Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 1 - ottobre 1974

sione globale e totale del mistero della salvezza, che era l'intenzione positiva del Concilio, fare entrare più profondamente nel grande edificio della Rivela– zione il popolo cristiano era un grande compito. Ma esso fu frustrato dalla svolta antropologica della teologia, che condusse a una secolarizzazione del lin– guaggio e del costume. Abbiamo assistito, proprio dopo un concilio che aveva posto l'ecclesiologia al centro delle sue preoccupazioni, ad una decadenza radi– cale del sensus Ecclesiae. La storia della Chiesa diveniva quella dei suoi errori, i dogmi si configuravano come semplici momenti di una evoluzione storica e come tali interpretati, Fobbedienza cessava di essere considerata una virtù e la castità ne seguiva la sorte. La crisi delle vocazioni sacerdotali e quella degli ordini religiosi precipitavano contestualmente. È inutile descrivere la fenomenologia di una crisi rapida e radicale i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. Alla base di essa stava un clima creatosi già nell'aula conciliare e poi nelle commissioni e nei corridoi del Concilio, il clima di una sottile ma reale rottura con il passato. Una fessura sottile, all'origine, un monito contro le condanne, la esaltazione della pastorale intesa come as– senza di censure, una breve parola « aggiornamento ». Attraverso di essa passò il diluvio, e passa tuttora. L' « aggiornamento» è divenuto « autodemolizione». Quali vie alternative si sono delineate? La prima, tentata a vari livelli, a tutti i livelli, è quella dell'impegno politico-sociale: dalla Chiesa « esperta in umanità » alla Chiesa « luogo della memoria radicale », tutti i metodi e le parole d'ordine esistenti nel mondo sono entrati nella Chiesa di Dio, tra pastori e fedeli. Ciò ha dato luogo a una politicizzazione del linguaggio ecclesiale, come conseguenza della comprensione della Chiesa come soggetto misurabile a livello politico, e a questo piano sostanzialmente riducibile (il sovrappiù è posto, se– condo un modulo di teologia negativa, oltre l'oggettività accertabile). La Chie– sa deve essere sperimentata come credibile sulla base di una misura politica, il resto rimane di là ed oltre, pur essendo sottoposto, indirettamente, alle for– che caudine dell'ideologia. Non ci interessa qui, evidentemente, distinguere tra la versione moderata e quella radicale della teologia politica. Ci pare però significativo osservare che la prima interpretazione ideologica del cristianesimo sia ~tata quella reazionaria. Il Dii Pape del De Maistre è la prima formulazione ideologica del catto– licesimo, ed essa è durata, sia pure marginalmente, più di un secolo. I cri– stiani della rivoluzione hanno semplicemente rovesciato lo schema stabilito dai cattolici della reazione. Il referendum è stato l'occasione di un grosso show di tutte le forme di teologia politica. Cominciamo dal maritainismo di Gabrio Lombardi, il quale ha preteso di fare della questione del divorzio una que– stione laica. Il presidente del comitato per il referendum e la sua impostazione hanno mostrato il lato comico per un verso, drammatico per l'altro, della crisi della cultura cattolica del nostro tempo. Ma poi non sono mancate tutte le altre. I vescovi hanno parlato in termini sociologici di modello cristiano: sono comparsi, come l'Enrico IV di Pirandello, i Comitati civici, a ritentare il lin– guaggio del 18 aprile, quasi che nulla fosse accaduto, nella Chiesa e in Italia, tra il '48 ed il '74. I cattolici del « no » rappresentavano poi tutto l'arco costi– tuzionale, più quello extraparlamentare. Scoppola combatteva in nome di De Gasperi, Alberigo in nome di Dossetti, La Valle in nome dei Laureati cattolici di sinistra, Gabaglio in nome di De Martino, i cattolici de Il Manifesto e di b·1b1·1 14 • b' ag1no 1anco

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