Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

6 NATALIA GINZBURG Si verifica dunque questo fatto strano: che gli uomm1 s1 trovino stret– tamente legati l'uno al destino dell'altro, così che il crollo di un solo travolge migliaia d'altri esseri, e nello stesso tempo tutti soffocati dal silenzio, incapaci di scambiarsi qualche libera parola. Per questo - perché il disastro di uno è il disastro di tutti - i mezzi che ci sono offerti per guarire dal silenzio si rivelano insussistenti. Ci viene sugge– rito di difenderci con l'egoismo della disperazione. Ma l'egoismo non ha mai risolto nessuna disperazione. Siamo anche troppo avvezzi a chiamare malattie i vizi della nostra anima, e a subirli, a lasciarcene governare, o a blandirli con sciroppi dolci, a curarli come fossero malat– tie. Il silenzio dev'essere contemplato, e giudicato, in sede morale. Non ci è dato scegliere se essere felici o infelici. Ma bisogna scegliere di non essere diabolicamente infelici. Il silenzio può raggiungere una for– ma d'infelicità chiusa, mostruosa, diabolica: avvizzire i giorni della giovinezza, fare amaro il pane. Può portare, come si è detto, alla morte. Il silenzio dev'essere contemplato, e giudicato, in sede morale. Perché il silenzio, come l'accidia e come la lussuria, è un peccato. Il fatto che sia un peccato comune a tutti i nostri simili nella nostra epoca, che sia il frutto amaro della nostra epoca malsana, non ci esime dal dovere di riconoscerne la natura, di chiamarlo col suo vero nome. NATALIA G1NZBURG BibliotecaGino Bianco

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