donne chiesa mondo - n. 1 - maggio 2012

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO maggio 2012 numero 1 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va S CHIAVE DEL CETO MEDIO INDIANO Uno dei volti del boom economico indiano riguarda ragazze minorenni assunte come domestiche e trattate come schiave dal ceto medio dei nuovi ricchi. L’esplosione della domanda di collaboratrici domestiche ha riversato sul mercato tantissime bambine, per lo più vendute dai familiari a rampanti agenzie di collocamento. Le minorenni hanno il grande merito di costare meno di un adulto (o di non costare affatto) e di essere più facili da sfruttare, soggiogare e murare vive, in violazione delle leggi contro il lavoro minorile. Senza riposo, percosse, umiliate, denutrite e controllate da telecamere a circuito chiuso: la stampa locale denuncia, ma il commercio resta florido. Q UANDO LA LEGGE LEGITTIMA IL CRIMINE All’uscita di scuola, la sedicenne Amina Filali è stata violentata da Salek Mustafa a Larache, un paesino del Marocco. I genitori sono andati a sporgere denuncia, ma il giudice è riuscito a far accordare le famiglie sulla pelle di Amina, grazie all’articolo 475 del codice penale che dà allo stupratore la possibilità di evitare il processo laddove sposi la vittima minorenne. Obbligata alle nozze con il suo stupratore, che ha continuato a esercitare su di lei violenze fisiche e morali, Amina si è uccisa ingerendo Il romanzo La morte viene per l’arcivescovo La penna di una donna protestante ha creato una delle figure di sacerdote cattolico più belle della letteratura. In La morte viene per l’arcivescovo , romanzo scritto nel 1927, la scrittrice statunitense Willa Cather rivela una sorprendente capacità di immedesimazione dando vita a Jean Marie Latour, giovane sacerdote francese inviato nel 1851 come vicario apostolico nel New Mexico dalla Chiesa di Roma, preoccupata per la recente annessione del territorio agli Stati Uniti. Costretto a scontrarsi contro i propri limiti, contro le tribù indiane perseguitate dai bianchi, tradizioni antiche, sacerdoti immorali e una natura percepita come nemica, predicando la buona novella Latour riesce a entrare in profonda sintonia con la “sua” gente. Un arricchimento reciproco che trasformerà trent’anni di evangelizzazione in un frutto prezioso. Romanzo avventuroso e avvincente di scoperta, fede, amicizia, scambio, dolore e crescita spirituale, il suo mistero splendente accresce man mano che la lettura procede, rivelando che una donna, laica, protestante e americana ha saputo rendere la profonda complessità di un sacerdote cattolico. Per di più francese. ( giulia galeotti ) Il film Maternity Blues La tragedia è lì, in tutta la sua spietata e deflagrante portata. È lì con i suoi tanti protagonisti. Ci sono innanzitutto le madri assassine, quelle che si sono macchiate del delitto più atroce e inconcepibile, esse stesse (spesso) sgomente dinnanzi al vuoto che hanno creato e sul quale si affacciano inebetite. Dietro e intorno, le persone che in modi diversi — specie con l’immobilità ostinata di uno sguardo volto altrove — le hanno “aiutate” a rendersi artefici del gesto che le ha rinchiuse all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove si svolge la pellicola di Fabrizio Cattani. Infine le vittime, i bimbi uccisi da chi li aveva portati per nove mesi, messi al mondo e, in molti casi, amati tantissimo. Quelle dei figli sono presenze che tornano costantemente nei racconti delle donne di Maternity Blues . Nei flash back (misurati, e mostruosi), ma soprattutto nell’evocazione quotidiana (“mi manca”) di madri così diverse, accomunate solo dall’atroce filo di una scelta terribilmente sbagliata. Il tono del film è scarno, livido: una scelta che fa risaltare ancor più i colori di un’infanzia che avremmo tutti, almeno un po’, potuto salvare. ( giulia galeotti ) Invece l’ha scritto una donna «L’abbandono alla Provvidenza divina» è stato per anni attribuito al gesuita Jean-Pierre de Caussade Il saggio Storia delle