Carlo Gide - La cooperazione ha introdotto un nuovo principio nell'economia?

BIBLIOTECA MENSILE N 1R Anno 11- 1915 dellaCooperazione e d llaPrevidenza Il. LU Agosto = ...................--;..................................;.....-......-.. ;; ..,=... =... =..=... =...................... hAGOOPE~AZIO{tE baintttod0tto unnuovopttineipio nell'eeonomia 7 Studio polemico di CARLO GIDE pubblicato nell'Econoinic joimwl in risposta al prof. Pantal 0 oni EDITO A CURA DELLA LEGA NAZIONALE DELLE COOPERA'f!VE E DELLA FEDERAZIONE frALIANA DELLE SOCIETÀ DI M. S. MILANO - Via Pace, 10

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Como, 1915- Tip, Cooperativa Comense « A. Bari ».

LA COOPERAZIONE ha introdotutonnuovoprincipnioelle' conomia ? (Studio polemico di earlo 0ide pubblicato nel/' Economie Journal del dicembre 1898). Nel Giornale degli economisti è apparso di recente uno studio critico firmato dal prof. M. Pantaleoni e degno di richiamare l' attenzione tanto degli economisti come dei cooperatori pratici. Brevemente, esso tende a dimostrare che la cooperazione non ha arricchito la scienza economica di qualsiasi nuovo principio, e che, in pratica, essa non può aggiungere nulla a quanto si ottiene in modo naturale dal libero giuoco della concorrenza. Questa tesi è sviluppata e difesa con tutto il brio e la ingegnosità dialettica ( non del tutto esente da una certa sottile casistica) di cui è capace il distinto studioso, balzato dall' Italia alla cattedra di Ginevra, e che, pochi mesi fa, tenne una brillante conferenza dinanzi all' assemblea dell'Associazione economica britannica su il forte e il debole nella sfera dell' economia. L' articolo del prof. Pantaleoni si può ben dire giunga in un momento particolarmente opportuno. In ogni Paese si discute sul futuro della cooperazione colla massima sincerità e dai più opposti punti di vista. In Inghilterra un leader del movimento cooperativo, il signor Acland, domanda con molto timore nell' Eco-

1.omic Re111:ew: « ta cooperazione è destinata a fallire?». In un più reccnt discorso al Congresso di Hawich Lord Grey ha manifestato una fede incondizionata nel suo successo: - « G:' tanto certo come domani ,si alzerà il sole!». E, nell'ultimo volume della sua colossale opera. filosofica e sociologica, Erberto Spencer dichiara che il futuro le appartiene. ln Francia, mentre gli economisti rimangono scettici ed indifferenti, quasi tutti i capi politici cli qualsiasi partito la salutano come la vera soluzione della questione sociale. Anche tra i collettivisti e gli anarchici, finora in massima ostili, vi so1,o parecchi che ne sono divenuti fautori (1). vin da ora io desidero porre in rilievo che per noi in Francia non c'è null:.t di assai sorprendente nella sostanza delle critiche del prof. Pantaleoni, benchè la sua originalità presti una genuina freschezza agli argomenti addotti. Da più di mezzo secolo siamo abituati ad udire le più alte autorità dell'economia politica detta liberale dichiarare e dimostrare, quasi senza eccezione, che la cooperazione è un'illusione, almeno in quanto pretende essere un modo cli trasformazione sociale. Questo atteggiamento della scuola liberale verso la cooperazione è particolarmente istruttivo, cd è assai adattato a illustrare la storia delle dottrine economiche. A prima vista, esso sembra inaspettato ed illogico. Non meno della scuola manchesterriana, non è forse la cooperazione una figlia della libertà, che non domanda alcun sostegno che non sia quello della libera unione, e che rigetta ogni intervento cli Stato? Io ammetto che gli economisti liberali 11011 hanno combattuto apertamente il movimento; essi hanno anche professato simpatia di fronte ad esso e, sotto certi aspetti, ne hanno riconosciuta l'utilità. No; essi non l'hanno ripudiato, figlio com'è della loro famiglia; ma essi non l'hanno trattato diversamente <la quello (r) Nella stampa quotidiana si possono leggere discorsi pronunciati in questi ultimi anni del l\1éline (ex Presidente del Con• siglio) da Descbanel (Prcsiclcnlc della Camera) e dai loro avversari politici Clemenceau, Pelletan, Gublet, ecc. Per le opinioni socialiste. Vedi la Rivista l'H.1111-1anitè Nouvelle.

5 che si usa fare verso i parenti poveri. Cioè gli han fatto garbatamente intendere che la parentela era un poco compromettente, che avrebbe perciò fatto bene a starsene modestamente al suo posto e non far troppo parlare di sè. La piccola sorella Cenerentola deve bene esser contenta cli stare a casa e sco,pare la cucina! Non essa può aspirare a riformare la società, abolire il sistema ciel salariato, sostituirsi ai commercianti o nutrire altrettante superbe amhizioni. Io non esagero affatto. Per non inoltrarmi in un capitolo cli storia economica, voglio soltanto ricordare il fatto che, nel 1848 e 1866 - anni cli grande commozione nei sentimenti cooperativi cli noi francesi - la Società Parigina cli Economia Politica tenne parecchie adunanze per discutere sulla cooperazione, e ali' unanimità decise che il movimento non avrebbe avuto una dimane. Poi, per venire cl' un colf)O ai nostri giorni, il professor Paolo Leroy-Bcaulieu in una serie cli articoli sulia cooperazione apparsi due o tre anni or soue> sulla Rc·,:ue dcs Deux M ondes ( incorporati poscia nel suo grande Trattato cli Economia Politica) rimbrottò severamente le Società cooperative per le loro pretes1::, pur professando una viva simpatia per le loro teorie. Egli paragonò i loro programmi cli rinnovamento sociale ai « lamenti dei bambini », mostrò che essi non sarebbero mai riusciti ad abolire gli intermediari o i salariati, e li ridusse entro un'umile e ristretta sfera nella quale devono essere confinate le loro attività ( 1 ). (r) Numerosi passi potrebbero essere citati. Anche la scuola liberale dissenziente, che si orna del nome di Le Play, partecipa alla stessa opinione. Nessuno ha parlato pii.1sprezzantemente delle associazioni cooperati ve dell'eminente autore della Riforme Sociale. In esse egli non vide che una specie di futile travestimento delle vecchie corporazioni (gilde), senza i vantaggi che queste associazioni potevano offrire, e colla 111i11acciaanche di distogliere gli operai dai loro reali interessi. Gli economisti inglesi, indubbiamente meglio ammaestrati da quanto si svolgeva sotto i loro occhi, hanno avuto maggior fede nel movimento cooperativo. Basti solo menzionare i nomi di Stuart Mili, Cairnes, del prof. Marshall, di E. Spencer. Pure, se noi fossimo meglio versati nella letteratura economica inglese

