Critica Sociale - Anno XXI - n. 20 - 16 ottobre 1911

CRITICA SOCIALE MI dopo venti secoli di barbarie latifondista dalla do- minazione romana all'epoca attuale; e la barbarie latifondista è rimasta immutata. Se non si menoma il soverchiante diritto di pro. prietà fondiaria, che mantiene la feudalità di fatto, ogni altro mezzo per risolvere il problema della terra sarà vano; e noi, a tanti insuccessi, aggiun- geremo le, rinunzia al possesso della Tripolitania, e persisterà il latifondo barbarico in Italia. .** L'acquisto di nuove terre, in Tripolitania od al- trove, da colonizzare vorrebbe riuscire favorevole al mantenimento del lati fondi smo feudale. La scarsa produzione dei latifondi, non assorbendo l'aumento della popolazione, lo caccia a cercare un pane fuori d'Italia sia nelle colonie americane, sia in una pro- pria colonia italiana. Ma, se un proprio possedi- mento coloniale manca e l'America respinge la emigrazione italiana, la popolazione accresciuta. sarà costretta a domandare riforme sociali per l'ac- crescimento dellà 'induzione agricola all'interno. Essa adunque attaccherà le forme feudali del pos- sesso fondiario e dovrà perciò menomare il diritto di proprietà privata. I feudatari e i ceti borghesi che li difendono, con i professionisti alla testa, e. prevenire questa rivoluzione, pensano mandare i contadini a lavorare nuove terre, che nei paesi ancora barbari esuberano e sono quasi di nessuno. Non è dunque in fondo patriottismo il grido di lor signori di viva Tripoli italiana! „ La emigrazione dei nostri contadini nei paesi stranieri, o in possedimenti italiani, allontana per un pezzo le forze più vive della classe lavoratrice, nella cui organizzazione è riposta la soluzione del problema del latifondo. Senonchè, nel caso della Tripolitania, la coloniz- zazione di essa sarebbe un affare lontano : non subito dopo la conquista si possono aprire strade, iniziare grandi opere idrauliche, trovare i capitali per le imprese agricole, sia di speculatori, sia di associazioni di lavoratori. L'Italia ancora è povera. Concediamo pure che, un giorno lontanissimo, possa Tripoli diventare un Eldorado (1); ma, nel non breve intervallo, le terre in Italia diventeranno vieppiù insufficienti al bisogno della cresciuta po• polazione. La necessità, di farle maggiormente frut- tare industrializzando la coltura dei latifondi, s'im- porrà; e ad una rivoluzione politica, per via del- l'organizzazione e del suffragio universale, e per il fine delle riforme agrarie suddette, si addiverrà inevitabilmente. fr C'è Infiltro pericolo nella conquista dalle terre tripoline: che pochi affaristi se le appropriino, co- stimando un nuovo latifondo per sfruttare il lavoro dei contadini che avranno bisogno di lavorarle. E allora, in una più grande Italia di latifondisti, la lotta delle associazioni di lavoratori si farà. pure più grande. Se, invece, il Governo italiano vorrà, con le terre tripoline, agevolare la costituzione di Cooperative di contadini, la riuscita di queste avrà, una ripercussione favorevole alle uguali Coopera. tive per la colonizzazione dei latifondi siciliani. Da qualunque lato si guardi il rapporto tra il problema agrario del Sud d'Italia e la conquista della Tripolitania, si vede che, sia nel caso nega- tivo, sia in quello positivo della conquista stessa, non muta la soluzione del problema del latifondo, che è tutto nel trasferimento di una parte almeno del diritto di proprietà del latifondista alle Asso ciazioni dei lavoratori. SEBASTIANO CAMMARERI SCURTI. IDEALISMO E RIFORMISMO") Il Marxismo segna una linea tra il puro idealismo ed il rigido determinismo. Il sindacalismo è al di là, il riformismo è al di qua di questa linea: il pri- mo divaga nell'idealismo, il secondo predilige il de- terminismo; il primo affida alla volontà il fiat della rivoluzione, il secondo affida ai fatti la volontà della riforma; il primo vede il socialismo nella conquista violenta, il secondo lo intuisce nel movimento ope- raio; il primo crede nel -processo d'antitesi; il se- condo nello sviluppo rettilineo; il primo è rivolu- zionario, il secondo è evoluzionista. Ma entrambi pongono, a base del loro pensiero e della loro azio- ne, il concetto di classe. Anche Marx imperniò la sua dottrina in questo con- cetto. Ma egli, invero — come può anche leggersi in Antonio Labriola — fu addirittura estraneo, se non proprio avverso, per differente educazione intellet- tuale, al movimento del pensiero evoluzionistico, che, intorno alla metà del secolo scorso, rapidamente si diffondeva. Egli restò sempre e intimamente hegelia- no. La storia, per lui, vive della dialettica delle clas- si. E, quand'egli parla della praxis umana, non si riferisce mai, come il Feuerbach, all'individuo astrat- to, ma agli individui concreti, appartenenti a deter- minate classi; si riferisce a queste classi. Ciò vale a differenziarlo dagli utopisti. Questi avevan fatto del sentimento (per ciò l'idea socialista è eterna, e può sempre rinascere); egli avea invece congelato quel sentimento in leggi storiche, delle quali aveva circoscritto lo sviluppo vittorioso nel mondo capita- listico ed affidato l'eseguimento alla prassi del pro- letariato. Se il proletariato, sviato o apatico, non potrà, o non saprà, o non vorrà realizzare il socia- lismo, non perciò l'idea sarà morta: in un momento storico propizio potrà, rinnovellata, rivivere feconda; ma sarà morto il marxismo, cioè il socialismo del proletariato. Ma fino a quando il proletariato — e il capitali- smo — non avran ceduto il posto a nuove 'classi so- ciali, fino a quando esisterà tra essi una divergenza, un'opposizione economica, psicologica, sociale, fino a quando potranno l'uno dall'altro distinguersi come classi, cioè come masse economiche antitetiche o solo diverse, fina a quando non avverrà di esse una fusione ed una confusione economica e sociale — e di ciò sinora nessuna minaccia nitidamente appare — esisterà sempre la possibilità teorica del socialismo proletario, anche se questo, come ideale, possa per un momento smarrirsi o pure spegnersi: nel petto del proletariato potrà sempre, per un caso qualsiasi, riaccendersi, e nuovamente rifulgere dinanzi ai suoi occhi. Ed ecco perché io, nella inconclusa polemica sulla a crisi del socialismo », non solo ho chiamato eterno il socialismo-idea, ma anche non ho mai con- siderato e spacciato o definitivamente » morto il so- cialismo, ideale storico del proletariato. »•*,» Il Marchioli viene ora a dirci ch'è forza, pel socia- lismo, abbandonare il concetto di classe, é che la prassi riformistica, la quale ha già cominciato a far- ne a meno, può e deve coraggiosamente superarlo, 111 Per conto nostro, non concediamo niente affatto. (Nota detta CRITICA). (I) Vegplal dello Eden0 OinlabOratOre, nel numero precedente (pa- gina 298): Ideanamo e mtgrxiamo.

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