Critica Sociale - Anno XXI - n. 15 - 1 agosto 1911

CRITICA SOCIALE 239 berg, nella Baviera, nell'Alta Savoia fino al lago di Ginevra) tocchi appena le 300 mila tonnellate (9/10 delle quali destinati alla Svizzera), cioè il 5 % del movimento totale del porto genovese; e come lo sviluppo enorme dei porti settentrionali e di quei fiumi nayigabili lotti vittoriosamente coi porti del- l'Atlantico e del Mediterraneo sugli scambi dell'Eu- ropa coll'America e col Levante. (Continua). LUIGI ZECCHI. MOTIVI ANTIIDEALISTICI Ettore Marchiali, dunque, da queste stesse colon- ne — onde prima squillò forte in Italia la cam- pana del materialismo economico — ci richiama a tuffarci nelle visioni idealistiche o neo-idealistiche, lunge dal brutale concetto della lotta di classe, senza di che ne, a suo credere, la « giustizia sociale» sa- prebbe fiorire, nè al socialismo — coartato entro « misere formule e rigidi schemi » — si schiudereb- be davanti un vittorioso avvenire (1). Consideriamo la proposta « filosoficamente » — prescindendo, cioè, pel momento, da immediate preoccupazioni tattiche e pratiche di partito — e valutiamola sotto cotesto solo profilo. Pel Marchioli, il volgare• realismo acritico dei socialisti, che ignora la Ragion pura, ha il torto sopratutto di negare l'attività spontanea dello spi- rito; di credere che le cose, che il mondo esterno, abbiano qualità oggettive, indipendenti dalla nostra isichicità. Invece— soggiunge —« come l'oggetto è sempre in relazione col soggetto, così di realtà ester- na non può parlarsi, se non in relazione alla nostra attività psichica, che è receltiva e legislatrice ad un tempo». Questo concetto è fondamentale pel Mar- chioli; perciò tenemmo a riprodurlo con le sue stesse parole. Ma son queste che ci intrigano alquanto. Infatti, ci domandiamo: — di che mai sarà « recettiva » questa nostra psichicità, se le cose, fuori di lei, non hanno qualità obiettive ? La « recettiVità » non sup- pone forse — vorrei dire, per definizione — un quid, per se stante, che ci impressioni ? Una spie- gazione, in proposito, non sarebbe soverebia. La verità é clic, non le .cose hanno qualità ogget- tive, in dipendenza della nostra psichicità; questa, heitsi, esiste C unicamente pel fallo, che quelle esistono indipendentemente da noi. Già. l'esistenza d'un oggetto implica l'oggettività dei sin,i modi di essere. Un ente, senza attributi che lo caratterizzino, è un controsenso manifesto; sfuma nel nulla. Se le cose, fuori di noi, sono tutte irreali, [Here illusioni subiettive — con che, navigheremmo in pieno solipsismo — la « recettività » del Marchioli non ha più su che esercitarsi. Per questo lato al- meno, la nostra attività psichica rimane disoccupata. Si compenserà con l'altra sua funzichie; sarà tanto più « legislatrice »... — « Legislatrice », però, di che cosa ? — Delle impressioni che riceve ? Ma se la « ricettività » ha date le sue dimissioni? Anche l'impressione, per esistere, suppone, di necessità, un oggetto e un soggetto. — « Legislatrice » di se stes- sa? Qui entriamo nell'acrobatismo intellettuale. Se la psiche è « legislatrice », dovrà avere un proprio contenuto al quale dar legge. Che valore, che verità, avrà questo contenuto, se non le viene dall'esterno? Se è un suo prodotto fantastico, arbitrario, qual inai legge potrà esso subire? e con qual profitto? (1) Oltre la rotto ad classe, e PrOpedeittic« all'idealismo, rispettiva- mente In Ci-diteci Sooiale, 1911, numeri 11 e Fantasmi, allora, le sofferenze dell'umanità, le ini- quità e gli eroismi, il bene ed il male, l'universo in- tero. Ahimè, per questa via