6 Fra interessante notare che la scuola neo-liberale, <li cui il prof. Pantaleoni è una delle più elevate autorità, conserva il medesimo antico atteggiamento verso la cooperazione. Non si cela una certa simpatia rispetto alla cooperazione pratica: so che lo stesso Panta leoni è stato un cooperatore pratico; ma si bandisce senza ambagi la cooperazione da quelle alte speranze per le quali soltanto vale la pena di vivere e che sole rendono possibile la vittoria. Nullameno mi affretto a soggiungere che nella nuova scuola vi è questa distit1tiva caratteristica: le sue critiche sono di ordine puramente scientifico e non sono in alcuna guisa infette cli angusto conservatorismo o ciel desiderio aprioristico cli giustificare l'esistente ordine economico delle cose. Dicendo che il prof. Pantaleoni appartiene alla nuova scuola liberale, il linguaggio col quale io mi riferisco a lui richiede qualche difesa da parte mia. Il nostro collega ha dedicato il suo discorso inaugurale all'Università di Ginevra a una acuta e vigorosa dimostrazione che non si deve questionare intorno alle cliverse scuole cli economia politica; che la scienza è una e indivisibile; ed osservò saggiamente che vi sono soltanto due sorta di economisti: coloro che sanno e coloro che non sanno. Senonchè, mi sia lecito dire che precisamente qui c'è una cosa cli più nella quale i nuovi economisti assomigliano ai vecchi. Poichè questi ultimi - i fisiocrati, ad esempio - hanno sempre rifiutato cli essere etichettati come una scuola, sia ortodossa, classica, o anche manchesterriana-liberale, ed hanno semp,re sostenuto che nelle leggi economiche non ci credo non ci sarebbe difficile scoprire la stessa tendenza che troviamo in Francia. Ricordiamo, ad es., di avere letto sulla Fori• nightly Review del r866 un articolo ciel sig. Harrison nel quale sono compresi gli stessi argomenti che ora sono avanzati dal Leroy-Beaulieu. L' Harrison ammetteva che la cooperazione era un buon sistema per migliorare le condizioni delle classi lavoratrici, e, come tale, meritava di essere incoraggiata. Ma, in quanto aspira a po• polarizzare le grandi verità sociali o a intraprendere la prodn• zione su larga scala, essa " non ha mantenuto le sue promesse e mai potrà mantenerle H'

7 possono essere più divergenze di quello che accade rispetto a molte proposizioni cli Euclide. Essi ammettono il diritto di costruire in teoria un sistema economico collettivo, bcnchè rifiutino di considerarlo come possibile in pratica; poichè in questo caso il principio fondamentale cli un tale sistema sarebbe coercitivo. Ma, dal momento che voi lasciate la libertà - ed è un punto d'onore dei cooperatori di conservare la libertà - diventa impossibile creare un mondo economico essenzialmente diverso dall'ordine presente delle cose. Nella parola «cooperazione» sono ascose virtù magiche capaci di trasformare il modo cli produzione o di distribuzione? E, se nel fondo della parola c'è qualchecosa cli ignoto, che cosa è? « Tra tutte le condizioni - chiede il prof. Pantaleoni in una proposizione che termina e riassume il suo discorso - sulle quali poggia la legge della domanda e dell'offerta ce ne è una che abbia subìto qualche modifrcazione? Se qualcuno riesce a scorgere qualcosa del genere, ce lo dica ! ». La cooperazione è, naturalmente, associazione. Ora, quale è la differenza specifica nella associazione cooperativistica? Se essa offrisse qualcosa cli distintamente essenziale e caratteristico, se essa costituisse un originale sistema autonomo, non ci sarebbe stata difficoltà a definirlo in modo da poterla distinguere da qualsiasj altra forma di impresa economica. Ma ciò è precisamente quanto finora non è stato fatto, a malgrado di tutti i tentativi. E il prof. Pantaleoni demolisce tutte le definizioni dell'associazione cooperativa formulate da Brentano, da Wollemborg e da altri, mostrando come esse siano vulnerabili in qualche punto. Così non si può dire che la cooperazione costituisca un'associazione affine di soddisfare a un comune bisogno, poichè questa definizione, valida nel caso del consumo e del credito associato, non calza alfa produzione cooperativa, il semplice oggetto della quale sembra essere quello di gestire qualche ramo della produzione. Non si può affermare che abbia per

8 suo scopo « la soppressione del sistema del salario, poichè, mentre ciò può adattarsi al caso della produzione cooperativa, tale non è sicuramente l'oggetto delle Unioni di consumo nè delle Società cooperative per gli acquisti all'ingrosso (Wholesales) che occupano salariati nelle loro fabbriche e che non sembrano affatto disposte ad accordare nemmeno la partecipazione agli utili ai loro dipendenti. Ton si può dire che essa involga la soppressione dell'ordinario contratto di lavoro poichè essa aderisce a questo modo cli rimunerazione, e questo significa pagamento dei salari agli operai e degli interessi al capitalista. Nè, naturalmente, si può prender come criterio generale ogni somma speciale spesa per istituzioni filantropiche e costituente soltanto un'insignificante impostazione nei bilanci. Neanche potrebbe fissare il prezzo di vendita dei suoi beni, nè i salari dei suoi dipendenti, nè il saggio dell'interesse pei suoi azionisti, nè la distribuzione degli utili in generale, senz'essere potentemente frenata dal mercato esterno regolato dalb libera concorrenza, che è pure la base delle sue valutazioni. In quel mondo economico che pretende trasformare, essa vive e si muove così incondizionatamente come un pesce nell'acqua. Pertanto essa non contiene in sè stessa qualsiasi principio autonomo, qualsiasi vitale elemento peculiare, e possiamo applicare ad essa le parole dell'apostolo: « Che cosa hai tu eh non abbia ricevuto? 'Ora, perchè tu ti vanti, come se non avessi ricevuto?». Tale è, approssimativamente, il sunto della discussione del prof. Pantaleoni. Dobbiamo ringraziare il collega per avere esposto la questione così concisamente. Egli ha indotti i cooperatori a specificare più eh iaramcnte i loro scopi e il loro ideale. Ora, nulla potrebbe essere più fatale all'avvenire della cooperazione cli un numero di intenzioni discordi e, in qualche riflesso, anche contraddittorie. In realtà, qui sta una delle cause del suo lento sviluppo, anzi, del suo regredire in vari paesi, specialmente in Francia. Colle sue

