Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 2 - aprile 1975

bibli il contrasto tra l'uomo « vecchio » e quello « nuovo », il punto forse centrale della lettera « ... è meglio che soffriate (se tale è la volontà di Dio) facendo ii bene, che facendo il male » ( 3, 17). Tutto questo è la storia, travaglio e soffe– renza comune, dove c'è solo la possibilità di scegliere, e non sicuri di scegliere bene, ma intenzionati al bene. Considerando gli avvenimenti, le cose che capi– tano, colpiscono o fanno gioire, in una prospettiva rovesciata, condizione pre– liminare per poter aderire a Cristo: la « metànoia », cioè quel rovescia.mento assoluto dei propri piani mentali, quel capovolgimento della scala dei valori correnti, in sostanza il ricredersi. Questo è il senso del discorso della Montagna che S. Paolo ribadisce più volte: una Vita nella storia d'l.lnque, valutando fatti e cose, atteggiarnenti e valori secondo una scala profondamente cambiata. Perciò, anticipa nella sua introduzione Claudio Leonardi, riprendendo S. Teresa (che io non conosco), « il cristiano muove la storia soprattutto con il desiderio »; per lo stesso mo– tivo, dice Gianni Baget, « lo Spirito Santo ha scelto di essere presente nella storia attraverso i cristiani »; e quindi « nella storia un cristiano deve trovarsi a proprio agio », possedendola però alla « sola » condizione di « esserne non al di fuori, ma al di sopra », di comprendere tutto il valore metastorico del suo vivere storico. Tutto questo mi pare non solo giusto, m.a, per restare in termini piani, storicamente opportuno: perché, se volessi polemizzare con tutti i gruppi para e pseudo-cristiani che negano la storia, considerandola pura corruzione, e quin– di area ed esperienza da scartare per tentare un improbabile « eterno ritorno » oppure vi si immergono secolarizzandosi ed accettando il giudizio del mondo per verificare la rivelazione, direi che è un tentativo di espressione della viltà ideologica e dell'opportunismo irenistico. Essere al di sopra della storia, ma considerarne il movimento: capire che la Rivelazione e l'Incarnazione sono i grandi fatti di « progresso » perché la storia proceda verso la fine dei tempi e il Regno di Dio. Certo l'azione può es– sere una « pietra di inciampo », se non concepita in questo quadro di rif eri– mento; ma, come si vede dai molti gruppi para e pseudo-cristiani, che credono di dire cose 1nolto nuove ripetendo un errore di Lutero, anche la meditazione sul ritorno alle origini, l'esclusione della storia e della tradizione, nel senso etimologico più stretto, può essere una pietra d'inciampo. Tutto è d'inciampo, perfino la virtù, se vissuta senza metanoia: non per caso diventa orgoglio e ipocrisia farisaica, se non è condita e intrisa di carità. Ma allora perché Baget se la prende con il potere? Perché solo col potere, e non con tutti i momenti e i motivi della vita, quando siano gli uni e gli altri vissuti senza il « ricredersi » e il cambiamento di ottica delle beatitudini. Per– ché accettare la storia, sentirsi contemporaneamente dentro e fuori la storia, restituire questa « santa » verità che esiste una funzione escatologica, e quindi un segno di Dio, nella « trasmissione », nella traditio ( anche se ottenuta per le mani di Papa Borgia che si immergeva troppo e male nel mondo, molto più che per le mani di Celestino V, che non vi si immerse affatto, e restò steriliz- 32 ginobianco

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