Critica Sociale - Anno XVII - n. 9 - 1 maggio 1907

CRITICA SOCI.A.LE 143 Come di tante altre cose, se essa non esistesse, occòrre– rebbe crearla; la sua sparizione involgerebbe un grave turbamento nell'equilibrio europeo. Pur astraendo dal– l'Ungheria che è desiosa d'indipeudeoze., l'assorbimento delle provincie austriache da parte della Germania provo– cherebbe le ostilità di quasi tutta Europa; nè le cose pas– serebbero tanto liscia rispetto agli czecbi 1 ruteni, polac– chi, sloveni, ecc., oggi soggetti a Francesco Giuseppe. Ancora maggiori difficoltà.e più paurose incognite pre– senterebbe l'incorporamento dell'Olanda, incorporamento che non potrebbe venire effettuato se non con la conquista militare violenta e l'oppressione sistematica. Gli olan– desi, oltrecbè amautissimi della libertà e dissimili dai loro cugini tedeschi, nella lotta per l'indipendenza avreb• bero l'appoggio completo della Gran Bretagna.i nazione cotesta ben decisa a tenere a freno i figli d'Arminio nelle loro velleità espansionistiche e conquistatrici qua• lora queste si affermassero. Sopra queste considerazioni sta poi un fatto di capi– tale importanza ed è la crescente eolide.rietà. che. non ostante tutto, si è venuta istituendo tra le nazioni civili. I progressi dell'industrialismo, l'intensificarsi degli scambi internazionali, sono l'ordito su cui cammina a gran passi l'idea della pace. La pace diventa sempre più una ne– cessitài ogni Governo - che non sia composto di uo– mini folli - retrocede spaventato di rronte al buio f ? :~ls:~ii~ladf~!~~~- t!d!:c~t s~:O s~~id:!~cii~a~~o:t ~!~ l t nicomlo. .,,....- Di guisa che si pllÒ ricapitolare dicendo che: il pan• germanismo esiste come sentimento patriottico di alcune cla.ssi di cittadini, non come politica pratica. La effettua– zione del programma pangermanistico desterebbe troppe rivalità e gelosie, comprometterebb0 in modo troppo evi– dente la pace, turberebbe troppo profondamente l'equi– librio europeo, perchè le sfere influenti in Germania possano pensare seriamente alla sua attuazione. Se non intervengono fatti nuovi straordinari, non è arrischiato il pronosticare che anche per l'avvenire i leaders poli• tici tedeschi non avranno mai nulla a che fare col pan– germanismo. * .. e. m. MAURICE PELLISSON: Les BibliotMques populaires à t'E· tranger et en Fra11ce; Paris, Impr. Nationale, 1906. In questo libro l'Italia comparisce al penultimo posto, dopo il Portogallo e la Spagna e prima della sola R11ssia: ma, se ciò non è per noi consolante 1 è per lo meno istruttivo. In Italia, quando fu votata dal Parla– mento, il 13 luglio 1877, la legge sull'istruzione obbliga– toria, ci illudemmo che essa dovesse bastare a t11ttoe che in conseguenza non fosse più necessario occuparsi di altro. Eravamo e siamo ancora lontanissimi dal pen• sa.re , come - ad esempio - negli Stati Uniti, che l'ob• bligo per i Comuni di avere una scuola include, inevi– tabilmente, l'obbligo di avere una Biblioteca, poichè si è riconosciuto che questa supera di gran lunga tutte le altre opere post-scolastiche in efficacia ed11cativa e so- ciale. · Se il Pellisson lamenta a ragione che, dieci anni or sono, quando nel suo paese s'iniziò la campagna in fa– vore delle Bibliote~he popolari, queste venivano ancora considerate come un accessorio e posposte ad altre isti– tuzioni complementari della scuola; che cosa dovremmo dir noi, che vediamo sorridere, come a una nuova pre• tesa dell'andazzo democratico, all'idea di generalizzare questa istituzione nel paese nostro, e un bel giorno ve– niamo a sapere che lo Stato si interessa ad essa e ne pro· muove la diffusione in tutta Italia con la bellezza di 3500 lire, inscritte aonut\lmente nel suo bilancio? Che cosa dovremmo dir noi che, nella nostra ostinata predi– lezione alle apparenze, rizziamo un Museo io ogni borgo dove un orciuolo rotto venga alla luce, e sia.mo in ri– tardo di parecchi anni col primo tentativo serio di Bi– blioteche per il popofo ? Fra tutti i Ministri che si succedettero al governo degli studi in Italia, ve ne fu uno solo che ponesse mente alla Biblioteca Popolare, come al mezzo più completo, più sicuro e più economico per diffondere la cultura io mezzo al popolo? F: i nostri pedagogisti, i nostri maestri, la nostra stampa scolastica si resero mai conto che, senza la Biblioteca, ogni istituzione destinata. a. prolun- gare e perfezionare negli adulti gli effetti utili della scuola - Ricreatori, Università popolari, Circoli educa– tivi, Società di cultura, corsi di courerenie - non può