Critica Sociale - Anno VII - n. 24 - 16 dicembre 1897

378 CRITICA SOCIALE moltitudine (alle origini, per es., del buddhismo). Otti– mismo e pessimismo, nella somma, consistono nel ge– neralizzare le affettività risultanti da una determinata esperienza e situazione sociale, e nel prolungarle tanto fuori dell'àmbito della nostra vita, da. farne come l'asse, il fulcro o la finalità. dell'Universo. In guisa che poi, in fine, le categorie dèl bene e del male, che han real– mente un senso così modestamente relativo alle nostre contingenze pratiche, divengono come il criterio per giudicare di tutto il mondo, ridotto in cosi piccola. im– magine, da parer fatto qual semplice supposto e qual semplice condizione della felicità. o della infelicità no– stra. Così dall'uno come da,l\'altro dei due angoli vi– suali, pare che il mondo non possa intendersi, se non come faLto, o a fin di bene, o a fìn di male, e costi– tuito per la prevalenza o per il trionfo, o di questo, o di quello. Nel fondo di questi modi di concepire c'è sempre la origina.ria poesia, elle non si scompagna mai da.I mito; - e questi modi di concepire forman sempre, dal crasso ottimismo maomettano al raffinato pessimismo buddhi– stico, il midollo pratico e la forza suggestiva dei sistemi religiosi. E ciò è naturalissimo. La religione, che ap– punto per ciò, e per ciò solo, è un bisogno, consta di tante trasfigurazioni dei timori, delle speranze, dei do– lori, delle amarezze della vlta cotidiana, in creduti e paventati preordinamenti; in guisa che le lotte di quaggiù vengon tramutate in contrasti dell'Universo - Dio e Satana - la caduta e la. redenzione - la creazione e la,pa\ingenesi - la scala delle espiazioni cd il Nirvane. Quell'ottimismo e quel pessimismo, che si presentano nella veste, o meglio nelle apparenze di cosa pensata nelt'àmbito di certe fìlosofie, non son che residui più o meno consaputi della religione come che sia trasfor– mata, o di quella antireligione, che nell'impeto passio– nato del non credere rassomiglia alla fede. L'ottimismo di Leibnitz, per es., non è certo !a funzione filosofica della sua ricerca del calcolo superiore, nè della sua. critica. della azione a distanza, e nemmeno del suo monadismo metafisico, e della sua scoverta del deter– minismo interno. Il suo ottimismo è la sua religione - ossia quella religione che parve a lui come la per– petua e perenne - quel cristianesimo, in cui tutt~ le chiese cristiane si conciliano - quella provvidenza giustificata nella rappresentazione di un mondo, che è l'ottimo che potesse mai essere e sussistere. Quella poesia teologica irn. il suo pendant, dialettico perché umoristico, nel Candide di Voltaire! E cosi il pessi– mismo di Schopenhauer non è la risultante necessaria della sua critica della critica hanl.iana, nè la funzione diretta delle sue squisitissime ricerche logiche, ma è la estrinsecazione della sua anima di piccolo borghese, meschino e dispettoso, anzi ringhioso, che si completa con la contemplazione (metafisica) delle cieche forze dell'.lnconsapevole (ossia del cieco conato all'esistel'ij) i si completa, cioò, di una forma religiosa poco avvertita in generale: la reh'gione dell'ateismo. ( 1 ) Se, dalle configurazioni e dalle complicazioni secon– darie e derivate della religione e della filosofia. teolo– gizzante, noi risaliamo all"origine prima ed immediata di quelle creazioni ideologiche, che son l'ottimismo e il pessimismo, noi ci troviamo in presenza di un fatto (1) t<·accioeccezione per il filosofo Teichmiiller, che solo avverti e notò la forma dell'aret.Jmo attivo, c~e è religione e creden1.a. ln\·ece la non-rellqtone, che è implicita alle scienze del puro esperimento, rhponde alla indifferenza dello spirito per ogni fede o creden1.a. Nell'ateismo che è una fede alt1va ha origine quella tregenda parigina, che ebhe per principali autori 1•ingenuo Chaumette e l'equivoco Hébert. 