallo tra il XIX e il XX secolo, è l’archetipo nazionali- sta a rimanere vivo, nei decenni della guerra d’Indocina, della guerra d’Algeria e suo nome — oppure l’assimilano a un falso profeta per farla salire sul rogo... Ma i do- cumenti storici rivelano che l’unico appel- lativo che le voci divine danno a Giovan- na d’Arco è quello di «figlia di Dio». La novità del XV secolo sembra essere proprio il fatto che un simile appellativo identifica una donna con Cristo. La stori- ca Colette Beaune ha mostrato in partico- lare che è questo appellativo in definitiva a causare la sua caduta, proprio come nei Vangeli è il nome di «figlio di Dio» a condurre Gesù sulla Croce. Docente presso l’università di Lorena, Sylvie Barnay è autrice di diverse monografie. Tra le altre, ricordiamo Le Ciel sur la Terre. Les apparitions de la Vierge au Moyen Âge (Paris, Cerf, 1999; tradotto in italiano da Marietti, Specchio del cielo. Le apparizioni della Vergine nel Medioevo ), La Vierge, femme au visage divin (Paris, Gallimard, «Découvertes», 2000), Les saints, des êtres de chair et de ciel (Paris, Gallimard, «Découvertes», 2004) e La parole habitée. Les grandes voix du prophétisme , (Paris, Points Sagesse, 2012). contemplare i colo- ri, notare le impru- denze delle compo- sizioni, senza risali- re alle vicende vis- sute dalla pittrice. Eppure la inne- gabile prevalenza di scene in cui protagoniste trion- fanti sono Giuditta, Giaele, Susanna, Lucrezia, Cleopa- tra, Ester, nude o vestite di splendidi damaschi e sete preziose che si di- fendono, si vendi- cano, si suicidano, non può non ripor- tare il visitatore compulsivamente alla storia personale della donna che queste immagini ha scelto, composto e rappresentato e me- diante le quali sem- bra voler proclama- re: «Siamo anche questo!». Artemisia ignorò fin dall’inizio l’ere- dità che relegava le donne alla raffigu- razione di temi gentili e affrontò modi e soggetti fi- no ad allora di competenza solo maschile. Quando, nel lontano 1916, la voce autorevole del criti- co e storico dell’arte Roberto Longhi propose all’attenzione degli studiosi la qualità pittorica delle opere di Artemisia, non mancò allo stesso tempo di esprimere orrore per la violenza delle scene bibliche; di fronte alle immagini di belle donne sontuosamente vestite che scannano o hanno appena scannato un uomo si pone- va delle perplesse domande sull’eventuale nesso fra il soggetto rappresentato e la donna che lo aveva dipinto. La sua idea del femminile era scossa: «Chi penserebbe (...) che dovesse avvenire un macello così brutale ed efferrato da parer dipinto per mano del boia Lang?» scrisse, e aggiungeva: «Ma, vien la voglia di di- re, ma questa donna è terribile! Una donna ha dipinto tutto que- sto?». Così che, di fronte al quadro proveniente dal Palazzo Spada a Roma, una delle sue rare rappresentazioni della Madonna col Bambino, la sua interpretazione della maternità è decisamente eccentrica: la Madre appare semiaddormentata e poco sollecita verso il suo grosso Bambino, che sembra voler attirare come può la sua attenzione. Si arriva così a pensare che il più diffuso e po- polare simbolo occidentale della femminilità, quello della Madre di Dio, è stato prodotto e articolato dal pensiero e dalla immagi- nazione maschile. Padri della Chiesa, filosofi e teologi hanno collaborato nel de- finire l’icona cristiana della maternità, fissata nell’immagine dol- cissima della Madre con il Bambino. Questo lungo processo con- cettuale e pittorico sembra essere sorto nel modo più prossimo e vivo da un desiderio profondo, antichissimo della psicologia ma- schile. La rappresentazione cristiana del dialogo amoroso della Madre con il Figlio, la relazione carnale del nutrimento, la vici- nanza intenerita potrebbero essere espressione del ricordo di una primordiale condizione felice, in cui sono assenti la lotta per la sopravvivenza, le battaglie per il cibo. La Madre nutrice cristiana offre il riscatto all’umanità da quando, secondo la Genesi, il Si- gnore inflisse ad Adamo la sua condanna («con il sudore del tuo volto mangerai il pane»). Sono stati uomini cristiani a rappresentare nei secoli e in mi- gliaia di immagini il tenero rapporto della Madre con il Figlio, compimento del sogno di essere nutriti naturalmente e senza me- riti, in dolce relazione carnale con l’alimento materno e di speri- mentare la vicinanza affettuosa con il suo Corpo. Trionfo del femminile, che comporterà in sé tutti i caratteri delle virtù anti- che e cristiane: la dedizione, la pietà, la pazienza, la cura, la fe- deltà. Ingrid Bergman in «Giovanna d’Arco» di Victor Fleming (1948) del rinascente nazionalismo degli anni Ot- tanta dello scorso secolo. Paradigma della nazione francese, la Giovanna del XV secolo è in realtà prima di tutto una figlia di contadini agiati della marca della Lorena che va a trovare il del- fino Carlo nella primavera del 1429, men- tre imperversa la guerra civile che oppone quest’ultimo agli invasori inglesi e ai loro alleati borgognoni. Dio, dice Giovanna, l’invia per liberare Orléans, far incoronare il principe e “but- tare” fuori gli inglesi dalla Francia. Aiuto inatteso che l’entourage reale decide di ac- cettare, affidandole le truppe che l’8 mag- gio liberano Orléans. La campagna della Loira è poi segnata da una serie di vittorie che rendono possibile l’incoronazione a Reims il 16 luglio. La giovane donna vie- ne però catturata davanti Compiègne alla fine di maggio 1430 e consegnata agli in- glesi. Comincia allora un lungo processo d’inquisizione che la conduce al rogo il 31 maggio 1431 per eresia. Questo primo pro- cesso viene seguito da un secondo proces- so di nullità che si conclude nel 1456, che deve provare che il cristianissimo re, che si reinsedia a Rouen, non ha ricevuto l’aiuto di un’eretica. Giovanna non è solo una vicenda bio- grafica: ha dato luogo a un senso aperto capace di produrre innumerevoli versioni. Tra il XV e il XX secolo, ognuna delle ver- sioni immaginate si è impadronita di que- sta vita per svilupparla o modificarla a proprio vantaggio. Pulzella? La giovane vergine vestita da uomo non cessa di incuriosire perché si li- bera del destino abitualmente riservato al- le donne (matrimonio, figli, esclusione dalla politica). Profetessa? Lo schema bi- blico viene utilizzato a partire dal XV seco- lo dai contemporanei di Giovanna. Essi la trasformano allora in pastorella per i biso- gni della propria lettura — essendo un ve- ro profeta per natura un pastore al quale Dio ha affidato la missione di parlare a La giovane vergine vestita da uomo non cessa di incuriosire Perché si libera del destino abitualmente riservato alle donne

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