Critica Sociale - XXV - n. 17 - 1-15 settembre 1915

CnITICA SOCIALE 265 L~-LETTURA, ~ROBLEMA SOCIALE Il popolo italiano legge pocÒ, perchè ha incomin– ciato_~ leggere da poco. Inoltrè, checchè ne dicano le statistiche, esso è forse ·per. due terzi_ praticamente analfabèta, n~l senso che per molti· ita1iani ·---:-ccin~ tadini e operai - il leggere costituisce uno sforzo ìneccànico ed_è ancora··un esercizio per "imparare .... a leggere. In queste condizioni, la lettura, fatta per acquisire nozioni, è praticamifnte impossibile. · La scuola, ch·e fascia gli alun_ni a questo stadio d'imperizia, diciam·o. così, strumentale, è un non senso, un:a ~pesa improduttiva, una frode. In ltalià ci si.amo gingillati per grà.n tempo con una scuola dì ·quèsta specie. E il giuoco no·n è ancora finito. Ne uscivano e ne escono cittadini che le statistiche possono computare come·.redenti' dall'analfabetismo, soltanto perchè hanno imparato poco più dell'alfa– beto alla lettera, e se ne .servono in poèhe ..solenni occasioni della vita. Per jl r.esto, che è tutta la vita, sarebbe ·stato assolutamente lo stesso che · non .si fosse speso un centesimo· a ·manténere qu:elle scuole', e gl'Italiani non avessero perduto il loro tempo a frequentarle. · · · : · Anzi, io non ho mai capito perchè lo Stato; a combattere puramente e semplicemente l':analfabe– tismo, per la sodisfazion~ di vederlo sparire dalle statistiche anagrafiche, non abJ::iiapensato a un mezzo più sicuro e meno costoso della scuola pubblica : bastava affidarsi all'insegnamento privat9 e. promet~ tere 50 lire di premio a chiunque avesse· preparato ùn fanciullo o un ad1,1lto 'analfabetà a .una prova meccanica di lettura e di scrittura. Si sarebbe ve– duto, in pochi anni e senza tanto apparato di leggi, di uffici,_ e di scienza pedagogica, risolto radical– mente il prqblema, col guale - pur troppo! - siamo sempre alle prese. A quest'ora non ci sa– rebbe nè. un boscaiolo, nè un pastore, nè un pe– scatore, nè un_ /Jlaremmano a_n11-lfabeta, a. pagarlo un occhio della testa: avremmo veduto fiorire, senza eccitamento. ·di .circolari ministeriali, senza· opere di patronato e i,enza· fragore di= réclame, s:cuole serali, festivè, ambulanti, dì morta stagiorie, al chiuso, al– l'aperto, al sole, alle intemperie; tutta, insomma, la _infinita var-ietà d~Ue scuole clte la moderna per dagogia ci gabella come sue peregrine scoperte: I pochi dispensatori priyati di alfabeto, che vive– vano del loro onorato mestiere 50 anni fa, sareb– bero diventati legione .e col semplice· viatico di un abbecedario avrebbero frugato ogni più. selvaggio recesso del paese, braccando l'analfabeta come il cane da caccta la, sèJvaggina. · , A nessuno V,enneiri mente Ùna soluzione così'sbri– gativa e infallibile, perchè la scuola pubblica e ob– bligatoria, secondo il concetto .che ne avevano i suoi fondatori, doveva servire ·a ben altro _c_hea divulgare la conoscenza di pochi segni grafici e. clj alcune loro _svariate combinazioni. Quanti mai' còm.:. P!ti: 1~ si as:'egnavan~! La_pover~tta doveva fò,rrri.are d ogm fancmllo un crttadmo e s1 metteva a suo ca– rico la vita civile e l'avvenire d'ella nazione. Il più. bello è ché tutto questo si diceva 'S:ul serio, e nes– suno scoppiava dal ridere .. Si dioèva e si ,cred~va ànche. Ma· .ormai le illusioni sono éadtite. Chi co– nosce ·1a scuola ru,ràle. sa ·che i .contadini, cioè. i due terzi della popolazione lavorattice italiana, · quand'anche hahnò frequent;ito la scuola obbliga.:. toria - e finora non lo..poterono tutti .... per man– canza di scuole .- ne ui,cirono avendo imparato a !eggere. eon tina _fa~icae u~ pena tal~, ~~ togliere Il respiro a sentirh .e a loro la vogha ih procac– ciarsi un libro per ricavarn·e ciò che tutti cèrchiall).o nelle.nostre pri~e letture spontanee.