Critica Sociale - Anno XIX - n. 10 - 16 maggio 1909

146 CRITlCA SOCIALE aume11La110a dismisura: si de\'8 por mano a la– vori pubblici indispensabili i le spese militari cam– minano ve1·so i 350 milioni. Lo spettro del disavanzo riappare nel 1885. E,t anche prima, se si tien conto degli esperlie11ti, ccin cui, per qualche anno, si mascherò il servizio delle pensioni. Nel 1888 lo spareggio raggiunge già i 253 milioni; e souo le spese di guerra. e marina che danno il tracollo, aumentando a 560 milioni ed ing-hiottendo 1 esse solei quasi il 38 per cento delle risorse di bilaneio. Come rimediare al vor– tice minaccioso? Invano lo stesso l\fagliaui, il grande illusionista, pensa a qualche ag-gravio fiscale. Si ricorre alle economie all'osso e al sistema della le– sina. In un soto anuo 1 nel 1889, Giolitti taglia cento milioni di spese; e Luzzatti, con nuove eco– nomie nel 1891, è lì per acciuffare il pareggio. Ma li\ <lepressione economica del paese, gravissima, inal'iclisce le entrate; l'Africa infausta divora mi– lioni su milioni; la lesina non badta più, e si chieggono nuovi sacrifici. Sonuino, nel 1894, ha il coraggio di ridurre le spese militari, sospendere i h\vori pubblici, tassare ma~giormen'te le forme tutte della ricchezza; uel 1895 riordina i debiti redimibili e gli Istituti d'emii:iS;ione. Nonostante i disastri africani, il pareggio è riconquistato nel 1897. E' il quarto periodo, l'ultimo, della finanza ita– liana. Gli anni delle vacche grasse. Nel 1902 si tocca il vertice dell'avanzo in 99 milioni. E coin– cide, questo solido periodo finanziario, col risveglio dell'economia nazionale e con l'ascesa delle nostre industrie. Ma v'è qualcos'altro, che caratterizza gli albori del secolo: la conquista del diritto di organizzazione e delle libertà elementari, per mezzo <lelle quali si agisce sul margine riel profitto capi• talista, e si strappano i maggiori salari. Tutti questi fatti sono intimamente legati fra !oro. E' inutile voler rifabbricare il passato. Fu molto l'assicura1·si l'oi:isigeno indispensabile per la vita civile; fu molto l'ele\'are il tenore di vita <lei la– voratori mediante la resistenza. Ma è pur sempre peccato che il riformismo non abbia potuto ap– profittare delle cospicue <lh;ponibilità di parecchi bila11ci per fm·e te 1·i(0J'1ne tanto invocate! Invece gli avauzi andarono dispersi per la miope politica del giorno per giorno, cni s'ispirò il Go• verno italiano. Aumentate senza risultato le spese straordinarie di guerra e marina, prototti gli zuc– cheri indigeni, frustrato in gran parte, perchè non coordinato ad altri necessari provvedimenti, lo sgravio dei dazi interni sui farinacei. L'unica pa– g-ina beila è Ja conversione della renrtita, osata soltanto quando era più che rnatura. Del riscatto delle fenovie, assunte dallo Stato, non si seppe misurare l'incidenza ed il fabbisogno finauziario. ]t l'avanzo sì è assottigliato, e sta per sparire; e sarebbe sparito, se non vi fosse, fosca provvidenza, il dazio sul grano, ossia sulla fame." Il grano ag• giusta tutto 111 mi diceva pur ieri uno dei mag– giori finanzieri italiani. Qunnta tristezza! Il caro del pane e la scarsità del pro<lcitto nazionale sono, oggimai, l'ultima speranza. degli statisti, che ve– dono delinearsi davanti una serie nuova 1i'anni magri, erl una fase nuova di r/efìcit nella storia dei nostri bilanci. L'ora che volge è di importanza decisiva. JI.Ienlre l'economia tlel paese ha interrotto il suo sviluppo nscensivo - e(l invano, con dannose illusioni, G-o· veruo e Banca alleati velano la persistente dtitente delle industrie nostrane, e impediscouo quelle co– ragg-iose amputazioni di membra fra<l.icie che in– altre uazioni hanno re~o possibile una sana 1·i– J}l"e,,a - mentre, dicevo, il credito delle nostre indust.rie non