9 critiche, M. Pantaleoni ha reso pertanto un servizio positivo alla cooperazione. Sforziamoci di trovare una risposta. - Q11alc nuovo elemento - domanda il Pantalconi -- apporta la cooperazione alle condizioni della domanda e dell'offerta? Prima di cercarne qualcuno - e noi crediamo che non dovremo cercare invano - non metterebbe conto di mostrare che l'effetto della cooperazione è precisamente quello di ristabilire il libero giuoco della domanda e uell'oHerta, che di fatto rimane falsifìc:,to da uca moltitudine di cause perturbatrici? Se così fosse, se essa contribuisse alla realizzazione degli ideali cari ai nco-lil.Jerali e allo stesso Pantaleoni, non sarebbe (b parte cli costoro dar segno di ingratitudine il domandare donde essa provenga e quale sia la Stia utilità? Ora, noi pensiamo clte è precisamente questo ciò che essa fa. Giustificando noi stessi per rispondere con una apparente ombra di paradosso, dobbiamo anzitutto esaminare che cosa sia questo mondo edonistico, questo regno Llella economia pura sempre tenuto di vista dai neo-liberali qt1ando essi ci attaccano cd esclamano trionfalmente: << Voi 11011 potrete andar oltre o fare qualcosa di meglio!». Questo mondo edonistico è quello nel quale la libera concorrenza regnerebbe assoluta; ne·l quale tutti i monopoli cl.i fatto o di diritto sarebbero aboliti; nel quale ogni individuo sarebbe conscio del suo vero interesse e ben armato come ogni altro per combattere in sua difesa; nel quale ogni affare verrebbe trattato e conchiuso mediante contratto genuinamente libero, e ogni parte contraente peserebbe in una bilancia subiettiva, infallibilmente esatta, l' uh'lità marginale del bene cli cui dispo11c e ciel bene da acquistare - un contratto nel quaìc nè la :frode, nè la menzogna, nè la violenza, nè l'ignoranza, nè la dipendenza da altri, nè qualsiasi estraneo elemento perturbatore (per esempio la mi-

IO serabile preoccup,azione della cena o del desinare) non entrerebbbero a sconvolgere una sì delicata operazione: un mondo nel quale la legge della domanda e dcll' offerta apporterebbe il massimo di utilità all' individuo e alla società, e spingerebbe sempre l'ago barometrico, senza alcun attrito o alcuna perdita di tempo, a segnare il bel tempo, cioè il prezzo più utile e conveniente a tutti. Ora, purtroppo, un tal mondo non esiste che nelle regioni inaccessibili del pensiero astratto. Esso non ha maggior rapporto colla società nella quale attualmente viviamo, di quello che lo abbia il mondo della geometria pura colla con.figurazione della terra o colla forma umana. E la ragione è la stessa per entrambi i casi. Il mondo edonistico può essere « immaginato » come quello geometrico. Così, gli economisti matematici illustrano i loro libri con curve e simboli algebrici. Ma, ai loro procedimenti si può applicare la spiritosa definizione della geometria, come una scienza « che consiste nel· ragionare correttamente intorno a forme che sono false ! ». Io ammetto senza difficoltà che, se esistesse, questo mondo sarebbe molto superiore al presente mondo economico e che, pur non realizzando completamente il nostro ideale (per un grave difetto cui subito a,cccnneremo) tuttavia esso soddisferebbe a molti dei desiderata dei cooperatori. Ma noi dal canto nostro domandiamo al prof. Pantaleoni di ammettere a sua volta che la cooperazione potrebbe idealmente esser il miglior mezzo di dare vita e realtà a quella città della pura speculazione economica; che essa potrebbe idealmente darci ciò che il la-isser fa-ire e l' individualismo non saranno mai in grado cli fare: cioè una società governata dalla libera concorrenza e dal libero contratto. Le prove non mancano. Quando gli economisti liberali ci decantano i vantaggi e anche le virtù morali della libera competizione, quando, ad es., Yves Guyot intitola la sua curiosa apo-

II logia della concorrenza << La morale della concorrenza», e cerca mostrare che ogni produttore mira soltanto al benessere generale; o quando il sig. Brelay scrive sull' Economt'ste Français questa proposizione di un divertente ottimismo; - « tutti i produttori, an.. siosi per l' interesse generale, che è inseparabile dal benessere individuale, sono intenti a creare i migliori prodotti al più basso prezzo possibile>>, è chiaro che ciò che essi hanno di mira è la concorrenza leale e genuina, non la concorrenza antisociale e demoralizzante che oggi domina nel mondo economico, non la lotta per I' esistenza nella quale i meno scrupolosi vincono e i più onesti sono schiacciati. Ora, che fanno le società cooperative - non solo quelle cli consumo, ma anche quelle di credito ·- se non tendere ad alimentare tutto ciò che vizia il libero consrnso tra coloro che effettuano gli scambi attraendoli in varie maniere? Adulterazione dei cibi, peso mancante, falsi avvisi cli rèclame, usura, vendita a credito, che è una forma di usura, e, sopratutto, l' attrito risultante da un eccessivo numero cli intermediari e adducente alla fluttuazione dei prezzi o a un equilibrio inerte; - se abolire tutto ciò è lo scopo della cooperazione, chi potrà negare che essa mira a liberare il meccanismo dei liberi s·cambi di tutti gli abusi che ne ostacolano il libero giuoco? E' già stato osservato che il prezzo cli dettaglio si adatta assai lentamente ai prezzi ali' ingrosso. Nel caso del prezzo del pane che si regola su quello del grano, il procedimento dura tanto che in alcuni paesi, ad esempio in f<'rancia, la legge autorizza i municipi a fissare il prezzo del pane in base a quello della farina o del grano. Ora, mirando appunto le società cooperative di consumo a diminuire od anche eliminare il margine tra i prezzi di dettaglio e quelli ali' ingrosso, esse sono più capaci di seguire le variazioni del mercato. E indnbbiamente in un ordinamento generale cooperativo i calmieri municipali, che così fortemente esasperano gli economisti liberali, non avrebbero più

