Critica Sociale - anno XLI - n. 13 - 30 giugno 1949

CRITICA SOCIALE 305 -------------------------- regoli e ad una autonomia che si regoli « autonomamente > da ·se stessa, non è 11>roprio il caiso di parlare, Un simile ri– torno sarebbe forse possibile se venissero adempiute le con– dizioni a cui è connesso il .funzionamento del sistema, condi– zioni che oggi non susssistono e che con ogni probabilità non potranno verificarsi nemmeno nel prossimo avvenire. Enu– meriamole sommariamente : 1) Anzitutto il capitalismo liberistico richiede una lunga e sicura situazione di i)ace ,come quelfa che in genere si ve– rificò per l'Europa e per l'America durante la seconda metà del XIX e il !()'rimodecennio del XX secolo, Soltanto sulla baise di un unitario e sicuro ordinamento giuridico interna– zionale IJ)0teyaallora realizzarsi quella divisione di lavoro tra i IJ)opolie quell'automatismo economico mondiale che era un presupposto essenziale d~l progresso economico. In realtà, tuttavia, il capitalismo ha distrutto questo presupposto, e non soltanto il periodo tra le due guerre mondiali, ma il pro– spettarsi di una terza sono contrassegnati dal fatto che l'e– conomia sempre più si va impostando come produzione di guerra ed il suo sviluppo è com1>romesso dalle esigenze di riarmo e dai bisogni bellici. 2) Con ciò è naturalmente connesso il fatto che il nuovo ca,pitatismo è s~re più mantfestamente divenuto naziona– listico e con Ia sua l()Oliticaautarchica e doganale viene po– nendo ostacoli sempre 1PiÙ rilevanti alla formazione di grandi aree economiche, di cui avrebbe btSogno un'economia liberi– stica. Sotto il regime ca,pitalistico questa tendenza non è eli– minabile, anche se si palesano frequentemente abbozzi di unio– ni doganali ed economiche sul piano dell'ordinamento esi– stente. 3) Per poter operare in maniera soddisfacente, l'econo– mia Hberale ha bisogno della libera concorrenza del maggior numero possibile di piccole unità economiche. E' appena ne– ces,sa·rio ricorda,re che da cento anni a questa parte il ca,pi– talismo è contrassegnato dalla progressiva concentrazione di sempre più grandi unità economiche - grandi imprese, cartel– li, combinazioni, t>ru.!'ts, ecc. e che non si può fare in alcun modo affidamento su di un rovesciamento di questo processo. Il « Jibero » capitali5mo viene progressivamente meno, quan– to [,iÙ il capitalismo svela il suo carattere' monopolistico e se ne fa con ciò l'affossatore. 4) Lo spi·rito capitalistico ,si è .pure decisamente mutato negli ultimi decenni. In luogo del primitivo' spirito di avven- tura .e di conquista è subentrato sempre più il ):>isognodi sicurezza, il quale concede •bensìminori profitti, ma evita d'al– tra parte· i rischi ,di cui non si 'VUOI 11,liÙ sapere, tentando ta– lora anzi di addossare a!Ja colletti,vità le perdite della « libe– ra impresa». Questo «dimagramento», questa « riduzione di rendita>, come ,Ja chiamò Werner Sombart, questa burocra– tizzazione e razionalizzazione del tardo capitalismo impedi– scono, sino a renderlo utopistico, un ritorno al vecchio coreo individualistico del capitalismo di un teffi1>o.La parola d'or– dine della « libera impresa» diventa •l'aspirazione alla sicu– rezza ed al,la tutela monopolistica, estranee ad ogni rèa!le li– bertà. 5) E finalmente il .itomo al capitalismo liberale presup– porrebbe che le forze lavoratrici abbandonassero una parte sostanziale delle conquiste per le quali esse· hanno faticosa– mente lottato anche nel tempo dell'economia di guerra. Come già dimostrano i risultati sociaJi della « rinascita della libe– ra iniziativa » in una serie di paesi, un tale ritorno è soltanto possibile se si ottiene di costringere la classe lavoratrice a un nuovo abba6Samento di safario, ad una nuova disoccupazione, ad una nuova mancanza di sicurezza di vita. Ed a ciò non si può pensare seriamente. La volontà di vita e di libertà della classe lavoratrice è divenuta semp~e più elementare a tale ri– guardo, perchè ciò possa :wvenire. Se quindi il