Critica Sociale - XXXVI - n. 4 - 16-28 febbraio 1926

CRITICA SOCIALE 47 parola e cosa - nella ferrea autorità del co– munismo di stato. Essendo tutto spianato al suolo, la Rivoluzione credeva di poter costrui.– re il suo edifizio con un piano dedotto dalla pura ragione. Lo sforzo michelangiolesco di Lenin ha dato tutto ciò che poteva dare; poi le revisioni vennero segnate dallo stesso Lenin. , Non si accenna qui allo stabilirsi della pro– prietà priva_ta della terra e al combattuto fio– rire della N ep. Ciò attiene al plasma mate– riale economioo, che non può e non dev.e al– trimenti foggi arsi che sopra il calcolo del suo maggior rendimento. Qui si allude invece alla crisi ,politica onde ogni giorno più la potenza oligarchica del partito comunista oede, o, anzi, sollecita essa stessa; la massa a interve– nire nel giuoco complesso dei fattori sociali esercitando un'autorità di funzione che pre– lude a una v,era e propria sovranità di potere. Questo è il fatto che un ardente amico della rivoluzione ,e de_gli uomini al _gov~rno della Unione delle repubbliche sovietiche_, il Mi– glioli, ha sopratutto sentito nel suo recente viaggio in Russia ed ha scolpito in 11n libro cli grandissimo interesse (,1). « Tutto per la massa e nulla senza la massa», sembra essere la formola riassuntiva dell'ultima esperienza. Quanto occorrerà perchè la, formola integri tutto il suo contenuto storico, consentendo alla massa la pienezza del suo diritto di asso– ciazione, di organizzazione, di s\ampa? Forse quanto sarà necessario perchè la Unione so– vietica, pur restando in contrasto di classe con l'Occidente capitalistico, cessi di sentirsi ugualmente in guerra guerreggiata con le Po– tenze di Europa e dismetta la crudele bar– datura di guerra, la quale ornai non è più un'afflizione che gravi sui capitalisti di Euro– pa, ma soltanto sui lavoratori della Russia rivoluzionaria! · * * * La democtazia-fatto, vivendo, troverà le vie della democrazia-diritto, secondo gli abbomi– nati « diritti dell'uomo», rifacendo, non a ri– troso, ma a spirale che si eleva, e con sempre più strenua consistenza, la filogenesi della li– bertà. E il fine ultimo, ultimissimo è ancora e sempre l'uomo, in cui confronto lo Stato, qualunque Stato, non è che un mezzo ed uno strumento; l'uomo, senziente, e intelligente, unico vivo e dichiarator della vita, essendo l'uomo-natura che compie in concreto l'atto di nutrizione, l'atto di riproduzione, l'atto di pensiero... \ . Ciò prima, ciò dopo la guerra. La vita con– tinua. La percezione più dolorosa, perchè più profonda, che ne abbiamo dopo la gue1:ra, non ne sposta gli imperativi fondamental1. ~ una grande e vana stoltezza quella che espri– meva or non è guari un filosofo della rivolu– zione contemplativa sull'Avanti!, che l'attuale limitazione dei diritti della organizzazione operaia affretti il trionfo della rivoluzione so- (1) Guido Miglioli: Una s(oria ~ un_'id_ea, Tipografia ,cario Accame Torino. - Questo libro v1vac1SSllllOnassume 1 opera della rì~oluzione russa in pro' dei contadini e la illustra con statistiche e documenti. L'"afflalo entusiastico che lo penetra non ne scema il valore docurÌ1entario. È un libro destinato rJt .~_!)\l ,ev3i.re mo llç.4is·cuss\Q.P,Ì ed a sgomberare molti malintesi. om1101eca l:JlnO 01anco · .. ciale. Come la perdita di una conquista sa– rebbe arra di una conqui sla maggiore, se la maggiore presuppone la minore? •Bisogna discendere fino allo stato primi– tivo selvaggio per essere rapiti d'improvYiso a formare l'angelica farfalla? Eterno autoin– ganno della coscienza, questo assumere ogni «momento» come, assoluto, ignorando ][I propria continuità creatrice! La lcllcralura ne ha bisogno per le sue luci abbaglianti cli contrasto, le sue antitesi corrusche; ma più che vila è teatro. Nelle ore grandi di crisi 1 a nostra slanchez– za visiva confonde. Sapere come la confu– sione procede, è salvarsene. Tni noi, ed i desolali che professano la nascila dell'uomo e della vita e della politica e elci mili dall'an– no della disgrazia 1914, è lalc differenza. Xoi marxisti li interpretian10 ancora; essi non ci interpretano più. (Ma ci hanno mai inlerpre– tato, ossia capito, ossia accompagnato?) Il meccanismo del loro spirito noi lo smontia– mo. Non essi il nostro. RABANO MAURO. Il prot!lioniimo rovina i pa!ii prot!tti Si sarebbe potuto credere, o sperare, che le in– terminabili discussioni condotte per più di un se– colo sull'argom(;}nto del protezionismo e del li– bero scambio ·avessero completamente esaurito il soggetto. Discussioni non certo probatorie in senso assoluto, poichè ciascun conLendente era rimasl0 del suo parere e le opinioni continuavano ad es– s-ere divise; ma svoHe con tanta dottrina e con Lauta copia di cifre da non lasciar luogo, pareva, .ad ulteriori argomentazioni. Invece, anche in questo campo, come in molti altri, la guerra mondiale, o piuttosto l'agitatissimo dopoguerra, ha portato nuova luce e· ha spostato il punto di vista degli osservatori. Una esperienza che dura ormai da sette od otto anni ha definiliva– ·mente avvantaggiato l'assunto dei libero-scam– bisti, portando la prova esatta della incompalib1- lità del prdlezionismo col risanamento monetario ed economico dei Paesi a Yaluta deprezzata. Bisogna, per apprezzare l'imporlanza della di– mostrazione che il mondo, o "'canta parte di esso, sta dando a proprie spese, tenere presenti que– sti due principii fondamentali. Primo: Gli Stati la cui monela è forlemenle scaduta di valore - la Francia, l'llalia, il Belgio, la Jugoslavia, la Cecoslovacchia ecc., - in tanto possono sostenere la loro presenle enorme pres– sione tributaria, in quanto la moneta stessa ri– mane svalutata. Prendiamo l'esempio che ci è più famigliare, quello del nostro Paese. La nazione italiana pagava nel 1914 allo Stato imposte per due miliardi e mezzo di lire annue~ oggi paga per diciotto miliardi. Ciò significa forse che nel frat– tem no la nazione italiana sia diventata sette volte' più ricca? No; significa semplicemente che nel frattempo il valore reale della lira: o. più precisa– mente, la sua capacità d'acquisto e di l)agamento, si è ridotta circa ad un settimo di quanto era nel 191-1. Il nostro popolo non paga, per tasse gover– native mollo più di quel che pagava prima della guerr~ · e, se sembra pagare di più, ciò è dovulo al fatt~ che ora paga con lire che in realtà sono ventini. ma continuano a portare il nome di lire. Se la nostra moneta si riYalutasse, la nazione non potrebhe sopportare l'onere attu_al_e d~i tributi: i~ questo tulti sono d'accordo, part1g1an1 e avversarn ,

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