ragion d' essere e potrebbero se11z' altro venire aboliti. Parimenti, se le Cooperative di credito si generalizzassero, tutte quelle vecchie leggi limitanti il saggio d'interesse, leggi che hanno provocato una anche magP-iore effusione di bile economica, diventerebbero inutili, mentre il tasso d'interesse, praticamente rigido in materia civile, si conformerebhe alla domanda e ali' offerta in modo così flessibile come succede pel saggio di sconto nelle transazioni commerciali. Vero è che il prof. Pantaleoni non sarà in alcun modo disposto ad ammettere che le Società cooperati ve so110 favorevoli alla co11correnza. Egli le accusa cli tendere al monopolio e di approdare inevitabilmente ad esso. Ma, su che cosa egli basa questa grave accusa, che stupisce così profondamente i cooperatori in geucre, i quali si sentono affatto innocenti di una tale colpa? Semplicemente e solamente su di una legge economica, alla quale il suo amico prof. V. Pareto ha conferito una partico.Jare importanza e che è stata felicemente battezzata col nome di « legge delle propor- :::ionidefinite». Tradotto in termini comuni, questo sig-uilìca che lo sviluppo di ogni impresa industriale è sottoposto a certi limiti oltre i quali essa non può che andare in rovina; che i fattori d.i produzione - lavoro, terra, capitale fisso e circolante - sono e devono restare in certi proporzioni fisse se si vuole ottenere il massimo della loro efficacia che non solo quetc proporzioni 11011 possono essere turbate, ma nessuna impresa (come ogni essere vivente) non può crescere i11defìnita111entc. E l'impresa cooperativa è soggetta a questa legge. Ora noi ammettiamo tutto ciò. Nullameno, nel caso delle società di distribuzione si deve osservare che questi limiti sono così clastici da parere suscettibili di una estensione indefinita. Così, a Breslavia, a Leeds, le Associazioni di questa specie sono diventate così imponenti da includere quasi tutta la popolazione urbana, mentre la Federazione organizzata sul sistema dei magazzini per gli acquisti ali' ingrosso hanno esteso i

r3 loro limiti da coincidere quasi coi confini di un intero Paese. ~ el caso, invece, delle Cooperative di produzione la legge ha senza dubbio pieno vigore. Ognuna di css<' deve fermarsi ad un certo punto se si vuol cvitai·c di au1;1cnlare proporzionalmente più le spese di prc<luzionc che 11011le entrate. Ma questo che significa? Ov' è il monopolio in un tale stato di cose? Coloro che sono giunti ultimi troverebbero chiusa la pot la, ma per un altro riguardo la loro sorte sarc!11Je di versa da quella della vergine folle del Vanr;clo. l~ssi non sard1bcro esclusi dal paradiso, ma semJ:lkemcntc troverebbero un'altra oopcrativa alla porla vicina. A far ciò sarebbero forse impediti dalle ocietà già csistellli? Affatto. Quale interesse potrebbe avere qt1c•,t' ultima a ostacolarli, ammesso per ipotesi che c~sa avrcLh~ Fiù rago-iunlo il suo massimo sviluppo? Ov' è, pertanto, il monopolio anche in quelle società che hanno finito cli crescere? Se l'accusa poi significa sollanlo che i soci di una Cooperativa godono di una .,1i~liore posizione clic i 11011 associati, essa sarebbe a11cora più infondata. Quale sarebbe l'utilità cli una lftnlsia:;i Associazione se essa non conferisse qualche '.·a•11a_c:zioai suoi membri? Le Società cooperative si arricchiscono forse a spese pubbliche? Impongono un tributo ai consumatori, come è nella natura di tutti i monopoii? Finalmente, per toglier valore agli attacchi del professor Pantaleoni, noi possiamo fortunatamente chiamare in nostro aiuto la sua propria opinione esposta in ui1 prececlr11le fascicolo di questa Rivista già da noi ricordala . .Nel giustificare la concorrenza e nel rispondere ali' obiezione che per mezzo di essa il forte schiaccia il debole, egli ha negato la verità dcli' asserzione clic k imprese più grandi necessariamente eliminino le più piccole, sostencuclo al contrario che un certo eq11ilibrio si stabilisce fra di esse e che l'effetto della cc,ucorrenza è semplicemente quello di costringere ogni impresa a confinarsi entro i suoi limiti naturali

I4 e a non degenerare in monopolio. Ma ciò è giusto quanto fanno automaticamente le Cooperative senza abbisognare della violenta coazione della concorrenza! Un'altra prova: - Nel sistema ideale di libere compettz10ni quale è formulato da Pantaleoni, Pareto e Wabras, il valore delle cose è sempre portato giù al livello del costo cli produzione, il che equivale a dire che ogni profitto sparisce. Esclusi per ipotesi tutti i monopoli, l'imprenditore non avrebbe altra rimunerazione all' infuori di quella che egli potrebbe ottenere come salariato o capitalista, nel quale caso la sua ricompensa formerebbe parte del costo di produzione. Così, nella presente organizzazione economica essi devono considerare il profitto come una specie di anomalia, l'effettiva esistenza della quale prova quanto noi siamo lontani dalla completa realizzazione del sistema della libera competizione. Ora, è precisamente lo scopo della cooperazione di abolire il pro.fitto ! Questo è il suo compito principale, la sua essenziale caratteristica. La storia del movimento mostra quanto ciò sia vero. Questo fu l' ideale primo del padre della cooperazione, di Roberto Owen. Egli scorse nel profitto il cancro divoratore della società, la causa di tutte le miserie e ingiustizie clell' ordinamento sociale, il peccato originale dell' uomo economico, per isradicare il quale egli invocò lo sforzo simultaneo e solidale del socialismo. Le sue comunità cooperative e aziende di scambio erano soltanto mezzi a questo fine. Esse dovevano risolvere la questione sociale poichè la facevano finita coi profitti. E, dopo cli lui, un larghissimo numero di Cooperative, per esempio le Società di credito rurale, tipo Raiffeisen, e parecchie Cooperative cli consumo, hanno come uno dei loro principi fondamentali cli non realizzare mai qualsiasi profitto. Esse dispongono la vendita dei loro beni o il prestito del capitale a un prezzo che è appena sufficente a coprire le spese. Anche quegli spacci, che si attengono al programma di