monache Inserendosi in un filone di ricerca prolifico ormai da decenni, il saggio di Silvia Evangelisti (il Mulino 2012) ha il merito di restituire al lettore l’enorme varietà dell’esperienza monastica femminile tra la seconda metà del Quattrocento e l’Ottocento. Questo insieme poliedrico di ordini, donne e vocazioni anima la storia di un preziosissimo spazio di libertà intellettuale, di conoscenza ed emancipazione in cui per secoli le religiose hanno saputo trovare ambiti per solito preclusi al loro sesso. Tra arte prodotta e commissionata, nuove fondazioni, querelle des femmes, strategie, spiritualità, politica ed educazione, sono specialmente interessanti le pagine in cui la docente di storia moderna all’università dell’East Anglia racconta le vicende delle religiose che dal convento non se ne volevano andare: la resistenza monastica alla Riforma, pagina poco nota ma significativa di una storia della Chiesa cui mancano ancora tasselli preziosi. ( giulia galeotti ) B IMBI IN TRIBUNALE Il Soroptimist International d’Italia ha avviato un progetto nazionale per la realizzazione nei tribunali penali di aule di audizione protette per i minori vittime di reati. Arredate in modo accogliente e familiare, sono dotate di apparecchiature di videoregistrazione che consentono di ascoltare il minore nell’ambito del processo. A oggi sono state realizzate a Livorno, Pesaro, Macerata e Catanzaro. A breve ne verranno inaugurate a Torino, Taranto, Reggio Emilia, Firenze e Venezia. Sono in programma altre aule in altre città italiane. «N ONNE DA MARCIAPIEDE » A R OMA Settant’anni, vedova, nonna e pensionata (insegnava chimica), Patrizia Mariani ha ora una nuova occupazione. Oltre a prepararsi per le qualificazioni di nuoto alle olimpiadi della terza età, infatti, da quando è iniziata la crisi Patrizia si è messa studiare economia. Oggi è alla guida del movimento Nonne da marciapiede, che protesta contro un mondo di «uomini incompetenti e corrotti che minacciano i nostri focolari, i nostri figli e le nostre pensioni». Da marciapiede per due motivi: perché queste Nonne non bloccano le strade, e perché vogliono ricordare, con garbo, che la politica è scesa ben sotto il livello del marciapiede. L’appuntamento è per il 31 maggio: alle 10, si ritroveranno in via Nazionale a dare il benvenuto alle massime autorità riunitesi per l’assemblea annuale di Bankitalia. Le Nonne hanno chiesto un gesto dimostrativo ai negozianti: abbassare le saracinesche per mezz’ora, esattamente come si faceva una volta al passaggio di un feretro per le strade cittadine. L A N ORVEGIA È UN P AESE PER MADRI Il Niger è il posto peggiore al mondo per essere madri, la Norvegia il migliore: lo dice il tredicesimo rapporto sullo stato delle madri nel mondo presentato da Save the Children. E se l’Afghanistan abbandona l’ultimo posto dello scorso anno, l’Italia è ferma al ventunesimo. La classifica comprende 165 Paesi e considera fattori come salute, istruzione, stato economico e sociale delle madri, nonché indicatori sulla condizione infantile. La distanza abissale che separa madri e figli dei Paesi in classifica rispecchia le enormi disparità esistenti nel Pianeta. In Norvegia una donna riceve in media 18 anni di istruzione contro i 4 del Niger, dove le donne in Parlamento sono il 14 per cento versus il 40 per cento delle norvegesi. Il totale delle nascite in Norvegia avviene con personale specializzato, presente solo in 1 caso su 3 in Niger, dove una madre su 16 muore per cause legate a gravidanza o parto, rischio che in Norvegia è di 1 su 7.600. S E È LA PRINCIPESSA A SALVARE IL PRINCIPE Hanno impiegato oltre centocinquant’anni per essere conosciute, le anti-favole di Grimm. Lo storico Frank Xaver von Schönwerth, contemporaneo dei celebri fratelli, trascrisse oltre cinquecento favole folcloristiche che, sebbene parzialmente pubblicate in tre volumi tra il 1857 e il 1859, finirono però dimenticate. La loro colpa? Offrire storie politicamente scorrette, versioni rivoluzionarie della celebre Cenerentola, popolate