810 1meca u no n1a cc tanto ovvio, quanto semplice; che ogni uomo, cioè, per la. sua struLtura. fisica, e per la sua posizione sociale, è portato ad una specie di calcolo edonistico, ossia, a misurare i suoi bisogni, e quindi i mezzi per soddisfarli; e, in fine, per necessaria conseguenza, viene ad apprez– zare, in un modo, o in un altro, le condizioni della. vita e il pregio della vita stessa nel suo complesso. Ora, quando la. intelligenza. è tanto progredita, da aver vinto gl'inca.ntesimi della imaginatio e della fgno1·antia, i quali legano le sorti così poveramente prosaiche dell'ovvia. vita cotidiana alle (fantasticate) forze trascendenti, 11011 è più alla suggestione generica dell'ottimismo o del pessimismo che si tenga dietro. L'animo si volge al (prosaico) studio dei mezzi occorrenti a raggiungere, non quell'ente favoloso che dicesi la felicità, ma. lo svi– luppo normale delle attitudini; le quali, date le favo– revoli condizioni sociali e naturali, fanno sì che la vita trovi in sè stessa la ragione dell'esser suo e della esplica– zione sua. E qui è il cominciamento di quella saggezza, che sola. può giustificare la etichetta dell'homo sapiens. li materialismo storico, corno è la filosofia dcila tiila, o non delle parvenze ideologiche di questa, sorp:issa l'antitesi dell'ottimismo e del pessimismo; perchè ne supera i termini, comprendendoli. La storia è, sì, una serie dolorosamente interminabile di miserie; - il lavoro, che è la nota distintiva del vivere umano, è diventato il tormento e la maledizione della maggioranza degli uomini; - il lavoro, che è la promessa di ogni umana esistenza, è diventato il titolo alla. soggezione del più gran numero degli uomini; il lavoro, che è la condizione di ogni p1·ogresso, Ila messo lo sofferenze, le privazioni, i travagli, i patimenti del maggior numero degli uomini in servizio della r.omoditù. di pochi. Dunque la storia è un inferno; - anzi po– trebb'esser rappresentata, in un lugubre dramma, come la tragedia del lavoro! Ma questa stessa storia lugubre ha tratto da cotesta stessa contlizlone di cose, quasi sempre all'insaputa degli uomini stessi, e non certo per la. provvidenziale preordinazione di alcuno, i mezzi occorrenti al relativo pe1·fezionamento, prima. di pochissimi, poi di pochi, poi di più che pochi i - e ora pare ne prepari per tutti. La gran tragedia non era evitabile. Non deriva da una. colpa. o da un peccato, non da una aberrazione o dege– nerazione, non dal capriccioso e peccaminoso abbandono della retta via; ma da una necessità intrinseca al meccanismo stesso del vivere sociale, e al ritmo p, o– cessua\e di questo. Questo meccanismo poggia su i mezzi di sussistenza, che sono il prodotto del lavoro stesso degli uomini, combinato con le più o meno favorevoli condizioni naturali. Ora che si apre innanzi ai nostri occhi questa prospettiva, che la società, cioè, possa essere organizzata. in modo, da dare a Lutti i mezzi di perfezionarsi, noi vediamo chiaro che tale aspettativa diventa plausibile, precisamente perché; col crescere della produttività del lavoro, si stabiliscono le condi– zioni materiali occorrenti a comunicare a tutti gli uo– mini la civiltà. In ciò sta la ragion d'essere del comu– nismo scientifico, che non confida nel trionfo di una bontà, la quale, chi sa in quali pieghe latenti di tutti i cuori di tutti i trapassati grideologi del socialismo sono andati a scavare, per proclamarla l'eterna giu– stizia. Ma.confida. nel crescere di quei mezzi materiali, che permetteranno crescan per tutti gli uomini le con– dizioni dell'ozio indispensabili alla libertà; - la qual cosa vuol dire che le ragioni dell'ingiusto saranno eli– min~te, ossia la signoria, la. padronanza, il dominio del-

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