Rochdale e vendono in eccesso al prezzo di costo, non considerano sè stessi come pcr·cettori di un profitto, nè teoricamente posson essere considerati tali. Ciò che essi prendono è semplicemente un surplus sul prezzo di ciascun bene ,che alla fine di un termine fisso è rifuso all' acquirente. E qui non c' è sottigliezza sofistica o bisticcio. Questi dividendi sono esenti d' imposta, quantunque noi sappiamo con quali occhi di lince gli agenti cerchino scoprire tutti i redditi imponibili su cui porre i loro artigli (I). Infine, io desidero addurre su questo punto tm altro argomento. Da Bastiat in poi gli economisti liberali usano sempre proclamare il consumatore come il personaggio più importante, come il re del mondo economico. Essi cc lo mostrano saggio, illuminato, perfettamente conscio del suo interesse, e il cui interesse solo è degno di essere preso in considerazione poichè esso solo si identifica coll' interesse della società. Ed è con questo criterio che essi risolvono tutte le questioni difficili, come quella del protezionismo o delle macchine. Benissimo! Senonchè, in realtà, noi sappiamo che nell'ordinamento economico esistente il consumatore è veramente un misero essere, interamente ignaro de' suoi interessi più pressanti, sfruttato, ingannato, avvelenato dai produttori e dai commercianti, e considerato come uno che permette ad altr'i di vivere alle sue sp:i.lle e di fornir loro lo sbocco necessario. Con quali mezzi è possibile conferire a questo re senza corona una effettiva autorità, come gli si può insegnare quale è il suo vero interesse e il modo di farlo trionfare? Appunto colle Società cooperative di consumo, che sono vere leghe di consumatori le quali praticamente insegnano a costoro quale sia l' ampiezza (r) Parrebbe che si dovrebbe fare un'eccezione per le cooperative di produzione, poichè esse, come i capitalisti-imprenditori, cercano vendere al piil caro prezzo possibile e assicurarsi un largo utile. Pure, nel sistema del Federalismo i profitti sono limitati e tassati dai magazzini all'ingrosso, per conto dei quali esse lavorano.

16 del loro potere. C' è qualcuno il quale possa pensare che, se il regime cooperativistico fosse instaurato in tutti i I aesi, il sistema protezionistico potrebbe continuare ad esistere? C'è qL?alcuno il quale possa cre- <lerc che tulli i trnsts, i monopoli, e sindacati industriali 111011opol istici, mediante i quali i produttori accumulano prodotti e innalzano abusivamente i prezzi, potrebbero avere la speranza cli resistere cli fronte ai consunialori organizzati? ·ornc nell'ordine politico il suffragio universale ha trasferito il potere sovrano nelle mani del popolo, così nell'ordine economico è la cooperazione che trasferirà il potere sovrano nelk mani del consumatore. Al Congresso internazionale cooperativistico tenutosi a Parigi nel 1889, io citai il motto famoso clell' abate di Sieyès allo scoppiare della Rivoluzione: - « Che è ;1 terzo stato, oggi? folla. Che deve essere? Tutto» - e l'adattai così: - « Che cosa è stato finora il consumatore? Nulla. Che deve diventare? Tutto». Ma questa formula, che avrebbe avuto l'approvazione cli Bastiat, può essere tradotta in realtà soltanto da un sistema cli cooperativismo generalizzato o eia una Repubblica cooperativistica (r). Con le argomentazioni precedenti crediamo cli avere dimostrato che, anche ponendoci dal puro punto di vista edonistico, la cooperazione abbia da svolgere una parte ben più importante cli quella che le vuol assegnare il prof. Pantalconi. Alla domanda: A quale riguardo essa modifica la legge della domanda e del- (r) Qui io chiaramente as cvcro che in un ordinamento cooperativistico integrale, o in una repubblica cooperativistica, l'org:1110 essenziale sarebbe l':issocinionc per la d:stribuzlonc coopcrati1·a. Tale è realmente la mia opi1done. Ma non bisogna dirnenticrire che i cooperatori francesi ciel r8,18, come i socialisti cristiani inglesi, nuHrono molte speranze nelle Cooperative di procluzione e le considerarono come il perno della riforma sociale. Lord Grey al recente Congresso di Hawick manircstò la stessa opi-

I7 l'offerta? noi rispondiamo: Essa è una migliore salvaguardia 1->erl' effettivo funzionamento cli questa legge che non potrebbe mai essere un puro regime individualistico. E qui si deve ammeltcre che, secondo la concezione cli parecchi cooperatori, ciò che la cooperazione può compiere non può andar oltre il perfezionamento del meccani. mo della distribuzione dei prodotti senza alterarlo nella sua essenza. D' altro lato, tutti i cooperatori che hanno realmente fede nell' avvenire della cooperazione possono scste11cre che fermarsi a questo punto significhrebbe tradire la causa. Per essi la cooperazione, o piuttosto il cocpcralivismo - come ora diviene usuale designare la loro scuola - è una specie di dottrina che, se non è nuova - anzi, è alquanto antica - è almeno originale e distinta tanto dal lasciar fare come dal collettivismo. Questi cooperatori non aspirano a desiderare che l' interesse personale sia soppresso. Essi non sono monaci, ma uomini che hanno sempre mostrato di avere un forte senso pratico e hanno sempre affermato che « la cooperazione è un affare». Essi non sognano di sopprimere ogni competizione nella società umana, benchè ripetutamente questo sia stato eletto contro cli loro e con un certo plausibile fondamento, data l' indiscrezione <li parecchi cooperatori nel contrapporre la cooperazione alla concorrenza. Ciò potrebbe succedere soltanto a mezzo della soppressione generale di tutte le imprese private, o di quasi tutta I" iniziativa individuale. Ora, questo involgerebbe l'accettazione elci collettivismo, e i cooperanione. Egli disse che l'ideale, che aveva invano cerc:ito nelle Cooperative di consumo, l'aveva trov:ito nella produzione associata. Nullameno nello stesso discorso egli dichiarò che la cooperazione rappresent:i un nuovo principio: - "la subordinazione del proprio interesse all'altruismo,,. Noi p11re la pensiamo così, ma temiamo che sia precisamente nelle Cooperative di produzione che il principio dell'altruismo spesso vien subordinato al proprio interesse, o almeno all'interesse professionale cooperativo, il che è la stessa cosa.

