Critica Sociale - Anno VII - n. 21 - 1 novembre 1897

CRITICA SOCIALE 335 economica non perdeva della sua forza neppure nel centro del deserto; e le piccole linde casette, che avevano da prima sostituite le tende, erano scomparse per fai• po~to a sontuosi palazzi e a lu• ride catapecchie. Passavano uomini seminudi ed altl'i coperti di stoffe preziose. Achmed si l'izzò sulla sella per guardare lontano. No! Il comignolo della fabbrica non era ancor giunto fin Il. - Arrivo in tempo per importal'lo io - pensò Achmed. Gli anziani si radunarono per ricevere le comu• nicazioni di Achmed. Ma la prima assemblea non fu che una lezione di giustizia pratica che Achmed diede ai suoi com– patrioti. Egli aveva trovato i suoi beni occupati da alti-i. O che lo si aveva mandato via per derubarlo con comodità I Gli anziani riconobbero la giustezza dell'osserva– zione e deliberarono di versare ad Achmed tanto oro quanto egli avrebbe potuto trarre dalla vendita dei suoi terreni. Ad Achmed però non bastava: -..E come sarò retribuito di tutto il tempo che dedicai esclusivamente al bene della tribù! lo og– gidì avrei aumentato considerevolmente quel mio patrimonio; possederei altre terre e palazzi se, nel• l'epoca in cui la proprietà fra voi andava forman– dosi, io non fossi stato assente. Esigo che all'im– porto, che mi sarà destinato ad indennizzo, vengano aggiunti gl'interessi degl'interessi in base ad un computo ch'io v'insegnerò. Gli anzjani dimost1~avano di consentire. 7. Ma il decrepito Hussein s'alzò per manifestare un'opinione ben differente: - Il tuo computo noi lo conosciamo già, disgra– ziatamente. Sappi, Achmed, che la tribù non è più quella che tu lasciasti. Ho paura che il tuo vial,!gio sia stato inutile, perchè noi, oramai, di leggi ne abbiamo anche troppe. Non si potò attendere il tuo ritorno per compilar-le, e furono fatte giusta i bi– sogni che ci parevano urgeuti, e seguendo assiomi che ci sembravano naturali. Pareva che queste leggi dovessero condurci alla felicità, e invece la tribù di eroi, che hai lasciata, s'è mutata in un agglome• rato di vili schiavi e di prepotenti padroni. Oh ! beato Alì, che non vo11e fermarsi con noi a colti– vare questa terra traditrice! Sappi che io non dormo una sola notte intera dal rimorso di aver consi– gliata la tribù ad abbandonare la vita nomade. Ho voluto attendere il tuo ritorno per prendere una decisione che ci tolga a questo stato. Se tu ci saprai raccontare di un popolo,che, toltosi alla vita nomade, abbia saputo vivere più felicemente di noi, allora ti farò contare i tuoi interessi degli rnteressi. Al– trimenti tu non riceverai nulla, e noi, cvsì almeno io spero, torneremo alla vita nomade. Achmed chiese un giorno di tempo per riflettere. La cosa era troppo importante per venir risolta su' due piedi; gli interessi degli interessi del suo capitale dovevano produrre una somma elevata. 8. Egli lesse le leggi della tribù e vi trovò in em– brione tutto quanto esisteva negli Stati moderni più perfetti. Avrebbe potuto qua e là correggere o completare. Sentiva un gran desiderio di osten– tare la propria dottrina dettando nuove leggi che la tribù ignorava perché il suo stato economico, ancora rudimentale, non le chiedeva. Ma egli non era uno sciocco e non volle esporsi ad essere deriso. li vecchio Hussein gl'incuteva un grande rispetto. B bo e d ul 1u Costui, che nei tempi passati era stato l'uomo più eroico e più generoso della tribù, ne era ora il più perspicace, il più acuto. Quelle leggi, che certa– mente erano opera sua, erano chiare, semplici. Dettate per regolare conflitti avvenuti sotto gli occhi stessi del legislatore, non contenevano alcuna contl'addizione. Uno spirito superiore e semplice aveva precisato nei singoli cas, le affinità e le di– versità. Perciò Achmed non credette di poter mentire per salvare il proprio denaro. Doveva dire la ve– ri~\; e la verità - o quella ch'egli pensava tale - non poteva soddisfare Hussein. Passò la notte insonne. Ver,o mattina gli balenò un'idea: - Forse mi riuscirà di salvare il mio denaro e fondare con esso la mia fabbrica. 9. Il cli appresso, presenti tutti gli anziani, cominciò dal dichiarare che la storia della tribù non era altro che la storia stessa dell'umanità. Prima, finchè nomade, la tribù costituiva un solo individuo che lottava per la vita; ora, nel progresso, ogni suo membro era divenuto un lottatore per proprio conto. r più forti vincevano e soggiogavano i più deboli. Ed era bene che cosi fosse. Hussein non si mostrava degno del suo posto, piangendo sulla sorte dei vinti. Ogni membro rag~uardevole sarà un vero e proprio trionfatore e 1'mtera razza diverrà più forte e sosterrà facilmente il paragone con gli altri popoli nel conflitto economico. - La via sulla quale vi trovato è la buona e qualunque altra vi è interdetta. Le nostre le!,!gi non sono ·ancora per– fette ed io voglio aiutarvi a renderle più sicure, ma non a mutarle. Invano IIussein vorrebbe ri– condurvi alla vita nomade; nessuno lo seguirebbe. - E non ci porti altro? - chiese Hussein con mestizia. - L'infelicità di tanta parte di noi è dunque decretata irrevocabilmente I IO. - Vi porto ancora qualche cosa! - disse l'ac– corto Achmed. - Vi porto la speranza. Nella tribù si lotterà ancora per lunghi secoli. Essa si trova appena all'inizio della lotta, che diverrà sempre più fiera. Una parte dei vostri simili sarà, senza colpa, condannata a passare la metà della giornata in ambienti malsani, a lavorare in modo da per– dervi la salute, l'ingegno, l'anima. Diverranno dei bruti, disprezzati e spregevoli. Per essi non i canti dei vostri poeti, non il giuoco d'idee dei vostri filo– sofi. Sarà loro tolta ogni cultura che non sia pue– rile, e neppure potranno vestirsi e nutrirsi da uo– mini. La sventura attuale dei vostri poveri, obbligati a coltivare le vostre terre, è felicità e ricchezza in confronto alla sorte dei loro discendenti. E soltanto allora la tribù sarà giunta all'altezza dei tempi. Di là soltanto - dunque fra secoli - si vedrà albeg– giare una nuova Ora. L'uomo, elevato da tanta sventura, aspirerà a un nuovo ordine di cose. I diseredati, uniti dalle fabbriche - la loro sven– tura - si coalizzeranno e, pieni di speranza, ve– dranno avanzarsi i nuovi tempi e vi si prepare– ranno. Poi, giunti i nuovi tempi, il pane, la felicità. e il lavoro saranno di tutti. - E questi nuovi tempi, li sai tu predire nei particolar-i, nelle leg.i I - domandò Hussein an– sioso. Il. - Ho tanto viaggiato - rispose Achmed - e non trovai sinora alcun paese che fosse giunto a tale elevata organizzazione. So dirvi questo sol– tanto: ln quel lontano avvenire la terra sarà della tribù e tutti i validi dovranno lavorarla. I frutti saranno di tutti. Non cesserà la lotta, perchè dove

RkJQdWJsaXNoZXIy