Critica Sociale - Anno XXI - n. 22 - 16 novembre 1911

350 CRITICA SOCIALE dominante allora la politica estera — fra gli Stati dell'Austria e la Prussia, Ma ricusò a questa i mezzi per assicurare la vittoria dell'unita economica, costi- tuzionale, giuridica. Così i rivolgimenti del '66 e del '70 finirono col trionfo e coll'inaspettato consolidamen- to del Governo prussiano. Il liberalismo borghese deve imputare alla propria incapacità politica, so- pratutto all'infelice suo atteggiamento nella politica estera in quel momento decisivo, la sua debolezza, i cui danni durano tuttora. Lo stesso fenomeno si ripete ora nella politica mondiale: in questa prosecuzione naturale, quindi irresistibile, delle formazioni e consolidazioni nazio- nali, che in Europa hanno compiuto il loro ciclo. Nella Sinistra liberale, lentamente, fra molte ostilità. si fa strada il concetto dell'importanza politica di questo nuovo periodo di sviluppo dell'economia mon- diale. Ma, all'Estrema Sinistra, cioè nel movimento operaio. occorrerà una lunga propaganda per vincere la vecchia psicologia della economia primordiale e del particolarismo dei piccoli Stati. Per molti otti- mi compagni, l'affermazione di Bebel a Jena, non potere, ad esempio, il partito, fra le molteplici con- catenazion i dell'economia moderna, disinteressarsi del Marocco, ha destato viva sorpresa. E non è senza sforzo che essi cominciano a ravvisare nell'innneria- lismo, anzichè un Dervertimento e un ricorso di bar- barie economica, l'ultima espressione politica del ca- pitalismo. Il passo più audace su questa via è fatto da Ger- hard Hildebrand (i); Del quale l'Africa ha un grande valore come provveditrice all'Europa di merci spe- ciali: viveri, metalli, materie prime. Nell'espansione coloniale dell'Europa,' alta Germania non toccò quanto le spettava, stante l'ostilità sistematica, in questi ul- timi anni, dell'Inghilterra e della Francia seguace. Durante la crisi marocchina, il Governo germanico errò nella forma, ma il Governo francese si macchiò di odiose ostilità e provocazioni contro i legittimi in- teressi germanici. La Francia dovrebbe pensare che non può la Germania lasciarsi escludere da Paesi di grande avvenire, e incatenare nei suoi vitali movi- menti economici. Non tirar troppo la corda è nell'in- teresse di tutti. Così comincia a nettamente affermarsi un distacco dall'atteggiamento tradizionale dell'ala intransigente del Partito, impersonata in Carlo Kautsky. /. e. La teoria della lotta di classe alla vigilia della Rivoluzione francese. Se la teoria della lotta di classe riceve il suo pieno rilievo e l'intera sua portata dalle opere del sociali- smo scientifico con Carlo Marx, il fatto era già stato intuito dagli economisti e dai filosofi che precedettero la Rivoluzione Francese, e il sentimento di classe era diventato cosciente nel proletariato francese, fin dalla fine del secolo XVIII. Bastano alcune citazioni, spigolate da 111,0 studio di Roger Picard nella Renne d'Economie politique di settembre-ottobre, per sincerarsene. Voltaire scorgeva già la divisione tra le due classi, ma la giudicava inevitabile e vi si adattava: a è im- possibile nel nostro disgraziato globo — dichiarava — che gli uomini viventi in società non siano divisi in due classi: una. dei ricchi che comandano, l'altra dei poveri che, servono ». Mably, invece, condanna recisa- mente la proprietà, nella quale vede l'origine delle di- visioni delle classi, e delle leggi ingiuste; mentre Linguet constata che gli operai non hanno guadagnato nulla dalla abolizione della schiavitù. perchè hanno in più, ad ogni istante, il tormentoso timore di morire di fame, che gli schiavi non avevano. Ma sono specialmente i due ministri di Luigi XVI, Turgot et Necker, che hanno intravista la divisione in classi economiche d'interessi opposti e il loro irre- ducibile antagonismo. Turgot. dopo aver distinto gli imprenditori dai sa- lariati coi caratteri che loro sono peculiari, sia nella produzione. sia nella ripartizione delle ricchezze, for- mula quasi la teoria del plus-valore quando scrive: « bisogna