18 tori a ciò sono finora poco p,ropensi. Ma essi sostengono che una società, come quella nella quale viviamo o quel!' ipotetica società che sta sempre dinanzi alla mente degli edonisti, governata soltanto dal!' interesse personale e dall' interconcorrenza di questi interessi, sarebbe ben lungi dall'essere perfetta; essa non sarebbe nemmeno umana. E la loro conclusione è che è indispensabile integrare e correggere il principio edonistico con un altro principio; che questo può essere chiamato altruismo, o, se vi piace, solidarietà, ma che la cooperazione è il metodo pratico per organizzare e sviluppare questo principio. Poichè la tendenza della cooperazione deve essere non di subordinare l' egoismo ali' altruismo - come si è espresso Lord Grey nel suo discorso parecchio ottimistico - ma di riconciliarli entrambi. E i seguaci di questo indirizzo pensano che in questo modo essi seguono il corso tanto dell' economia come della morale. D' altro canto, gli economisti della scuola liberale, nuova e vecchia, sostengono nella maniera più categorica che, purchè sia lasciato perfettamente libero, lo scambio è sufficente ad assicurare non solo il massimo di utilità ali' individuo e alla collettività ma anche di effettuare la più ampia distribuzione di giustizia, almeno per ciò che è possibile fare in questo mondo. Qui bisogna separarci dalla loro compagnia Hic saltus ! Nel suo articolo sopracitato sul forte e il debole, il Pantaleoni stesso ci fornisce un eccellente esempio che ci permette di apprezzare questa divergenza di opinioni. Egli ricorda il celebre contratto di Esau e Giacol>be, non si domanda quale giudizio egli deve farsi cli questo contratto dal punto di vista edonistico, e si mostra un poco imbarazzato. Certamente dal punto cli vista del!' economia politica pura, la transazione non ammette eccezioni. Quale difetto si potrebbe scorgere in essa? Non venne forse stipulata liberamente, e, di conseguenza, non dovette produrre il massimo di utilità per ambedue le parti? Con quale autorità potete affermare che Esau fu virtualmente ingannato?

19 Ciò sarebbe vero soltanto se il diritto di primogenitura al quale egli rinunciò fosse stato per liti di meno valore del piatto di lenticchie che ottenne. Ma la testimonianza della parte interessata, il fatto che egli volontariamente accettò lo scambio, è una prova incontestabile che ciò non fu. Sarebbe una impertinenza pre-• tendere di essere miglior giudice del suo interesse di quello che egli non sia stato. Nel momento in cui il contratto fu conchiuso, la primogenitura fit sicuramente di minor valore del piatto di lenti. Ciò che scandalizza le nostre anime candide è il pensiero del mal ottenuto profitto di Giacobbe alle spese di Esau, del suo acquisto di una cosa che valeva un milione <ii volte più di quella che cedeva! Tuttavia, dal ))Unto di vista edonistico, questo modo di ragionare è del tutto errato, poichè nulla ci autorizza a sostenere che Giacobbe guadagnò più di Esau nel contratto, o, ad ogni modo, che egli guadagnò troppo. Per sostenere ciò, sarebbe necessario conoscere se il diritto di primogenitura fu realmente di maggior valore (di maggiore ofelimità, per usare l' espressione di Pareto) per Giacobbe che non per Esau. Senonchè, questo non si può fare, poichè, mentre è possibile paragonare due desideri nella mente di un individuo, è impossibile paragonare due desideri in due menti. Non c'è una misura comune di cui servirsi, non c'è mezzo per passare dall' una all' altra, non c' è ponte, per adoperare la ben nota frase del prof. Wicksteed. Qui, certamente, siamo al punto culminante dell'individualismo! Quando la vecchia scuola sosteneva, senza dubbio arbitrariamente, che al contrario tutti gli uomini sono uguali, che le loro sensazioni e valutazioni sono più o meno identiche, crediamo che essa era più vicina alla realtà. Ma, strettamente in accordo col principio del puro edonismo, la argomentazione è inconfutabile. Nullameno, non si deve pensare che il Pantaleoni non sia consapevole di quanto la sua conclusione strida col senso di giustizia che è innato in ognuno di noi, od anche col nostro senso comune. Di

20 conseguenza egli va in cerca di una via d'uscita, cioè cli qualche criterio scientifico che gli sia garante per decidere che questo particolare contratto fu ingiusto. Ed egli afferma che occorre paragonare lo scamhio che Esau fece con quello che avrebbe fatto se fosse st~ito nel suo stato normale, cioè se non fosse stato aUam:.tto. ln questo caso si può sostenere essere sommamente probabile che al personaggio biblico sarebbe sembrato cli maggior utilità la sua primogenitura che non il piatto di lenti. Io non sono preparato a dire quanto queJto criterio sia buono, poichè occorrerebbe ancora stabilire la «anormalità» di essere affamato. Quel che è certo è che, purtroppo, questa anormalità è uno stato assai normale per un gran numero di nostri simili. E, se noi dobbiamo ritenere come viziati tt1tti i contratti nei quali una delle parti è pressata dalla fa.me o da qualche altro urgente bisogno,, noi abbiamo eia percorrere un ben lungo cammino, poichè noi abbiamo sollevato nientemeno che il problema della legittimità del salariato, del prestito ad interesse e dclb rendita. ln -ogni mome11to le nostre relazioni sociali ci pre- ~entauo casi analoghi a quelli di Esau e sollevanti le ;,Lesse questioni. Quando uno di quei grandi chirurghi, elle un romanzo francese ha bollato col nome di « morticoli >> domanda ad un paziente sotto il suo bisturì la somma cli 100,000 franchi per un'operazione, dall'angolo visuale del!' edonismo non c'è nulla da obiettare. Il paziente ha gettato in un piatto della bilancia il sagrificio della somma che de~e sborsare, nell' altro la soddisfazione cli essere salvato dal)' esecuzione della operazione, e ha visto che l' uno controbilancia l' altra. Nella stessa guisa tutti gli avvocati, artisti, ingegneri, ammini·stratori - tutti, grandi e piccoli, che traggono dai loro servizi o prodotti il massimo valore conccss~ cl2i bisogni degli altri - tutti costare agiscono come no-ì Giacobbe e sono assolti dal!' edonista. Ma la cooperazione non li assolve affatto. Noi pensiamo che in un mondo cli organizzazione

