Critica Sociale - Anno VII - n. 24 - 16 dicembre 1897

372 CRITICA SOCIALE rali: vasti territorii incolti nelle colonie, immense energie di lavoro nei muscoli e nel cervello delle popolazioni europee, restano come paralizzll.ti ; ed i popoli e le so– cietà si levano, con nuove forme di ostilità, gli uni contro g!i altri. E come sempre, e come dovunque, al fondo di questo <~rrore, di questo crimine sta la radiee maligna, l'interesse di una classe, che si è sovrapposto ed imposto all'interesse sociale. O. M. Il nostro ottimo :imieo personale, Ernesto Teodu1-.:iMoneta, ci annuneia pel genn::iio prossimo una sua Rassegna quindici• nale intitolata: La vt'ta i11ter11azirmale (Milano, Portici setten– trionali 21), dedicata alla propaganda, cui egli s'è tutto consa– crato, della pace univel'sale fra i popoli. Ne diremo dippiù, appena uscilo il primo rascicolo, quando avremo meno avaro lo spazio. LA TRIPLICE ALLEANZA Le cause economiche. C 1 l Le origini, dunque, della triplice alleanza si ri– chiamano, per il nostro paese, ad un interesse par– ticolare delle istituzioni politiche che ci reggono. In un articolo recente delle Hamburger Nachr1chten. attribuito unanimemente al Bismark, è detto infatti: « siamo partiti dal concetto che l'adesione dell'I– talia alla Triplice dovesse principalmente riuscfre a impedire i tentativi dei francesi per far rien– trare l'Italia nell'antica loro dipendenza. e per ri– vederla repubblicana ». Lasciando da lato « l'an– tica dipendenza», il gioco di Uismark fu diretto a most1·a1'ealla nost1'a dinastia che essa correva un gran ,·ischio, abbandonando le redini sul collo dei propri ministri in materia di politica estera, e avvicinando sempre più l'Italia alla Francia. Un'I– talia costituita a reggimento democratico era, se– condo Bismark, la naturale e indefettibile alleata della Francia, cioè il massimo ostacolo alla politica di espansione consen,atrice, monarchica e reazio– naria, della quale egli si era fatto l'apostolo in Europa. Rompere questa alleanza e ritardare la naturale evoluzione politica delle istituzioni italiane, fu il colpo da maestro, al quale egli iutese sepa– rando la dinastia italiana dal paese e facendo inau– gurare anche fra noi il sistema delle due politiche: quella dei ministri responsabili e quella dei mini– stri irresponsabili. Ora, in origine, la triplice alleanza, tranne pochi uomini politici, lasciò indifferente il paese. La po– litica estera non è ~tata mai in Italia popola,re, nel senso che il popolo se ne interessasse. Questo in– teressamento può spiega1·si iu Germania e in In– ghilterra per lo sviluppo economico di quei due paesi, che fa della loro politica estera uno stru– mento della lotta industriale; può spiegarsi in Francia per la educazione storica di quel paese e per i suoi interessi immediati; non in Italia, dove Io sviluppo economico torpido e lento non crea la coscienza della coincidenza fra politica estera e interesse commel'ciale. Da noi il solo criterio fa– cilmente appr·ezzabile è offerto dalle conseguenze fiscali e, sotto questo aspetto, vedemmo come la triplice alleanza abbia rappresentato una enorme passività per il nostro anemico proletariato. Gli uomini politici professionali poterono chiedere a gran voce nel Parlamento che si aumentassero le (1) Veggasi: La t,rtplice alleanza: chi l'ha voluta 1- e: La trt• pllce alleanza: quanto costa e chf thapagatal- rispellivamenle I nei fascicoli ultimo e penultimo della Cruica Sociale. 1 6 U Ul~ IU <l u nostre forze militari terrestri e navali, perchè essi presentivano vagamente che la classe borghese si sarebbe sottratta per buona parte al loro peso. Del resto solleticava l'amor proprio degli italiani il sen– tirsi tenuti in gran conto dagli Imperi centrali,come vantavano, falsando la verità, i ministri in parla– mento, e non può negarsi che verso il 1890 la tri– plice alleanza godesse di una certa popolarità co– reografica e ciarlatanesca, in mezzo al buon popolo d'Italia. Ma ciò non avrebbe valso a mantenerla in piedi, tanto sensibile cominciava a farsi alla borghesia il piccolo peso fiscale che i cresciuti armamenti imponevano anche ad essa, se non fosse intervenuta la considerazione importantissima di questo fatto: che l'alleanza con la Germania era il preludio della rottura economi~a con )a Francia, alla quale cosa agognavano gl'industriali italiani e specialmente quelli del settentrione. I protezionisti furono i più caldi partigiani delle alleanze cou gl'Jmperi cen– trali, e basta citare per tutti il nome del famigerato senatore Alessandro Rossi. Ora, la fusione del mo– vimento protezionistico col movimento in favore della triplice alleanza, gitta una luce discreta su_l fondamento economico di questo fatto politico. E stata forse una semplice coincidenza occasionale quella della stipulazione della Triplice nel 1882 e del suo rinnovamento nel 1887, con le trattative commerciali fra l'Italia e la Francia in entrambi questi periodi? Al Congresso economico di Milano del 1883, l'attuale ministro del Tesoro, on. Luzzatti, promise di fare un giorno la storia segreta delle negoziazioni commerciali fra l'Italia e la Francia e di lumeggiare il dietroscena del viaggio del Crispi a Friedrichsruhe. Per chi conosce la moralità del Crispi, nessun sospetto è meglio autorizzato di questo: che egli servisse gl'interessi dei protezionisti settentrionali. Noi ora sappiamo che il trattato di commercio con la Francia fn mandato a gambe in aria, perchè così vollero i lanaiuoli. i cotonieri, i meccanici del nostro paese, nei quali la mancanza di ogni energia industriale contrastava con gli ap– petiti sfrenati di enormi guadagni ('). Questi ap– petiti non potevano saziare senza ricorrere alla protezione doganale, cioè senza rompere ogni rap· porto di amicizia con la Francia. La base della triplice alleauza va ricercata nella smania prote– zionista degli industriali lombardi, piemontesi e Ji. guri, disposti a sagrHìcare gl'interessi agricoli del mezzogiorno ove fosse necessario, e l'ironia della storia volle che gli strumenti di un tale sacrificio fossero appunto due meridionali; un napoletano: Mancini; e un siciliano: Crispi. . .. Si entrò cosi deliberatamente nella politica pro– tezionista, siccome era un remoto e sempre più acuto desiderio degli industriali italiani. Al tempo dell'unificazione del regno d'Italia le entrate do– ganali rappresentavano una parte minima delle entrate complessive dello Stato. Se ne ebbero per 60 milioni nel 1861, per 59 milioni nel 1862, per 57 nel 1863 e per 56 nel 1864. La tendenza a de– crescere delle entrate doganali era evidente. In quel tempo il pane non costava certameote 45 cen– tesimi al chilogrammo, nè il petrolio 70 centesimi al litro. Bisogna essere indulgenti. La borghesia italiana era appena agli esord'ì della sua carriera politica e non aveva ancora mostrato i lunghissimi e fa– melici denti. Era l'idillio allora! La borghesia. nostra, come la borghesia tedesca, convocando il popolo al banchetto dell'unità, faceva i conti del- ( 1) GIR.ETTJ, Giornale de.QlfEconomisti, luglio 1895,pag. JJ.

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