capitalismo non wole far sorgere sventatamente una vera e propria si– tuazione rivoluzionaria esso deve mantenerla tranqui,J!a e ras– segnarsi alle necessità economiche e morali che sospingono BibliotecaGino Bianco Socialdemocrazia tedesca e nazismo Quando si ricerca per quale ragione a Hitler riuscì il battere il movimento operaio tedesco, non si può presdn– dere dal fallimento del Partito Socialdemocratico Tedesco. Il più grande partito del1a Repubblica tedesca del dopoguer– ra si mostrò incapace di incanalare lo sviluppo politico su binari socialisti. Quando nel novembre 1918 Guglielmo II diede le dimissioni e Scheidemann annunciò la « Repubblica Tedesca» apparivano sussistere tutte le premesse per una Germania socialista. La popolazione affamata, l'esercito in dissoluzione e la stessa borghesia sgomentata dalla catastro– fe militare erano pronti ad accettare la guida politica della socialdemocrazia. Le elezioni nel Reichstag repubblicano die– dero un considerevole incremento di voti al partito. Venne costituito un governo nel quale la socialdemocrazia esercita– va l'influsso predominante. Ma non le riuscì di proseguire in questo indirizzo e la stessa vittoria non venne sfruttata. Da principio si ,portò il 1>artito su posizioni puramente di– fensive. Nel tentativo di coHocarsi tra la borghesia ed il comunismo, la Socialdemocrazia perse il proprio mordente e la propria forza vitale. Con una politica difensiva di « oc– casioni perdute » non si potevano -rianimare le masse. A que– sto si aggiunsero molte difficoltà, derivanti principalmente qalla guerra perduta e dalla inflazione, ma che una scaltrita propaganda mostrava come conseguenze della politica so– cialrlemocratka. Non doveva quindi stupire che la socialde– mocrazia tedesca, subito dopo la rivoluzione di novembre e via via in seguitq, venisse perdendo di influenza, mentre gli estremisti di destra e di sinistra venivano acquistando ~em• pre maggiore ascendente. Gradualmente la socialdemocrazia venne cacciata da tutte le posizioni dominanti ad opera dei partiti di destra, i quali dovevano poi sempre più inclinare •verso il nazionalsocialismo, j:,a famosa risposta del presi– dente dei ministri prussiano Otto Braun - « Io cedo alla. violenza» - quando un tenente e due '.(l<Jliziotti lo costrin– sero alle dimissioni, illustra in maniera drastica la catastrofe del movimento operaio tedesco. Sta ora dinnanzi a noi un libro, che nel titolo stesso pro– mette un'analisi della catastrofe della socialdemocrazia te– desca. Si tratta del1e memorie di un uomo che apparteneva ai funzionari dirigenti della Socialdemocrazia. Il nome del– l'autore può risuonare scetticamente all'orecchio del lettore voliticamente versato. Si può invero dubitare se Gustav No– ske ,fosse il più qua!Hicato per scrivere su « Ascesa e de– clino della socialdemocrazia tedesca», dato che egli appar– tiene indubbiamente a coloro che .furono maggiormente re– sponsabi-li del declino del partito. Il nome di Noske conser– va per i vecchi operai socialisti una cattiva fama. Esso im– persona per essi tutti gli sviluppi che sono connessi con il rnf.forzamento della Reichswehr e della reazione e con la repressione dell'attività socialista. Chi è. quest'uomo che viene presentato dalla stampa di si– nistra come un << assetato di sangue»? Dalla sua biografo1 ap· ad una pianificazione economico-sociale, o addirittura a'l so– cialismo. No, nòn vi è nessuna via l(ler tornare indietro ad una' se– dicente « libera» economia, «libera» solo per gli Q/\TVenturieri. e gli spregiudicati: C'è soltanto una via per andare avanti: o verso un capitalismo internazionale organizzato coerentemen– te e monopolistico, le cui forme politiche sono il fasciemo e l'imperiaJismo; oppure verro il socialIBmo che in verità sarà la sola economia libera perchè sarà un'economia del popolo a favore del ,popolo e per mezzo del ,popolo. Socrus (Dal quotidiano socialista svizzero Vor.KSTIMM( del 20 aprile 1949).

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