di bambine sveglie, argute e coraggiosissime, e di principi imprigionati e vulnerabili salvati da un bacio di ragazza. Ritrovate da Erika Eichenseer nel 2008 in un archivio di Regensburg, un primo volume è uscito in Germania e ora è la volta della versione inglese. L’auspicio è un effetto onda in altre lingue. Per ascoltare, finalmente, un’altra favola. veleno per topi. Il suicidio della ragazza (ultimo di una lunga serie) ha fatto esplodere le proteste in Marocco e, grazie alla Rete, in tutto il mondo. Una norma misogina, retriva e incostituzionale: l’articolo 475, infatti, viola i principi della nuova Costituzione marocchina approvata nel 2010 (e le norme del codice di famiglia del 2004). Molti altri Paesi hanno conosciuto questo orrore: l’Italia, per esempio, dove solo nel 1981 (dopo il no coraggioso di Franca Viola) è stato abrogato l’articolo 544 del codice penale che prevedeva il matrimonio riparatore a seguito di stupro, in violazione della Costituzione repubblicana del 1948. «I L GIORNO IN CUI D IO L ’ HA VOLUTA FEMMINA E NON MASCHIO » «Il genio femminile è una ricchezza per la società e anche per la Chiesa, ma molto spesso si ha paura del diverso; ciò che è diverso rappresenta per molti non tanto una ricchezza ma una minaccia», sostiene suor Viviana Ballarin, presidente dell’Usmi, da cui dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani, per un totale di oltre settantamila suore. «Allora si affidano alle donne, anche plurititolate, servizi e ruoli secondari ed esecutivi», continua suor Viviana, notando come in molti organismi ecclesiastici tante donne svolgano mansioni non adeguate ai loro studi e preparazione. «È ancora piuttosto raro che vengano affidati nella Chiesa alle donne ruoli a più ampio respiro, intendo dire di responsabilità, di decisionalità. È abbastanza raro che possano sedere ai tavoli dove si pensa o si programma. Quando nelle culture, nelle società e anche nella Chiesa non viene rispettato il progetto creazionale si cade o nel maschilismo o nel femminismo o altro. Gli ismi dicono sempre qualcosa di negativo». Il problema è di un influsso culturale che «condiziona anche la Chiesa degli uomini. Ma non la Chiesa di Cristo. Gesù, infatti, nella vita terrena ha dato esempi meravigliosi di rottura con leggi molto sfavorevoli nei confronti delle donne». A Franca Giansoldati («Il Messaggero») che le chiede se vorrebbe il sacerdozio femminile, risponde no: «Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Ciò che conta veramente per ogni donna è vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio». I L CRIMINE DELLE STERILIZZAZIONI FORZATE Decine di migliaia di donne ignare sterilizzate in Uzbekistan: lo ha rivelato la Bbc che ha intervistato ginecologi e donne sottoposte a interventi di isterectomia. Ad alcuni medici il programma di limitazione delle nascite è arrivato a imporre fino a otto sterilizzazioni a settimana. Tra le modalità di intervento, l’asportazione dell’utero subito dopo un cesareo, con cui vengono eseguiti l’80 per cento dei parti nel Paese. Dopo la denuncia dell’Onu (2007), le isterectomie forzate sono cessate solo in apparenza: i medici uzbeki, infatti, sono stati invitati a continuare, presentando alle donne (specie se povere e illetterate) l’intervento come via per salvare loro la salute e la vita. Notizie di sterilizzazioni forzate giungono anche dall’India, con la novità, come ha rivelato «The Observer», che i finanziamenti (200 milioni di euro) sono arrivati dall’estero. Molte persone, specie donne, sono morte in seguito alle operazioni. È ormai da tempo che si denuncia il ricorso massiccio alla sterilizzazione come via per controllare le nascite nel continente indiano. Forzate, inconsapevoli, estorte o indotte: la varietà nell’offerta passa anche per lotterie in cui si vince un frigorifero in cambio della sterilizzazione. di C RISTIANA D OBNER A mantine Lucie Aurore Dupin pub- blica i suoi romanzi ma, perché siano accettati, li firma George Sand; Mary Ann Evans diventa George