Cultura e realtà - anno I - n. 3-4 - marzo 1951

4 N,\TALIA GINZBURG serbo delle altre. Stavamo zitti, pieni di fiducia nelle nostre nuove parole. Avremmo speso quelle nostre nuove parole più tardi, con gente che le avrebbe capite. Eravamo ricchi del nostro silenzio. Adesso ne siamo vergognosi e disperati, e ne sappiamo tutta la miseria. Non ce ne siamo liberati mai pitt. Quelle grosse parole vecchie, che servi– vano ai nostri genitori, sono moneta fuori corso e non l'accetta nessuno. E le nuove parole, ci siamo accorti che non hanno valore, non ci si compra nulla. Non servono a stabilire rapporti, sono acquatiche, fred– de, infeconde. Non ci servono a scrivere dei libri, non a tener legata a noi una persona cara, non a salvare un amico. Fra i vizi della nostra epoca, è noto che c'è il senso della colpa: se ne parla e se ne scrive molto. Tutti ne soffriamo. Ci sentiamo coin– volti in una faccenda di giorno in giorno più sudicia. Si è detto anche del senso di panico: anche di questo, tutti ne soffriamo. Il senso di panico nasce dal senso di colpa. E chi si sente spaventato e colpe– vole, tace. Del senso di colpa, del senso di panico, del silenzio, ciascuno cerca a modo suo di guarire. Alcuni vanno a fare dei viaggi. Nell'ansia di veder paesi nuovi, gente diversa, c'è la speranza di lasciare dietro a sé i propri torbidi fantasmi; c'è la segreta speranza di scoprire in qual– che punto della terra la persona che potrà parlare con noi. Alcuni s'ubriacano, per dimenticare i propri torbidi fantasmi e per parlare. E ci sono poi tutte le cose che si fanno per non dover parlare: alcuni passano le serate addormentati in una sala di proiezioni, con al fianco la donna alla quale, così, non sono tenuti a dover parlare; alcuni impa– rano a giocare a bridge; alcuni fanno l'amore, che si può fare anche senza parole. Di solito si dice che queste cose si fanno per ingannare il tempo: in verità si fanno per ingannare il silenzio. Esistono due specie di silenzio: il silenzio con se stessi e il silenzio con gli altri. L'una e l'altra forma ci fanno egualmente soffrire. Il silenzio con noi stessi è dominato da una violenta antipatia che ci è presa per il nostro stesso essere, dal disprezzo per la nostra stessa anima, così vile da rion meritare le sia detto nulla. È chiaro che bisogna rompere il silenzio con noi stessi se vogliamo provarci a rompere il silenzio con gli altri. È chiaro che non abbiamo nessun diritto di odiare la nostra stessa persona, nessun diritto di tacere i nostri pen– sieri alla nostra anima. Il mezzo più diffuso per liberarsi del silenzio, è andarsi a fare psi- BibliotecaGino Bianco

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