Critica Sociale - XXIV - n. 17 - 1-15 settembre 1914

CRITICASOCIALE 259 a loro capriccio•, per una nuova investitura di di– ritto divino, esurgente dalla ipotetica rappresentan- 1.,a,senza limiti nè controllo, delle razze umane, ogni loro atto, ogni loro ·determina1,ione viene, secondo 1'-opirui-0-ne in esame, .assumendo l'aspetto profondo quasi di un feno1;,nenocli natura impersonale, irre– sistibile, ineluttabile, / alale :• non solo gli atti dei re cliventano la volontà dei popoli, ma in eotesta pre– sunta vo.Jontà d~i popoli s1 reputano assorbite le aspirazi,oni partic,oI.ari delle classi esistenti nello Stato. Le antitesi di classe cedono alla unità etnica c\lello.Stato e la responsabilità dello Stato, cioè dei suoi capi e organi direttivi, vie ne so mm~rsa in quella imprecisabile e fluttuante dei p.iù vasti agglomera– rnooti umani, senza costitU?,i one p olitica. Ah! certamente cotal dottrina fa comodo a molti! Per trent'anni un paese sta sotto il peso di un'al– leanza. Intorno a questa alleanw. si scaldano, si il– luminano, si caricano di danari e di onori due ge– nerazioni di diplomatici, una pleiade di ministri, a\.cuni re. Il Paese· dubita, mormora, si duole, teme, si rassegna ,e paga; paga i re, i ministri, i diplo– matici; i gerne-rali. Un dì che la macchina pr-0-dig10sa dell'alleanza dovrebbe essere collaudata, 'la macchi– na non. funziona, minaccia, anzi, di scoppiare. Ch,eè? '- la / atalità, si so,spira come nel couplet famoso della Belle Heléne. Ma, contemporane,amente, la contro– alleianza determinata da quella alleanza, entra vigo– rosamente in funz.ione, e mette il Paese cl.i cui s.i l.l".attaal bivio, o marciare con l'alleanza sfasciata; o marci.are con la contralleanza, in flagranza di tra– dimento! Che è? la fatalità, ancora! Non è <J.Uesta la guerra de lle nazioni, anzi delle stirpi? Clu l'ha detcrmina.ta? I re, i Govemi? Ohibò! Le nazioni, le razze. E la n ostra non guerra, la nostra neutralità chi fa determina? O filosofi della irresponsabilità dei Governi e della responsabilità delle masse, ecco un. punto da superare. C'è una responsabilità d,i Go– verno nella neutralità, cioè ne,J non fare la guerra? E rnel farla, la re,sponsabilità di Governo non ci sa– rebbe più? Allora è il genio, è l'istinto, è la missione mister10sa delle razze che muove gli eventi: Governi, re, imperatori non sono che larve, pallidi esponenti, cirenei innocenti che portano la crnce del più im– mane de.Jit'to!Però cotesti « in.nocenti », mentre pro– muovono i diversivi fatalistici cldla filosofia cli Stato, non trascurano ad ,ogni evento di tentare la prova della propria innocenza ,e della colpa del vicino. I cLiversi l~bri diplomatici dai vari colori, i quali in questi giorni hanno compendiato, La disperata pole– mica delle responsabilità dei Governi, formano la sconfessione p,iù recisa per quanto implicita del que– rulo fatalismo delle dottrine nazionaJ.istiche sulla guerra. La lezione che 11;eemerge - l'unica forse già pi,ena .e sicura n,e,JJ' orrenda confusione di questi giorni tragici - è la necessità di una siempre mag– giore conquista .dei popoli su se stessi, di una ridu– zione sempre più grande dei poteri politici privile– giati. Se i popoli vogliono ordinarsi a.Ha pace, d~b~ bono ordinar&i nell.a democrazia; nella disponibilità sicura di sie· stessi. La democI'azia è pacifica, non perché gli uom:ini «democratici» siano angeli, ma perché i regimi di controllo, di responsabilità, dove ognuno risponde non solo al suo di,o ed alla sua co– scienza - ugualmente problematici - ma µer si– stema positivo risponde agli altri uomini, e dove gl,i interessi ar;itagonisti delle classi liberamente sfre– nati nella politica contesa avvezzano le menti a cer– ca~ sul proprio territorio il fine della più legittima conquista, ,e a intensificare perciò altresì in esso la produzione dei mezzi atti al soddisfacimento dei bisogni umani, riluttan-0 naturalmente dalla guerra. Nelle democrazie i ceti militari, pure ingrossati dalle • cupidigie del capita.J.isrno, rimangono in certa mi– s1:1rasempre soggetti