2I cooperativistica gli uomini non sarebbero assolti nel- )' ottenere il massimo di utilità dai loro prodotti o servizi, e che per converso non sarebbero intenti a pagare per i prodotti e i servizi degli altri il tasso minimo risultante dalla legge della domanda e dell'offerta. A testimonianza di questo asserto basta guardare ai direttori delle Società cooperative e dei magazzini ali' ingrosso che amministrano affari di parecchie diccinc di milioni ricevendo i.n compenso onorari che non accontenterebbero gli amministratori di aziende p,rivate assai modeste. Bene, osserva allora il Pantaleoni, se voi domandate alla gente di accettare meno del valore totale dei loro servigi, o se, inversamente, voi preferite dare più di questo valore, quale è fissato dal mercato, queste persone danno o ricevono la differenza gratuitamente. F ciò equivale a dire che essi dànno o ricevono carit:ì. Chiunque pretende meno cli quanto gli è dovuto, per esempio I' amministratore filantropico testè menzioi1ato, o chiunque ottiene più cli quanto g-li è dovuto, fa o riceve elemosina. Confessate francamente allora che voi avete sostituito al principio edonistico il pri11c: rio caritativo. Si dr ·e confessare che quest'ultima parola è bene ~celta. E' beffardamente spiritosa, e non e. ito a dire che essa ci pone un po' in imbarazzo. Poichè, in realtà, i cooperatori hanno sempre ripudiato sdegnosamente qualsiasi .approssimazione tra la coo.perazione e le opere di carità (1). Credo fermamente che quei direttùri, ai qnali ho alluso poco fa, non hanno alcuna idea di distribuire doni ai loro consoci, e che questi ultimi sono aucora più lo1~tani dal pensiero di accelt~rli. Nulbtnei10, è cl' uopo ammettere che c'è un po' di veri1 :ì. ncll' arg-omcnto messo innanzi, e che non si vede chial''.!!i1c;1te e precisame;1tc il punto cli demarcazione tra (r) Que~ta id::a venne ripudinta anche al Congresso di Pcterhorough. li sig. Rrown disse: " Ciò che gli operai desiderano sono maggiori mezzi di miglioramento sociale, miglior ambiente, senza ricorrere al patronato o alla carità di chicchessia 11•

22 il principio dell' altruismo o mutualismo e il principio «caritativo>> - ancora meno chiaramente e precisamente se la parola carità venga presa nel suo senso etimologico di amore, il senso adoperato da San Paolo quando scrisse che della fede speranza e carità, l' ultima era la più grande. E, se io fossi costretto ad ammettere che per mezzo della cooperazione viene introdotto nella vita sociale questo elemento cieli' amore, non per questo riterrei che la cooperazione sarebbe screditata o indegna di attrarre l' attenzione degli ·scrupolosi. Ciò potrebbe anzi spiegare perchè la cooperazione ha sempre avuto il particolare privilegio di essere allo stesso tempo una specie di religione e una materia cl" affari, e perchè un socio della Socie•tà Il ebden Bridge, un semplice fabbricante di fustagno come Giuseppe Greenwood, abbia potuto dire una volta: « sentiamo che stiamo facendo opera divina». Nè alcuno ha il diritto di dire che questa caratteristica rimuove la cooperazione dal campo della scienza. Certamente è oltre il palo di quella scienza che va pel mondo sotto il nome di economia pura, e che tien conto soltanto del movente dell' interesse personale. Se non che, può venire il giorno nel quale il principio caritativo, o, se volete, le forze etiche, potranno essere sviluppate in equazioni così bene come i principi dell' edonismo, e potranno formare a loro turno l'oggetto di una scienza esatta ( 1). Anche ora non è irreconciliabile con quella scienza che può essere chiamata economia sociale o sociologia, e che esamina tutte le relazioni sociali. Poichè l' osservazione e la storia sicuramente rivelano il funzionamento di questo principio cieli' amore nel mondo sotto diverse forme, fianco a fianco col principio dell'edonismo. Nessuno pertanto dica che no; creiano chimere. All'opposto, è l'uomo economico (ho111,oa?conomicus) che è una chimera. Senza dubbio gli economisti hanno diritto di immaginarlo e di stt1- (1) Vedi a questo riguardo un saggio pubblicato da Winiarski sulla Meccanica sociale.

diarlo, come un naturalista può studiare nel suo laboratorio uno scheletro appeso a un filo. Ma si lasci a noi il diritto di studiare l' uomo reale, l' uomo concreto, l' uomo sociale, I' uomo vivo! E si conceda alla cooperazione il diritto di cercare come questo uomo completo possa essere realizzato - non creato, poichè, ripeto, sempre c'è stata e sempre ci sarà questa creatura n1!ezzo egoistica, rnezzo altruista - come esso si possa sviluppare essendo posto in un ambiente favorevole e dotato di istituzioni adatte alla sua reale natura. Bandite, se volete, la cooperazione dal dominio dell' economia politica pura; senza di essa resterà sempre un mondo, un grande mondo. Questo mondo sarà il nostro. Quanto all' ambiente favorevole, noi non crediamo che la concorrenza sia capace di assicurarlo. La concorrenza è un mondo che, preso a sè, non significa nient' altro che l' azione di parecchie persone le quali aspirano alla stessa mèta. Ma l' effetto della concorrenza può essere benefico o disastroso a seconda che la meta è buona o cattiva. Tra i leoni la concorrenza dovrebbe assicurare la sopravvivenza di quelli i cui artigli sono più acuminati e i cui denti più forti nello sbranare la preda. E in una società nella quale gli uomi11i fossero mossi solamente dal loro interesse personale, il risultato sarebbe senza dubbio quello di creare una razza di uomini cli preda s.imili a quella razza cli giganti cli cui la terra fu purgata dal diluvio. Ma in una società inspirata al principio «caritativo», in una C-ittà d-i dio, ove il potere del perverso sarebbe annientato e ove la mercede del peccato sarebbe la morte, la competizione creerebbe una razza cli santi, che attuerebbero il motto del Vangelo: « Chiunque perderà la sua vita, la ritroverà ». Di conseguenza sarebbe assurdo dichiararsi con anticipata conclusione pro o contro la concorrenza. Essa è uguale alla lingua di cui si parla in una favola di F.sopo: può essere la miglior cosa possibile o la peggiore cli tutte. Noi dobbiamo guardarci di condannarla