Eliot. Currer Bell, Ellis Bell e Acton Bell non sono altro che gli pseu- donimi maschili di Charlotte, Emily e Anne Brontë, costrette a usarli per stampare i loro romanzi. Solo dopo la morte di Maria Alfon- sina Ghattas si scoprì che era lei la vera fon- datrice, a Betlemme nel 1880, della Congrega- zione del Rosario, il cui fondatore era sempre stato considerato il cappellano della comunità. Ed è successo per tanti altri istituti religiosi femminili. Recentemente, lo storico francese Jacques Gagey ha rivelato che è accaduto anche per uno dei più famosi libri di spiritualità cattoli- ca, L’abbandono alla Provvidenza divina , l’ope- ra spirituale più importante del Settecento francese, redatta verso il 1740 e pubblicata nel 1861. Von Balthasar la considerava «il libro lettuale e teologica. Essi considerano quindi la donna solo portatrice di un’intuizione che, per essere sviluppata e fatta conoscere, richiede l’autorità di un uomo e dei suoi strumenti in- tellettuali. A metà Ottocento, la visitandina Marie Cécile Fervel scoprì dei frammenti di lettere e si convinse che erano una corrispondenza spi- rituale della superiora del suo monastero, ma- dre de Rottembourg. Compose con i vari pez- zi una lettera, facendola passare per una lette- ra di de Caussade, e lo fece ancora con altri frammenti, traendo così in inganno il gesuita Ramière, per ottenere che questi scritti entras- sero a far parte della preparazione spirituale delle monache. Ramière, riconoscendo il valo- re dei testi, diede loro forma di trattato in ca- pitoli e vi appose anche il titolo, L’abbandono alla Provvidenza divina , pensato come il mezzo più facile di santificazione, opera postuma del padre de Caussade, gesuita. Le suore si con- centrano su costui non per dedicarsi all’imbro- glio, ma perché era abituale presentare un te- sto in modo da renderlo adatto a uno specifi- co ambiente. Le copiste modificavano, taglia- vano e inserivano in piena libertà brani adatti alla vita di convento, si scambiavano le lettere e ne copiavano i passi più significativi, la- sciando cadere il nome di chi scrive. Vera scienza è l’abbandono, che insegna la confidenza nella vita e nell’autore della vita. L’interiorità allora si dispiega nel canto di gioia della libertà spirituale, l’amore puro e l’annientamento della propria volontà, perché «l’azione divina inonda l’universo, penetra tutte le creature, le sommerge». Dama Abban- dono non dice cose nuove, non è un’innova- trice, non si preoccupa delle ripetizioni, ma è ricca di spunti psicologici e soprattutto si ispi- ra a un’esperienza vissuta. Il suo principio di divenire spirituale prende il nome di abbando- no, ed è aperto alla storia, agli eventi, all’ac- cettazione di tutto quanto avviene, e di tutto quanto dobbiamo soffrire. Osserva che tutto si muove secondo un orientamento provviden- ziale: «Il momento presente è dunque come un deserto, in cui l’anima semplice vede sol- tanto Dio, di cui essa gode, occupata soltanto da ciò che egli vuole da lei; tutto il resto è la- sciato, dimenticato, abbandonato alla Provvi- denza». donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo L’autrice affronta il presente senza un meto- do particolare, ma si concentra sulla postura profonda. Il focus è proprio sull’esperienza quotidiana, nella traumaticità continua del- l’abbandono come sospensione all’amore: nel- la dolcezza traspare l’audacia. L’anima, nella responsabilità della propria libertà, pratica l’interiorità con la buona volontà positiva e la sua coscienza si armonizza. In tempi moderni e con altre conoscenze scientifiche, Jung defi- nì questo processo di integrazione della co- scienza «processo di individuazione». La Dama Abbandono ha avuto il merito di designare il principio del divenire spirituale con il suo proprio nome, “abbandono”. È bel- lo finalmente sapere che questa esperienza fondamentale è stata scritta e vissuta da una donna. cerniera che raccoglieva l’epopea mistica tutta intera», classico della spiritualità e libro dalla fisionomia unica