Critica Sociale - anno XXXV - n.16 - 16-31 agosto 1925

206 l'Rli'ICA ROClALE L'uomo va così riacquistanòo il suo posto nella con– siderazione dei d.1tori di lavoro, perchè è nel loro in-• teresse che ciò sia. « La mia esperienza dei datori di lavoro, la quale non è trascurabile ·- scriveva al Times (20 marzo 1925) il Segretario dell'Associazione dei dà tori' di la– voro di Londra, H. Kày - mi dice che tutti quelli de~ gni di tal nome riconoscono in misura crescente l'im– portanza e i vantaggi di assicurare buone condizio– ni a coloro che essi impiegano, perchè un corpo di di– pendenti contento e ben curato è un coefficiente es– senziale di riuscita nell'industria ». Non sono però molti questi industriali di tipo mo.– clerno, e non lo sono specialmente i medii e i ·piccoli, i quali nulla sanno, o vogliono sapere, delle norme pro– tettive del lavoro, e sfuggono ai cnntrolli ed alle ispe• zioni. Di questa preoccupazione di elevare la produzione mercè un miglior trattamento della mano ·d'opera, si •è fatto assertore l'attuale Presidente del Consiglio in– glese, Baldwi11, il quale è anche un grande industriale metallurgico. In un dh;corso tenuto il primo dello scor– so giugno a Londra, egli ebbe a dire: « C'è un'altra ra– gione che rende le relazibni industriali più difficili che non una generazione fa, ed è il fatto che la divisione del lavo1,o è spinta a tal punto da riuscire a una mono– tona ripetizione deHe stesse operaz:ioni, e che lo sarà' ancor di più quanto più si produce per grandi masse ed economicamente. Un grande numero di operai sono condannati a cercare quella ch'essi considerano la mi– glior parte della l,oro vi t::i. al di fuori della loro esistenza quotidiana, fuori del lavoro normale. t questo uno dei problemi che una direzione illuminata deve oggi considerare da vicino, ed è un campo nel quale i nos,lri giovani possono applicàre le loro energie e la loro intelligenza». . Aggiungeva poi questi àncor più in~portanti ammoni– menti: « Gli industriali metallurgici debbono trattare con riguardo gli operai. Il modo di trattare gli operai è molto più difficJe d'ell'abilità che ci vuole ad appli– eare le leggi del calote e della luce. Non. basta la com– petenza tecnica .. Nessuna direzione è scientif:ca se di– mentica il lato umano dell'operaio, e la migHor solu– zione sta nel consultare sempre più gli opetal nelle que– stioni .del lavoro ordinario, -attraverso le Commissioni di fabbrica. Non si tratta qui di dogmatizzare, ma a me sembra che ora, e negli anni prossimi, vi sia motivo per istituire nuovi e più intimi rapporti nell'industri~ · · più. che nel passato». ' Dopo un lungo periodo di indifferenza verso l'ope– raio salariato e di voluta ign<C?ranzadelle sue condizioni materiali e spirituali come uomo, succeduto al pe– riodo del paternalismo· nella piccola àzienda mani– fatturiera e nella boUega dell'artigiano, si entrerebbe nel periodo di una specie di paternalismo scientifico;, preludente a una forma di collaborazione tecnica tra il lavoratore manuale, il tecnico scieoziato e il, dirigente. È questo un avviamento al trapasso dall'autocratismo e dall'assolutismo al costituzionalismo nella fabbrica come l'ala destra del Labourismo inglese domanda d~ decennii, e dalla direzione dell'azienda guidata dall'ero~ pirismo e dall'intuito alla direzione guidata dalla scien– za e dall'esperienza di ognuno dei partecipanti in essa al Iavoro. Ecco· che, implicitamente, viene data cittadinanza e autorevolezza alla Commissione interna di fabbrica quale organo consultivo nei p.roblemi tecnid e di oraa~ nizzazione del lavoro. - 0 • Lasciatemi aggiungere questo - concludeva il Bald– win :-: Ne~sun industriale è· atto a éompiere la grande funz10ne d1 guidare gli uomini, se non è in grado di compren~ere la natura umana. Similmente,· niuno è atto a gmdare una Trade-Union, se non conosee abba– stanza il lato « affare» dell'industria così da abbrac- . . ' . . . . ) ciare, rn un ampia v1s10ne, 1 rapporti di quell'industri-a . . con le altre indl.1;strie e col traffico mondiale». 