Giovanni Grave - La società morente e l'anarchia

- 201 contrario allo scopo che ci proponiamo nonchè ai pri nei pii che professiamo. Altri contradittori, e fra questi anche qualche anard1i.:o, pretendono che in tempo di rivoluzione ci bisognerà, non l'autorità di un capo, - non giungono fino a questo punto, - ma di riconoscere per lo meno la supremazia di qualcuno e sottomettersi a lui per quelle funzioni di cui sarà stato investito. Strana anomalia è questa, rimasuglio di pregiudizii di cui siamo imbevuti, conseguenza atavica della nostra educazione, per cui, mentre proclamiamo· a gran voce la libertà, rinculiamo spaveurati davanti alle sue .:onseguenze, giungiamo a negare la sua eflìc.1ciafino al punto di richiedere l'autorità per conquistare .... la libertà. - Quale inconseguenza! Forse che il mezzo di divenir liberi non è di usare della libertà, agendo secondo le proprie aspirazioni, respingendo la tutela di chicchessia? Si è mai visto, per insegnare a un fanciullo a camminare, cominciar col legargli le gambe? Vi son cose, ci dicono, cbe alcuni conoscono meglio di altri, e sarebbe bene, prima di agire, di consultarli e subordinare i nostri atti a quello che essi e' insegneranno. Noi siamo stati sempre d'opinione che l'azione individuale non ·esclude l'intesa collettiva per una azione in comnne, e che da questa incesa scaturis.:a una organizzazione, una specie di divisione di lavoro che renda l'uno solidale con l'altro, spingendolo ad adattare la propria azione a quella dei compagni di lotta o -di produ1.ione; ma da qui al riconoscere che un 8, ho cd G1 10 B ::i

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==