-=:--non ìri qiielle BibliotecaGino Bianco coatte della _scuola•:-:-: un 1 ura di sollievo e di svago. Scrivo da ùn paesello di Toscana a confine con l'Umbria, dove queste semplici ve.rità si tocçano con mano. Per le case di questi. contadini, pur così di– rozzati e intelligenti, non troveresti un librò a pa– garlo un tesoro, nè anche i Reali di Francia, il Gu~rrin. Meschino O· la storia di Bertoldo, per farsi un',oncia ·di, buon san·gue. Quindici o vel).ti anni or sono, qualcuno _comprava per le fiere quelle storie in ·sestà o in ottava rima, con le quali esordì un benemerito stampatore fioreq.tino --: il Salani - e che i -cantastorie diffondevano· per tutta Toscana, corri.movendo i cuori semplici dei villani con i casi pi,etes~ di Genoveffa e di Pia de' Tolomei o con le gesta del Passatore e di Misd,ea; ma _ormai an– che quella che il povero Dino .Mantovani chiamava « letteratura a un ·soldo » è quasi scomparsa del tutto, e così la parola stampata nori a,rriva più. nelle case dei contadini neanche pel tramite di quei fo– glietti volanti, gialli, rossi o verdi, in cui l'autentica • musa popolare s'innalzava. qualche volta alla tempe- .ratut~ dell'arte. . · · . Nelle campagne, aduJ;lque, non si legge nè punto, nè poco. A dirlo çosì semplice e asciutto· par nulla, come se la cosa non avesse importanza maggiore. di un'altra constatazione qualunque, per esempio, · questa: in campagna non si giuoca a tresette. In realtà, significa ben .altro: significa ch,e per una parte degli Italiani .la scuola non ha effetto alcuno; che a una parte degli Italiani manca il mezzo più idoneo a progredire e a vivere nel loro tempo. Una cosa da nulla! . · . · Non vi sono che. dùe modi per venire in possesso di ciò· -che gli altri sanno : comunicare con essi a viva voce o leggere ciò che gli altri scrivono. Ma ordinariamente _si trovano_ più cose e più. chiara– mente e ordinatamente esposte in due p·agine stam– pate che· in :una conversazione di ctuè or,e; anche perchè la conversazione non ha quasi mai lo scopo di insegnare, ma è generalmente un'effusione di af– fetti. Aggiungi che. la vita dei campi isola gli uo– mini e h rende taciturni, e poi sappimi dire che cosa possono i contadini comunicarsi fra loro, se non la. propria ignoranza. Si diceva. una volta e siripete ancora da alcuni che la gente dei campi ha sempr,e aperto e squa– dernato davanti a sè il gran libro della natura, sul quale è fama che s'impari più. che su tutti i libri del mondo. Si potrebbe rispondere che gli agrico-1~ tori l,eggono• su quel famoso libro da secoli i:nnu– merevoh, eppure costituiscono ancora pr,ess-0 tutti i popoli le più, folte riserve dell'ignoranza. Gli è che il libr.o della natura è assai difficile a decifrare, ,e bisogna aveu molto studiato sui poveri e disprez– zati. libri a stampa p_rima di capirci. qualche cosa. Non la caduta di un frutto dall'.albero rivelò a Newt-On le leggi della gravitazio'ne. universale, nè· a Galileo svelò le leggi· del pep.dolo l'oscillare della famosa . lampada nel Duomo di Pisa, nè Ardigò intravide il suo sistema filosofico nei colori di un boccio di rosa: al contrario, soltanto lo studio e la meditazione ave– vari? potu~o ope~are il miracolo, preparandoli a capire quei fatti d1 natura. . . Il libro della natura non parla affatto, come. ge~ neralmente si crede, un linguaggio semplice, chiaro, evidente: ·al contrario,_ la scienza e il pensiero del~ l'uomo non hanno fatto e. non fanno, altro, da che . esistono, che cercar di penetrarne il mistero formi- dabile. Al'tro che libro aperto,! . · All'ignorante questo fani9so libro o•non. dir.e nulla o dice il contrario del vero. Tutti i pregiudizi che oppri_mono la ".ita rur~le d_~rivano <;1ppun~o ·da er: rata 1nterpretaz10ne _dei fatti naturali, cosi come s1 offrono all'osservazione superficiale della g,ente in– dotta. La pioggia cade dal cielo perchè le nuvole

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