che accompagna costante- mente molte persone spirituali. Queste pagine così famose e continuamente riedite non sono quindi opera del gesuita Jean-Pierre de Caus- sade, ma di una donna. Gagey sa che, in quell’epoca, non aveva importanza l’attribu- zione dell’autore. Oggi però far luce è un do- vere di verità storica, specie quando tutti pen- sano che l’autore sia un uomo, e questo rende più difficile scoprire che invece è una donna. Si tratta di un’autobiografia spirituale, in- scritta nella cultura spirituale del secolo come un testo coerente, opera di una sola mano: «Solo chi non conosce a sufficienza la lettera- tura mistica può mettere in dubbio che l’autri- ce sia una donna». Anche perché il nostro spesso parla al femminile: «Voi dovete tutto regolare; la santità, la perfezione, la salute, la direzione, la mortificazione è affare vostro; il mio, Signore, è di essere contenta di voi e di non appropriarmi di nessuna azione e di nes- suna passione, ma di lasciare tutto al vostro buon piacimento». L’autrice è una donna del- la Lorraine, diretta da de Caussade di cui an- cora si ignora il nome, ma certo di condizione sociale elevata e familiare con la Visitazione di Nancy. Chiamiamola Dama Abbandono, in man- canza di un nome preciso. Dapprima confi- dente e poi protettrice di de Caussade, ella eredita la grande tradizione mistica ma avverte anche, e fa sua, la filosofia dei Lumi, in acce- zione positiva. Proprio assumendosi la respon- sabilità di usare coraggiosamente il proprio in- telletto e di non demandare passivamente la propria vita interiore a un libro o a un diretto- re spirituale, l’autrice rivela la sua scelta di li- bertà. Non indugiando su teorie o astrazioni, ma puntando direttamente, come già era acca- duto con Teresa d’Avila, sul proprio concreto esperire. Quando nella spiritualità appare un’innova- zione, ecco subentrare confessori o direttori spirituali che si sentono in dovere di appro- priarsene, forse per farle percorrere un cammi- no più sicuro grazie alla loro superiorità intel- Quando nella spiritualità appare un’innovazione ecco subentrare confessori o direttori spirituali che si sentono in dovere di appropriarsene Fare luce è un dovere di verità storica Specie quando tutti pensano che l’autore sia un uomo Ninna nanna nel lager La diversità del femminile anche nello sterminio di A NNA F OA A lle dieci del mattino della giornata che Israele dedica alla commemorazione della Shoah ( Yom ha Shoah , quest’anno il 18 aprile), nel Paese suona per due minuti la sirena e tutti si fer- fica voce di soprano, Charlette Shulamit Ottolenghi, nata in Ita- lia e trasferitasi da tempo in Israe- le, che a questa produzione musi- cale ha già dedicato molta ricerca, esibendosi in tante occasioni (di recente in un concerto per la Giornata della memoria a Roma all’Università cattolica del Sacro Cuore). Gli studi sulla musica concen- trazionaria hanno avuto un forte sviluppo negli ultimi decenni, ri- portando alla luce carte e spartiti obliati nel tempo, ricostruendo le poche registrazioni esistenti, fa- cendo rivivere brani composti e suonati nell’orrore dei campi, in attesa del trasporto nelle camere a gas. In Italia, un’opera di grande rilievo è stata svolta dal maestro Francesco Lotoro e dall’Istituto di letteratura musicale concentrazio- naria di Barletta da lui creato. È questo il materiale che Charlette Shulamit Ottolenghi ha utilizzato, accentuandone però, rispetto all’interpretazione datane da Lo- toro, il carattere popolare. La can- tante ha così scelto di essere ac- compagnata dalla fisarmonica, vo- lendo rendere il carattere imme- diato di queste canzoni, legato al- le emozioni quotidiane. Il risulta- to era di grande efficacia e la voce straordinaria di Ottolenghi trova- va nell’accompagnamento folklori- co uno struggente accostamento. La più nota tra le autrici di queste canzoni è Ilse Weber, ceca, morta a 41 anni ad Auschwitz do- po aver passato quasi due anni a Theresienstadt, la fortezza vicino Praga trasformata dai nazisti in