bene che l'uomo che lavora guadagni la Sookabstische Auslaridspolitik. — Cena, Diederlobs. propria sussistenza, perché è il solo motivo che l'in- duce a lavorare; bisogna bene che quegli che lo fa lavorare gli dia questa sussistenza e comperi in tal modo il lavoro del salariato, poichè senza questo la- voro egli non potrebbe avere zen reddito nè goderne». Necker è colpito dal fatto che « tutte le 'istituzioni civili sono fatte per i proprietari »; i ricchi sono «i grandi legislatori dei salarii », perchè il loro capitale, che permette loro di attendere, li mette anche in grado di fare la legge, mentre la concorrenza e il bi- sogno costringono l'operaio ad accettarla. Così « si stabilisce, tra queste classi, una specie di oscuro combattimento, ma terribile, nel quale non si può contare il numero degli sventurati, e il forte opprime il debole sotto la tutela delle leggi, e la proprietà schiaccia, col peso delle sue prerogative, l'uomo che vive col lavoro delle sue mani ». In questa lotta, nella quale « uno mette in gioco la propria vita e quella della sua famiglia, l'altro un semplice ritardo nell'aumento del suo lusso», l'operaio rimane sempre al disotto, poichè, se non vuole morir di fame, bisogna che accetti le condizioni del padrone. Questi « si contenta di calcolare quanto occorre alla sussistenza dell'uomo che impiega, e non vede dietro questo infelice la moglie e i figli che egli deve nutri- re: così la miseria aumenta, e si nutre della miseria stessa ». Vi è qui una intuizione della teoria della mi- seria crescente che è, come quella della proletarizza- zione, una conseguenza dell'idea di lotta di classe. E non è un problema di volontà, è un problema di forze, aggiunge Necker. « Non è in ragione delle loro ric- chezze, nè in ragione di alcun principio di equità, che i proprietari stabiliscono il prezzo delle loro der- rate e quello del lavoro di cui essi si valgono; è in ragione della loro forza, è in ragione della potenza invincibile che i possessori delle sussistenze, hanno sugli uomini senza proprietà n. E, dappertutto, i proletari si trovano nelle mede- sime condizioni; essi non godono dell'abbondanza che li circonda, e, peggio, le stesse misure prese in favore dei salariati, per poco che siano durevoli, si volgono a vantaggio dei padroni. Sono dei leoni e degli animali indifesi che vivono insieme; non si può aumentare la parte degli uni se non ingannando la vigilanza degli altri e non la- sciando loro il tempo di lanciarsi n. Con questo raffronto, Necker insiste ancora nell'o- pinione che le leggi sociali sono fatte o volte a pro- fitto dei possidenti. Il proletariato ebbe coscienza di se medesimo come classe in antagonismo con la classe padronale, e si nomò da se Medesimo « quarto Stato », e protestò contro la sua esclusione dalle elezioni dei rappresen- tanti; ma, nella Rivoluzione, le preoccupazioni d'eman- cipazione politica prevalsero sulla volontà di effet- tuare l'emancipazione economica, che venne riman- data alteri saeculo, al. Qual,è il valore sociale di un individuo? Si tentò calcolare quanto valga un uomo secondo l'età, intendendo per valore sociale di un individuo « quel tanto che esso restituirà alla collettività in spese di ogni natura provenienti dai suoi guadagni personali 1. Vediamo il calcolo fatto per un operaio. Si è supposto che l'operaio cominciasse a guada- • gnare (100 lire) a 13 anni, toccasse un massimo, co- slante da 30 a 51 anni, vedesse poi il suo salario de- crescere fino ai 65 anni, avendo a quest'età potuto metter da parte un peculio sufficiente per assicurarsi una rendita di 400 lire. Ora, supposto che tale operaio dai 30 ai 51 anni spenda 1800 lire (5 lire al giorno), trascurando l'in- terruzione per il servizio militare e calcolando, secon- do le regole attuariali, il numero dei sopravviventi, l'ammontare della spesa e un interesse 3 %, il suo valore sociale medio risulterebbe come segue: ETÀ VALORE ETÀ VALORE 3 19.000 30 35.500 10 26.100 40 26.600 15 30.600 50 17.500 20 33.700 60 7,300 25 35.000

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