81bllotecaGino Bianco Questa « profonda verità » del politioo-industriale, il Times ( 3 giugno 1925) chiosava così: « Vincemmo la guerra perchè non dimenticammo nel soldato l'uomo. Vinceremo la fiera lotta industriale allo stesso moélo '1. (Continua) ALESSANDRO SUHIAVI. •Ciò che si stampa Le fonti della libertà. Il libro di Dino Bonardi, uscito con questo titolo tre mesi ·addietro (1), e preceduto da una suggestiva prefazione di Claudio Treves, può considerarsi uno dei maggiori successi librari di questi ultimi anni: non solo per la rapidità con cui si è esanrita la prima edi– zione, ma anche, e sopra tutto, per l'interesse che es~o ha suscitato, per· l'importanza che gli hanno rico– nosciula non soltanto critici. consenzienti e' benevoH, come il Labriola che ne. ha difeso la tesi fondamentale ih un brillante articolo sul Lavoro e il Salvatorelli che lo ha recensito sulla "Stampa, ma anche critici dissenzienti e in parte ostili, come il nostro collabora– tore Prometeo Filodemo che gli ha dedicato un arti– colo in Rivoluzione Liberale, e Guido Mazzali che gli ha dedicato un altro articoliò sull';ivanli! « Queste sue pagine inattuali sono attual:ssime », scri– ve Treves sulla fine della prefazione; e dice giustissimo. Il Bonardi ha voluto rivendicare i principi dell'89 e lo spirito che li anima ·e tutto il contenuto e il vàlore morale degli avvenimenti e delle istituzioni che sono scàturiti dalla Grande Rivoluz~one, in un momento in cui si diffondono in Europa e trionfano temporanea– meote in Italia, in Ungher;a, in Russia dottrine che deridono la libertà com.e un peso o un lusso inutile nella vita dei popoli, e d'sprezzano la cleniocrazia come un in tralcio alle ·ascen~ioni dei popoli verso i vertici della potenza e della gloria, a cui paò trarli solo l'opera di vigorose e audaci èliles, libere da ogni necessità di sollecitare e conseguire, per la propria azione, il con- senso delle masse. · In questo è la inattualità del libro del Bo nardi; e la stia attualità, è invece nel fatto che se, sotto il peso dell',esperienza transitoria, i principii che formarono il vanto 8 la gloria dello stupidissimo secolo ?(IX pa– iono flettersi c cedere, essi trovano viceversa un ine– spugnabile sacrario nella coscienza .del popol9 - del proletariato in specie -, che prepara l'ìnesqrabile, non diciamo vendetta, ma rh 1 endicazìone. Che per il proletariato la Hbertà e la democrazia siano oondizioni e mezzi sine qui'bas non, della sua emancipazione economica-sociale, l'esperienza di oggi conferma in modo eloquentissimo. L'esempio russo non dice nulla in contrario: anzitutto perch~ è ormai .chiaro che là si tratta di una rivoluzione prol'etaria nel senso che il, proletariato vi ha avuto una parte· preponderante (com.e nel periodo della dittatura Robè- ' spierre in Francia.), ma non nel senso che essa sia destinata a soddisfare le asptraziòni integrali del pro– letariato e a dare al Lavoro la direzione del!~ v.:ta sociale; pol anche per le condiz:-oni in cui si trovava la Russia, per cui una dittatura di gente nuova fu neces– saria per distruggere e paralit;zare gli effetti ·di una secolare ed incontrastata dittatura anteriore. Negli altri paesi ·dove il regime borghese è già in– staurato da tempo e la specifica lotta di classe per l'emancipaziome proletal'ja costituisce l'impulso e il nu– cleo fondamentale degli avvenimenti degli ultimi de– cennì, e la pratica degli ordinamenti democratici ave– va aperto la possibililà alla permeazione de!Lo Stato per opera anche della classe proletaria; in· questi paési il proletariato sente veramente che la libertà è per lui pane, e che nella pratica della libertà e della democra– zia è la speranza, la certezza della. sua ascensione. Se anche appaia vero che la reazione antiliberale e anti_g.emocratica non è opera solo di qualche ceto opa– co della plutocrazia, ma è espressione delta volontà e degli interessi di tutta la, borghesia detentrice dei mezzi di pr0duzione, il ragionamento non andrebbe tutt.avia in nulla modificato. Il fatto dimostrerebbe che· la borghesia, fautrice di libertà con.,tro la ditta- . tura de-lFancien regime, quando si trattò di creare le (11 Dino Bonardi, Le fonti della libertà; Edizione La Giusti- zia, Milano.· Pagg. 156; L, 4. .

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