alla borghesia oapitalistica e rotecaGino Bianco libera,l,e che li crea; nei regimi di autocraz.ia, invece, i ceti dinastici e militari, coi lo ro particola ri inte– ressi, tendono decisamente al predominio sugli stessi interessi capitalistici, spingendo alla guerra per gli impulsi tradizioi;iali della conquista feudale, in cui ,essi sanno far credere concentrate le aspirazioni sommie della razza stessa. Allo,rchè si consideri che J.o•Czar e la sua co,rte e pochi funzionari civili e militari parlano come rappresentanti deHo slavismo, cioè di cento miJ.ioni di slavi, di cui ottanta su cento sono analfabeti e affatto ignari della storia deUa Russia e di ogni tradizione come di ogni finalità della razza, ben •si intende quanto arbitraria sia la missione che a se stessa attribuisce l'autocrazia, e come nella stessa ragione di questo sconfinato ar– bitrio debbono essere tenute forme, precise, ind,ivi– dualizzate, le responsabiJ.ilà storiche, e come_debba augurarsi che sotto le macerie accumulate dalla guerra sia altresi seppe1lita l'autocrazià. E l'altera Germanii.a, vivaio inesauribile di ottimi commessi viaggiatori, infaticabili alla conquista, di nuovi sboc– chi e mercati .alla produzione tedesca, che tang,ibil– mente esprime i segni vittoTi•oS'Ì. di un'egemonia eeo– nomica ornai quasi mdisputata, difficilmente si inten– derebbe come la propria mis.~ione possa incarna·rc in cotesta furente sovversione di .ogni sistema pro– duttivo, in cotesto pazzo macello di uomini, di con– sumatori ,e di clienti che è la guerra, se si prescind·a dalle sue ,istituzioni feudali, dove il guerriero la vince non solo sull'operaio, ma sull'industriale e sul mer– cante, Ed ecco il pangermanesimo feudale, milita– rista, dinasllico, in flagrante antitesi al pangerma– nismo della coltura, della produz.ione, degli scambi, del ceto liberale e horghese. La c-ontraddizion.e è così manifesta, che per su– perarla molti si inducono a credere che la travol– gente unità nazionale nella guerra, figliata d'al ri– catto al sentimento della patria e cl.alla coatta neces– sità della concord'ia per salvare il prestigio e fors'e Ja. vita dello Sta.to, una v,olta cimentato nell'aggres– sò.one, clebba, dopo la guerra, rompersi in urna tras– formazione politica interna, nella quale la borghesi.a , capitalistica e libera Le prenda il posto che le spelta sopra la tirannica supremazia del militarismo e ciel foudalismo, rid'uoend:o quest'ultimo a servire ai suoi bisogni, .a soggia,cere alle sue volontà, come il bull– clo!J che si rimette alla catena. Ben inteso che molti temono non sia per avvenire tutto il contrario e cioè, se la vittoria sorrida al dio Marte, l'insolenza di questo nei rapporti interni dello Stato diventi anche più grande. Ma, sia un caso o l 'alt.ro , entrambi sta– rebbero a confermare che .anch e dal la parte della Germania, la guerra non già alla stirpe 1.eclesca (nel,Ja cui tradizione è pure l'imperativo morale di Kant. il cosmopolitismo di Goethe e il riso di Heine) vil ascritta, ma allo Stato tedesco, anzi ai gruppi pri– vilegiati che lo tiranneggiano e che nel loro assolu– tismo si atteggiano come interpreti purissimi della stirpe e depositari esclusivi dei suoi desti'i1i. E perchè il pondo è grave, è orribile a portarsi, ognuno invoca, compunto, il buon Dio e il buon popolo ad aiutarlo. E il coro addomesticato dei Cal– canti ammonisce di cercare altrove le mistiche de– terminazioni del flagelJ.o, nella successione delle ge– nerazioni peccatrici, di cui le colpe hanno irritato ldclio che ha scelto a suo strumento cJ.igiustizia, di ven<letta, i re ... Ah! Ia vec-chia storia! sempre quando si proclama il diritto del pugno allora rifiorisce dio e il diritto divino, l'assoluto e l'irresponsabile. Ecco, la filoso– fia dell'irresponsabilità esce dalle viscere della guer– ra per il terrore dtei potenti davanti alla loro opera, davanti alla Nemesi preveduta che porta, sul suo ori– fiamma di vendetta, I.a parola saera della democra– zia : Libertà e responsabilità. IL VICE.

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