qualcosa a metà fra un ghetto e un campo di transito, in cui furo- no lasciati sopravvivere per un po’ perfino i bambini e dove furono concentrati i musicisti ebrei del- l’Europa centro-orientale, che vi composero e allestirono opere im- portanti. Quasi tutti quelli che passarono per Theresienstadt con- tinuarono il viaggio verso il cam- po di sterminio di Auschwitz-Bir- kenau. Ilse Weber era scrittrice di racconti per bambini, poetessa e musicista. Quando il marito fu se- lezionato per Auschwitz, decise volontariamente di seguirlo, con il suo bimbo. Lei e il piccolo furono subito gassati, mentre il marito sopravvisse. A Theresienstadt, Ilse compose una sessantina di poemi, musicandone alcuni. Fra quelli scelti per il concerto, quasi tutti in tedesco (Rita Baldoni sta curando una traduzione italiana), c’era una tenera ninna nanna in cui si im- maginava vagare per Theresien- stadt desiderando invano la casa e la libertà. Di lei, che era già una scrittrice nota, sono rimaste molte immagini, tra cui una bellissima mentre suona un mandolino. Un’altra autrice è Camilla Mohaupt, di cui non abbiamo nessuna notizia e di cui è rimasto solo il testo Lì dove il male dell’anima congela il cuore , ritrovato ad Auschwitz. E poi Erika Taube, che nel 1942 a Theresienstadt compose un solo canto, Sei un bimbo come tanti altri , musicato dal marito Carlo. Era dedicato al loro bimbo, con loro a Theresien- stadt e che con loro morì ad Au- schwitz. E ancora, due canti in ceco di Ludmilla Peskarova, de- portata a Ravensbruck e soprav- vissuta. Se sia possibile o meno definire una diversità di genere nell’ambi- to di uno sterminio della portata della Shoah è ancora questione aperta per gli storici. Ma come nella memorialistica femminile (in cui avvertiamo un’attenzione al corpo quasi assente nella scrittura dei deportati uomini), così in que- sti canti si colgono forme ed emo- zioni molto femminili, legate alla quotidianità, parole di rassicura- zione e accudimento rivolte ai bambini, fossero essi presenti (co- me a Theresienstadt), o solo so- gnati (come ad Auschwitz). Così, se lo sterminio fu uguale per tutti, se uguale fu la volontà di uccidere dei carnefici, il modo in cui tale immane violenza fu percepita da uomini e donne fu almeno in parte diverso. Ascoltare queste voci di dolore ma anche di speranza aiuta a comprenderlo. mano ad ascoltarla. La sera prima, in un piccolo teatro di Tel Aviv, ho assistito allo straordinario con- certo «Una voce per la Shoah». Erano canzoni composte da don- ne, canti strazianti sulla lontanan- za dagli esseri amati, ninne nanne, voci di speranza e di dolore estre- mo. A cantarle, con la sua magni- Se uguale fu la volontà di uccidere diverso fu il modo in cui l’immane violenza venne percepita Sofonisba Anguissola «La Sorella dell’artista in abito religioso» (1551) di R ITANNA A RMENI «“Perché fate tanto strepito e piangete? La bam- bina non è morta, ma dorme”. Ed essi lo deri- devano. Ma egli (...) presa la mano della bam- bina, le disse: Talità kum, che significa: “Fan- ciulla, io ti dico, alzati!”. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare» (Marco, 5, 39- 42). A nna è una contadina armena di famiglia poverissima. Un giorno incontra una donna che le sem- bra buona e affidabile e che le promette un lavoro come gover- nante in una casa turca a seicento dollari al mese. Accetta ed è felice di poter finalmente risollevare la sua famiglia dalla povertà. Si ri- trova costretta a fare per un anno la prostitu- ta. Elena è una giovane donna albanese. Lei un lavoro ce l’ha, ma lo lascia per seguire il fidanzato in Gran Bretagna. Si sveglia in un appartamento sconosciuto, durante la notte è stata drogata, il suo corpo è diventato blu per le violenze subite. Da quel momento di- venta una schiava. Vivian è thailandese, pen- sa di andare a lavorare in un centro massaggi ad Amsterdam ma chi la accoglie all’aeropor- to le toglie soldi e passaporto e la costringe a stare in un bordello. Nadia è ucraina, anche lei ha bisogno di un lavoro e