Critica Sociale - Anno XXII - n. 9 - 1 maggio 1912

\ CRITICA SOCIALE 131 avevano pensato che l'antagonismo di classe. e la lotta delle classi fossero un mito superstite, un argomento di polemica e un ordigno di battaglia, non una realtà massiccia, persistente, granitica, dissimulata a mala pena, nel fitto della storia, dalle edere della civiltà, ha sciolto innanzi agli occhi il lusinghiero miraggio. Così, nelle schiere socialiste, la guerra impresse del suo segno il -socialismo sfiduciato, evaporato, disseccato, che s'illude di essere ancora socialismo ed è meno che democrazia e che, come questa, - quando il socialismo insorgeva - dissertava, distingueva, indulgeva, diplomaticheggiava. Non ebbe riguardi per nessuna cosa e per nes– suno. Fu ruvida, sincera, brutale, inesorabile. Fu insomma,.... la guerra. Ed ora, ch'è passata su di noi, noi constatiamo, mi_suriamo il _disastro. Tutto un arsen<'J,ledi cose false, tutto un bazar di truccature da teatro e da carnevale, maschere, parrucche, diademi, e berretti frigi, e fiocchi di .crayatte rosse , sti nte e sfilacciate, Èi J:\uttato .per. •ai·ia', travolto ° il.el fangÒ della ·via, come se un'onda di vandali o la furia del Ghibli del deserto fosse -passata. Quelli che rimasero ritti, che appaiono immutati, che si stringono l'uno presso l'altro sul campo devastato, sono fatti tristi e pensosi. Si contano: sono decimati, ed è· più scarso il bagaglio. Ma· son tutti, ed è tutto. Sono i socialisti. Sono il socialismo. Non basta? Quando mai i pionieri furono una folla? Come allora sarebbero pionieri? Come S!J,rebbero l'avvenire, sé il presente, se il passato· fosse con loro? · Torneranno, ahimè! ad essere niolti ! La nostal– gia ripescherà tra i fuorusciti. Chetata la bufera, gli ospiti ribusseranno. I disubbriacati pregheranno di scontare fra noi il triste domani dell'orgia. Ri-: piglieremo l'ascesa traendoci dietro il numero, la zavorra , l'ingombro. Daccapo, verso nuovi urti, nuo.ve delusioni, nuove separazioni. Fino al giorno di u n urto più vasto, più risolutivo, che un'altra volta spezzerà violentemente i manipoli, svellerà l'amico dall'amico, ci lascerà ancora soli pel cozzo ultimo, per la lotta e ·la vittoria definitiva. Definitiva, quanto 10· può essere cosa alcuna nella perenne vicenda delle cose vive .. LA CRITICA SOCIALE. Il NAZIONALISMO ALL'OPERA "La guerra di Libia' è davvero l'atto risolutivo della politica italiana, non solo perchè è guerra nazio– nale piuttosto che coloniale, in quanto ha conquistata all'Italia la unità del suo spirito, ma anche perchè co– stringe gli italiani a sveltire la loro politica finanziaria e i loro ordinamenti amministrativi, a dare dunque una nuova e più grande forza alla produzione • e a salvare la Patria dal " blocco democratico sociale, pro– tezionista cooperativista monopolista, il quale portò alla massima potenza il principio dell'intervento di Stato, accentrò in sè la più grande somma possibile di offici e di denari, moltiplicò le schiere degli impiegati, col– tivò con infi,nito amore te più tisiche pianticelle indu– st·riali che non rendevano it costo, dispensò lavori pub– bÌici alle Cooper11,tive socialiste; fece insomma quanto potè per sottrarre ricchezza produttiva alla nazione e per quietare con improduttivissìmi compensi i gruppi borghesi e proletari ,.;he credevano non equamente par– tita a tutti la manna governativa,,. Queste sacrosante paroìe di Goffredo Bellonci (un mio quasi omonimo, mutatis mutandis) scolpiscono, con l'eleganza e la fedeltà proprie al pensiero di quel suadente scrittore, la psicologia dell'attuale momento politieo, in cui ogni italiano, rigenerato a più pura vita, non ·pensa che a lavarsi dall'immonda scorie d'egoismo lasciatagli addosso· per 18 anni (nè uno più, nè uno meno) dal non sullodato blocco, e a dedicarsi intera– mente a vivere secondo la regola del poverello d'As– sisi, dispensando ai miseri ogni cosa, " contento d'una sola tonica rappezzata dentro e di fuori, del cingolo e delle mutande ,,, lavorando " non per la cupidigia di ricevere il prezzo della fatica, ma per dare buon' esempio e discacciar l'ozio ,,. Il merito - si capisce - è tutto del nazionalismo e della guerra libica, contro il quale e la quale non ri- . rnangono a protestare che pochi inaciditi manìaci di socialisti, le cui grida (ben lo nota Goffredo) " debbono essere interpretate come grida di dispetto e di dispe– razione; essendo prossimo il mutamento d'indiriz~o ed I ,I ;, .essendo per esser_elasciata una politica che dà a costòro l'agiatezza a prezzo della miseria della più gran parte del proletariato ,,. Noi già pregustiamo la gic,ia di quando quei grassi borghesi di Turati e c.1 la finiranno di sguazzar nell'oro succhiando il sangue ai lavoratori italiani e saranno per e~sere ricondotti a una politica meno ingorda del– l'attuale. Ma intanto non dobbiamo nasconderci che i'l nazionalismo trionfante, se non ha mozzato ancor òene le unghie adunche di alcuni socialisti, ha cambiato tu~ti gli altri meno rapaci affaristi da lupi in agnelli e li ha resi di null'altro devoti che della causa della patria. Il primo ad immolarsi è stato il Trust siderw·gico, il quale con nobile petizione diretta al Presidente del Consiglio e ad altri ministri, dopo avere inneggiato, ben s'intende, « al valore dell'esercito e al largo consenso e concorso di ogni ordine di cittadini ,,, ha squillato con furore garibaldino il " va fuori d'Italia! ,, all'in– dustrialismo straniero, spronando il Governo a provve– dere perchè anche le novelle figlie d'Italia, Tripolitania e Cirenaica, non siano orbate del regime protezioni– stico. O evangelico spirito di sacrificio! O santo amor di Pa– tria! Qualche vile contribuente, tirato su alla scuola materialistica del blocco à.emocratico-sociàle, aveva forse creduto. che, nelle nuove terre conquistate col sangue degl.i italiani, non sarebbe stato necessario esten– der.e il trattamento usato ai poveri baroni del ferro, dello zucchero e della navigazione, per metterli in grado di salvare la nazione dall'ingordigia straniera; ma costui non pensa al disonore che ne verrebbe alla patria se i tedeschi o gli inglesi, a cui fu in tempo tagliata ia strada dalle nostre armi gloriose e che vennero lasciati alla porta con un palmo di naso, entrassero nella Libia dalla finestra, rendendosi padroni dei commerci e delle industrie. Qualche altro obietta che il protezionismo si è dimo– strato incapace in Italia di assorbire la popolazione crescente, e quindi, anche in Libia, se contribuirà a mi– gliorare le sempre disperate sorti dei siderurgici, degli zuccherieri e dei- gommapirelli, non potrà certo influire a trasformare quelle terre in una Colonia di popola– mento. Ma non pensa l'ingenuo che la necessità di dare sfogo all'emigrazione, tirata in balio fin qui per spin– gere il paese alla conquista, fu una trovata di bello spirito che non merita seria considerazione. Già il M.– ni8tro degli Esteri scoprì, qualche mese fa, che gli ita– liani non vanno all'estero per bisogno, ma per diverti-

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