è alto ed og11i investimento se ne detorce pauroso; - il credito dello Stato, invece, non fu mai forse così alto come ora. È il com– peuso delle annate oscure di sacrificio, quando ci stringevamo i calzoni alla cintola. La recente einissione del titolo ferroviario ha dato subito un premio, sebbene il ciclo della couversioue della rendita non sia ancora finito. Converrà profittAre del momento propizio? Cliie– dere i mezzi tli una politica finanziaria pii, con1g• giosa? Riaprire, a questo scopo, il gran libro? Dice qualcuno: non mette conto di aver molto credito, se non se ne trae partito per fare dei debiti. * .. Ma c'è un m.a; una ferita invisibile, che goccia. sangue nelle pieghe del nostro bilancio. Ogni anno l'Italia deve fare duecento milioni, circa, di de– bito per le ferrovie. }~ questa stilla perenne rende più difficile, o men agevole almeno, una eventuale eir1issione per .affrontarn grossi problemi, quali sa– rebbero la rinascita del Mezzogiorno o l'istituzione effettiva della " scuola . Finchè non ~i ficche1\ ben dentro lo sguardo nel groviglio ferroviario, e non si metterà riparo ad ogni sorpresa futura, il piede moverà sempre men saldo sul terreno delle riforme. Ecco come il problema delle ferrovie s'innesta, con nuova luce, sui problemi foudament,ali delln. nostra azione ri• formista. Abbiamo difeso l'assetto statuale contro le insirlie superstiti dell'alfarismo; abbiamo conso• lidata l'azienda contro ogni attacco possibile al sno prinCiJJiO. Ma non possiamo del p1·incipio fare un feticcio; e popolare di spettri succhionici la nostra fantasia, creando uu ali/Ji alla nostra im– µoteuza. Accuse sì levano, troppo alte e tenaci, contro i difetti di organizzazione dell'esercizio d1 Stato. Duplicazioni, sprechi, pesantezza burocratica enorme. L'autonomia non risolve, così come è fog– giata, il problema-tipo dello Sta.to moderno, ossia " trovare la forma adatta ai servizì industriali n· Alla Commissione <li vigilanza, che dovrebbe es• se.re l'occhio aperto rlel Parlamento, fu imposta dal G overno la consegua di russare; se protestò e si dimise, scarsa eco si ripercosse alla Camera. I ministeriali, figuratevi 1 Per molti nostri c'è ancora il feticcio. Ma non si deve affatto vulnerare la Ji. bertà ,lell' azienda; anzi assicurarla, guarentirla, conferirle magari una responsabilità finanziaria. Quest'ultimo è il punto delicato. Oggi le ferrovie spendono, senza preoccuparsi sempre delle conse– guenze.... pei conquibus. S'è detto, con esagera– zione, che c'è un Vaticano ferroviario. Ed, in altro senso, è a<l alcuno apparso che, avulse dalla vita finanziaria del paese, le ferrovie effettuano il sogno sindacalista delle ferrovie ai ferrovieri, senza che ue avvantaggiuo i ferrovieri. In una stazioue del• l'Alta Italia, mi si assicura, sa.ranno imµiegati per lavori 150 milioni i spesa utilissima e rinnrnera– tiva in un lungo lasso di tempo j ma ci µos8iamo permettere questi lussi, quan<l.o ai bisogni imme– diati potrebbe bastare meno e con una somma si– mile si avrebbe mo1lo di bonificare tutto l'Agro ro 1na110?Le spese cii uno Stato debbono essere pro– porzionate fra loro; non posso avere una giacca <li lusso ed i calzoni rotti. In omma: occorre trattare a fondo questo pro• blema ferroviario, per rinvigorire l'esercizio di Stato e determinare un chiaro programma di spese, che non insidii, minaccia perenne, la meditata au– dacia di un rinnovamento delle nostre finanze. Debiti nuovi? E perchè no, se valgano a far bonifiche e boschi e ad attuare quel riordinamento del regime idrico che è invocato da tutti? Le con– dizioni <li una. larga emissione possono essere, ò probabile che siano, men favore\·oli domani. Ogni esercizio che passa, nelPatonia odierna, indebo -

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