accetta l’invito di un amico di famiglia che le promette un’occupazione in Belgio. Si ritrova chiusa in un appartamento per quattro settimane costretta a soddisfare trenta clienti al giorno. Di storie come queste se ne potrebbero raccontare centinaia di migliaia anzi, stando ai dati, addirittura milioni, tutte diverse, ma anche tutte uguali. Donne povere, che devo- no pagare dei debiti, che vogliono un futuro, che si affidano o vengono affidate dalla fami- glia ad altre donne o ad amici che le vendo- no come schiave. I giornali australiani hanno raccontato di un fiorente commercio di don- ne coreane vendute in Australia. Prezzo quindicimila dollari. E, malgrado il controllo delle autorità, il traffico risulta fiorentissimo fra la Corea del Nord e la Cina. La mancan- za di donne in alcune regioni cinesi, conse- guenza della politica del figlio unico, ha creato un vero è proprio business. Giovani costrette ad attraversare il confine, vendute e rapite, a disposizione di chi le vuole compe- rare. Il traffico ha una dimensione planetaria. Per fare un esempio di schiave ne arrivano da 14.000 a 17.000 all’anno solo negli Stati Uniti. E se anche i numeri spesso rimangono imprecisi comunque indicano un’enormità del fenomeno e una sua diffusione che attra- versa gli oceani e invade l’intero pianeta. È di circa due milioni l’anno l’incremento del traffico degli “schiavi” del lavoro e del sesso. Questi ultimi sono circa 600.000. Se- condo l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni), ci sono addirittura almeno tre milioni di esseri «reclutati o costretti a spostamenti attraverso l’inganno o la coerci- zione allo scopo di sfruttarne il corpo o parti di esso». L’ottanta per cento del mercato è costituito da donne. Sono loro le schiave del nuovo millennio e il fenomeno è in costante aumento, avvertono al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. È un commercio fiorente che rende e che è arrivato a circa quaranta miliardi di dollari l’anno, un affare criminale inferiore solo a quelli della droga e delle armi. A partire da queste storie e da questi nu- meri è nata Talità Kum (“fanciulla, alzati”) la rete che collega nel mondo più di 4.000 suo- re presenti in 82 paesi. In Italia sono circa trecento le religiose che svolgono questo la- voro difficile e delicato: combattere la tratta e la schiavitù. Liberare le donne e restituirle al- la propria vita. C’erano già alcune associazio- ni impegnate in questo difficile compito. Lai- che e religiose. Ma ora proprio le religiose hanno creato questa rete per dare più forza e organizzazione a un lavoro che svolgono da anni. Talità Kum è stata proposta e approva- ta dal Congresso organizzato dall’Unione in- ternazionale delle superiore generali (Uisg, che riunisce le superiore di 1.900 congrega- zioni femminili) e dall’Oim (struttura inter- governativa cui aderiscono 125 Stati), tenuto a Roma qualche anno fa. Il suo nome ha un profondo significato simbolico. È l’invito che Gesù rivolge alla giovane figlia di Giairo che tutti credono morta e che, invece, ascoltando le sue parole, si alza e cammina. Le religiose to sono le congregazioni internazionali di re- ligiose». Suor Rita è un’orsolina e fa questo “lavo- ro" da 17 anni a Caserta, in un centro di ac- coglienza chiamato Casa Ruth. Il giorno dell’inizio lo ricorda perfettamente. Era l’8 marzo 1997. «Con due volontarie andai sulla strada dove sapevo c’erano queste ragazze per portare loro un fiore. No, non era una mimosa, era una piccola piantina di primule, un messaggio vitale, con il quale volevamo segnalare la nostra vicinanza. Hanno capito e ci hanno chiesto di incontrarci. Abbiamo vi- sto i segni della tortura, i tagli sul loro corpo e la paura. Ne avevano tanta. Erano schiave. Come donna e come consacrata non ho po- tuto tirarmi indietro. Abbiamo fatto spazio nella nostra comunità e abbiamo accolto la prima ragazza. Si chiamava Vera, era polac- ca. Aveva sul corpo e sulla testa le ferite e i segni della violenza. Poi ne sono venute altre e la nostra