desolata troveremo la « giustizia sociale », restituiremo al socialismo vita e vigore? Kant — troppo accorto — non giunse esplicita- mente, è ben vero, a queste conclusioni. Ma stanno nelle sue premesse. Per Kant, la percezione è uno degli elementi dell'esperienza: gli altri elementi — l'universalità e la necessità — egli li ripone nella spontaneità del pensiero. Lo spirito, esso solo, non muta. L'identità dello spirito è il necessario e l'uni- versale, e sola rende possibile la percezione e l'espe- rienza. La verità, meglio che nel fatto, è nel sog- getto che lo pensa. Ma l'oggetto, passando per gli schemi universali del soggetto, che sono immutabili, aprioristici, an- -teriori alla sensazione, non può che uscirne falsato; l'esperienza, la conoscenza, lo stesso preteso a po- steriori, non sono che un'illusione. E infatti, per Kant, la realtà vera, il noinneno, la cosa in se, spo- glia delle varie parvenze, è inafferrabile .e dal senso e dall'intelletto. Che rimane del tanto esaltato speri- mentalismo? Anche poi Marchioli, la forma mentale, che pree- siate, l'attività sintetica dell'Io, che si mescola alla materia della sensazione, fanno sì che « il fatto, non è mai un fatto grezzo, ma un fatto pensato, un con- cetto ». Benissimo: tutto questo ha un senso, però, se l'oggetto ha qualità sue proprie, che impressio- nano la psiche, e che questa rispecchia; se, insom- ma, le rappresentazioni non sono la creazione arbi- traria del soggetto pensante. L'errore di Kant fu di scambiare per categorie a priori dello spirito, quelle che non sono, esse pure, se non dati e pro- dotti della esperienza. Questa illusione — lo dimo- stra mirabilmente l'Ardigò nell'opera Il Vero — nasce unicamente da questo: che, mentre l'uomo ha facilmente coscienza del momento in cui esso ap- prende un fatto particolare, l'universale, invece, formandosi, dentro il suo pensiero, prima e all'in- fuori della possibilità d'ogni riflessione filosofica, si presenta alla sua coscienza come qualcosa di già fatto, come « preistorico alla psiche ». Ma appunto perchè questa non è che spiegabilissima illusione, non perciò la mentalità e l'intelletto cessano di es- sere una formazione a posteriori, avvenuta secondo le comuni leggi dell'associazione. 1,a dottrina ardighiana redime lo sperimenti lisnim riabilita la conoscenza, che il Ka Minino e il neo- idealismo, sacrificano, invece, pur coronarnloli di fiori. Ed é un curioso fenomeno, questa odierna re- viviscenza, ad opera di filosofi più esimi e le• pensa- tori, non giù della parte più salda quella clic bat- teva in breccia il dogmatismo meialisico bensi del- la più inconcludente, contraddittoria e caduca, di quella pur sempre gloriosa filosofia alemanna. Il Marchioli. i dir vero, non accetta in blocco le teorie dei neo-idealisti; ma consente e plaude « do- ve esaltano — i.ssii scrive — il volontarismo, di fronte al deleriiii n ismo e al meccanicismo». Ora, le apparenti viltoeie del volontarismo non sono che l'effetto di vedule unilaterali. Solo isolando la psiche dal mondo che la circonda e la produce, spezzando- ne i rapporti eim l'esterno, si può non vederne il rapporto di effetto a hmusa, e quindi si può porne in dubbio il determinismo. « Porre ed agitare un ideale; scegliere — scrive il Marchioli — i mezzi che possono aiutarci a rag- giungerlo; ecco, in definitiva, in che consiste la no- stra libertà, e in che cosa ci distinguiamo dalla in- feriore animalità ». Ahimè! povera libertà, se davvero, in definitiva, essa non avesse altra prova, altro fondamento che questo!

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