produrre che poveri od effimeri risllltati? Afferma il Pellisson che, se la cultura deve essere per un individuo cosciente obietto ili tutta la vite, viene il giorno iu cui egli sente non esservi altra. cultura cffl– cace per lul se non que!la che egli sa.darsi da se stesso. Cessa quindi di andare ad ascoltar lezioni e, mentre si vergognerebbe di apparire nell'atteggiamento di scolaro in ritardo, intuisce, nl contrario 1 il grande interesso che egli ha di rimanere in certo modo uno studente per tutta la vita. Studiare ò fare atto di uomo libero: cbi studia non si trova più nella situazione quasi passiva dell'uditore, perchò si reagisce più facilmente e più for– temente su ciò che si legge che non su ciò che si ascolta. La vera scuola dell'uomo del popolo è la Biblioteca. Questa è l'opinione di coloro che vedono le cose diret• tamente e da vicino. A provarlo, il Pellisson cita alcuni giudizi formulati da ispettori scolastici francèsi in ri– sposta.alla inchiesta indetta nell'anno scolastico 1903-1904, sulle opere post-scolastiohe; giudizi che io mi dispenso <lai riportare qui, perchè tutti concordano in questo con~ retto fondamentale, che la Biblioteca popolare è l'ii.itru• mento per eccellenza di ciò che gli americani chiamano self-educaUM, vale a dire la. cultura in ciò che essa ha di veramente vivo e decisivo nella vita di un uomo. .b; non solo il Pellisson, nella conclusione del suo libro, che dovrebbe specialmente esser letto da chiunque abbia qualche iogerenza nelle cose dell'istruzione io Italia, non solo rivendica eloquentemente il primato della Biblio– teca su tutte le altre istituzioni di cultura popolare, ma riesce a distruggere l'obiezione più seria che si muove ancora da molti a questo nuovo mezzo diffusivo della cultura: la deficienza, cioè, per non dire la mancanza quasi assoluta di buoni libri accessibili all'intelligenza del popolo. Quest'obiezione è mossa alla Biblioteca popolare da coloro che la concepiscono come un'accolta di libri, coi quali i lettori abbiano a trovarsi, per così dire, come insieme ad amici della loro stessa levatura. Secondo co• storo, le opere elevate di letteratura o di scienza do– v1·ebbero essere escluse e la Biblioteca resultar composta di libri molto i11nocui 1 ma anche molto mediocri. Questo concetto errato che si ha comunemente del libro per il popolo produsse quel deploratissimo diluvio di letteratura così detta popolare, a cui si diedero scrit– tori mestieranti, come a un lavoro di qualità inferiore, di cui il popolo non mostrò curarsi gran che. 1'ale suo di3deguo per i libri scritti specialmente per lui si spiega - dice il Macè - con questo: "che il popolo non vuol esser messo a regime speciale e legge di preferenza. i libri scritti per tutti n· Chi dice che il popolo non ha bisogno di sapere e di conoscere molte cose, che gli bastano le poche nozioni indispensabili a' suoi bisogni immediati e pochi libri che lo distolgano dall'osteria, procurandogli qualche onesta distrazione, è ancora impigliato nei vecchi concetti di fllautropismo) e non sa elevarsi alla visione di una urna• nità e di una classe lavoratrice assai diverse da quelle presenti. Che l'educazione del popolo si preoccupi dei fini pra• tici ed immediati, che essa ci dia uomini ben tempratl per i cimenti della vita presente, è certamente utile e necessario i ma che l'opera educativa d'oggi non debba apparecchiarci anche la materia umana per l'avvenire, ciò non ò ammissibile se non da chi si Hg11rila società eternamente immobile nei suoi ordini presenti, fissa negli stampi infrangibili delle sue categorie economicho e intellettuali. Ma, ove si acceda al principio della diffu• sione della cultllra, è inutile e stolto segnar limiti a.I suo espandersi indefinito, fig11rarsi un grado d'istruzione utile ad una classe sociale e nociva ad un 1 altra 1 una cultura elevata per signori, una media. cultura per im– piegati e una cultura più umile per gli operai manuali. Certo, l'operaio, che, a forza di studio, sia riuscito ad allargare il suo orizzonte intellettuale e il dominio delle sue cognizioni oltre i limiti augusti dell'ambiente in cui vive, sentirà acuirsi nella sua. anima il contrasto terri– bile fra le aspirazioni e la realtà. del suo stato, e cer• cherà mutarlo in meglio con tutte le sue forze, eia lot– tando nel ristretto àmbìto dei suoi interessi personali, sia nell'àmbito più vasto dt1gl'interessi della sua classe. Ed è precisamente in ciò che la diffusione libera ed illi~

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