struttura è diventata più grande. Oggi abbiamo tre appartamenti nel centro di Caserta». Suor Rita è orgogliosa di ciò che ha fatto. È stato difficile avvicinarsi a donne di cui non si conosceva la lingua, ragazze venute dall’Est Europa o dall’Africa a cui ripeteva insistentemente due parole: I sister , sperando che il messaggio fosse compreso. C’è riuscita in una lotta continua, con momenti di gioia e momenti di sconforto. «È stato duro so- prattutto con le ragazze che vengono dall’Est europeo. Sono venute a riprendersele, ma lo- ro sono scappate di nuovo e sono tornate da noi». Schiave. La religiosa usa continuamente questo termine. E può sembrare una parola antica, esagerata. Nel mondo moderno si parla di povertà, emarginazione, esclusione dai diritti. Per le donne si parla di prostitu- zione, di vendita coatta del proprio corpo. La schiavitù è persino inimmaginabile. Al Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Iti- neranti ci tengono molto a fare subito una distinzione. «Quando parliamo di tratta e di schiavitù per sfruttamento sessuale — precisa Francesca Donà, officiale del settore rifugiati del dicastero — non parliamo di prostituzio- ne, ma di donne che sono state prostituite. Le donne di cui si occupano le religiose sono state sequestrate, violentate, assoggettate, mi- nacciate». In poche parole mentre nella pro- stituzione può esserci qualche volta condivi- sione o complicità, a volte anche libera scel- ta, le religiose si trovano di fronte a donne costrette con la forza a vedere il proprio cor- po. Padre Frans Thoolen, responsabile del settore rifugiati, parla di vere e proprie orga- nizzazioni criminali e di varia natura. «Pos- sono essere a livello micro o livello macro. Nel primo caso si tratta di criminali che agi- «Fanciulla, io ti dico alzati» Inchiesta tra le suore che salvano le nuove schiave di Talità Kum ripetono quell’invito alle ra- gazze rese schiave e costrette alla prostituzio- ne in tutti i Paesi del mondo. Il loro lavoro è quasi impossibile. Perché, certo, il fenomeno è stato monitorato, esaminato e studiato. Ma poi tocca a loro andare avanti, agire concre- tamente, cercare le ragazze rese schiave. Ed è difficile individuarle perché hanno paura, è difficile avvicinarle, conquistare la loro fidu- cia, parlare, convincerle a superare il terrore dei loro aguzzini, garantire la loro incolumi- tà. Ma lo fanno e il loro lavoro è oramai uni- versalmente riconosciuto. In una intervista alla Radio vaticana il cardinale Vegliò, presi- dente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, dopo aver ri- cordato gli sforzi fatti dalle Chiese locali, le dichiarazioni, le lettere pastorali ha afferma- to: «Nel mondo le più attive in questo ambi- scono singolarmente o in piccoli gruppi, nel secondo caso di grandi organizzazioni inter- nazionali con emissari locali. Le donne ven- gono in genere prelevate con l’inganno dall’Africa, dall’Asia, dall’America latina e di- rottate verso l’Europa o il nord America. Ma spesso il traffico è anche locale. Si svolge nello stesso Paese o fra Paesi vicini o fra città e città». Si è quindi ritornati alla vecchia schiavitù? Qualche anno fa, al congresso di Nairobi «Verso una migliore pastorale per i migranti e i rifugiati in Africa all’alba del ter- zo millennio», l’arcivescovo Novatus Rugam- bwa, già sottosegretario del Pontificio Consi- glio per i Migranti e gli Itineranti, ora nun- zio apostolico in Angola, ha precisato: «Chiamiamo oggi questo fenomeno moderna schiavitù, tuttavia c’è una differenza fra que- sta e l’antica forma di schiavitù. Quest’ultima era legata alla proprietà di un altro essere umano, la schiavitù moderna è legata allo sfruttamento e alla privazione totale del con- trollo di un essere umano sulla propria vita». «Nel mondo le più attive in questo ambito sono le congregazioni internazionali di religiose» dice il cardinale Vegliò «L’8 marzo — racconta suor Rita — andai sulla strada per portare loro un fiore»

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