24 in blocco, e di tenerla responsabile ( come hanno fatto akurii socialisti) di ogni specie di iniquità sociale. Ma a;,c0ra rnc:no dobbiamo proclamarla (sull'esempio degli cco110111istiliberali) come capace per sua virtù innata cli Li:irci la giustizia nella distribuzione, la libertà nella prod11zione, l'equilibrio tra la produzione e la distribuzione, ccc. I oi non possiamo. ammettere come un assicma la proposizione formulata per la prima volta dai Turgot con ammirevole concisione, e che successive generazioni di economisti hanno soltanto elaborato, cioè: « Solo la concorrenza può stabilire il giusto prezzo delle cose ì> - 1111sentimento che recentissimarnente abbiamo trovato anche in un libro, per altro verso rimarchevole, di un giovane professore cli filosofia: « la giustizia non è eguaglianza, ma equivalenza, e all'equivalenza si può giungere solo per mezzo delb concorrenza. Perciò la concorrenza non è guerra; essa è giustizia, legge, pace ( I). Essa può essere tutto ciù, ma può essere anche tutto il contrario. E' proba1Jile che in una società composta di uomini onesti essa rort rcbbe ai prezzi più giusti, alla migliore qualità dei pro<loai, e anche alla sopravvivenza dei più onesti. Ma in u1i:1. .,ocietà composta di gente cli pochi scrupoli, come succede in tutte le nazioni sieno esse incivilite o meno, essa porta allo sfruttamento ciel consumatore coll'adulterazione delle merci e allo sfruttamento del 1::ivoratore col cosicletto sistenw del sudore (sweatù1g s'ystnn). E 11011 tende affatto alla sopravvivenza dei più onesti, ma piutttosto alla loro eliminazione. Perciò dobbiamo cercare 11011 di abolire la concerrenza, ma di trasformarla, r primendo tutto ciò che in essa porta alla detcrioraziolle, al regresso, allo sfruttamento, e sviluppando tutto ciò che in essa tende al progresso e :11 111igliora111e11to.E per molte ragioni pensiamo che la cooperazione possa svilupparsi seg11cndo quest'ultima linea. Le nostre ragioni principali sono: - Nella prc- (r) Goblot, EssRi sur la Classification des Scùmces.

sente organizzazione economica ciò che rende la concorrenza così aspra, - una vera « lotta per la vita 1) - è la ricerca del profitto. 11 profitto è la meta di ogni attività economica. Tuttavia non ci sono motivi ragionevoli pcrchè le cose sicno così e non altrimenti. Il solo oggetto della produzione, il motivo della sua esistenza, è la soddisfazione dei uisogni. L'interesse della società è di provvedere nel miglior modo possibile ali' interesse del maggior numero. Posta su queste linee la concorrenza darebbe soltanto buoni risultati - buon mercato unito all'eccellenza della qualità. L'interesse dcli' individuo è di realizzare il maggior profitto possibile. Ed è perchè la concorrenza è stata spinla su queste lince che essa è diventata una lotta a coltello. Ora, che fa la cooperazione? Noi l'abbiamo già eletto: 1. - La cooperazione sopprime il profitto, e per ciò elimina la concorrenza che conduce al profitto; -- 2. - Essa mette il potere nelle mani del consumatore e così dà alla produzione lo scopo di soddisfare direttarnentc ai bisogni. Da entram11i i punti di vista essa è pertanto esattamente il rimedio necessario alla malattia. Non abolisce la concorrenza, ma la indirizza sul giusto cammino. In questo modo anche, poggiando la produzione interamente su di un sistema ordinato, è probabile che la sovraproduzione e tutte le crisi che quest' ultima trae scco possano essere evitate. Naturalmente si capisce che noi parliamo di un teoretico sistema cooperativistico generalizzato o di un cooperativismo integrale. Nel far ciò noi siamo nel nostro diritto molto più che le critiche del Pantaleoni si appuntano unicamente contro la teoria della cooperazione. Noi non ignoriamo il fatto che la caccia al diz•idnido è il grande malanno della cooperazione e che ha ispirato il melanconico articolo dell' Ackland, intitolato: « La Cooperazione è destinata a fallire! », al quale abbiamo più sopra accennato. Ma non si puo cqttamente aspettarsi che associazioni, nate e cresciute in un'atmosfera satura di avidità per il profitto, possano interamente riuscire a liberarsi dalle influenze

ambie11tali e ad acquistare un nuovo spirito. E' vero che da molti si ritiene che la cooperazione si trova a questo riguardo in un periodo di regresso, e che mostra meno disinteresse che non nel suo periodo eroico. E, se questo fosse un fatto accertato, sarebbe un sintomo inquietante. Ma. la probabilità è che si tratti solo di una illusione ottica. Il numero totale dei coopera:tori è cresciuto un po' troppo presto, più presto ad ogni modo dei soci coscienti e f crventi, di guisa che questi ultimi si sono trovati a rappresentare una piccola proporzione in confronto alla massa totale. Per mutare questo stato di cose dobbiamo aspettare che l' educazione aumenti il numero dei veri cooperatori degni di essere annoverati tra gli eredi dei pionieri di Rochdale. In og11i caso, il fatto che questa « caccia al dividendo » è ritenuta essere un tradimento ai veri principi della cooperazione e provoca costantemente le più vivaci proteste, è sufficente a giustificare la nostra tesi. Inoltre, per quanto possa essere imperfetto il sistema cooperativistico e per quanto possa essere lontano dal suo ideale, tuttavia è evidente che già fin d'ora co:1 esso la concorrenza non si svolge con la stessa feroci a cli quella propria al regime capitalistico, ma è realmente mitigata dall' esistenza di una genuina solidarietà. Per esempio, tutte le volte che nasce una nuova società cooperativa, essa si trova faccia a faccia con una torma di lupi voraci sotto forma di imprese rivali che cercano di strozzarla in fasce colla vendita dei suoi articoli a un prezzo inferiore al costo e coll' allettare in tutti i modi i suoi clienti. Al contrario essa vede intorno a sè sorelle maggiori che la salutano,. le prestano assistenza sia direttamente o coll' intervento dei loro magazzini ali' ingrosso o delle banche. Anche le più povere e piccole società godono il grande privilegio di trovarsi fin dagli inizi in una posizione così favorita come le più ricche ed antiche. Esse possono procurarle beni e capitali alle stesse condizioni. E, se ciò non è realmente un nuovo fenomeno nella storia economica, io non so che cosa sia !

~7 Ma la éoncortenza non è la sola forma di conflitto nell'umanità. Essa soltanto separa interessi che sono simili. Più le aziende rivali si rassomigliano tra di loro, più esse sono specializzate, e più aspra diventa la loro reciproca concorrenza. Ora, nelle lotte più serie, di quelle che di solito vengono in mente quando si parla di « questione sociale» gli interessi in conflitto sono divergenti come nel caso di venditore e compratore, creditore e debitore, padrone e operaio. La cooperazione non apporta forse qui un nuovo principio un metodo di organizzazione col quale queste forze antagonistiche possono essere riconciliate, mentre col lasciare fare erano lanciate le une contro le altre in un perpetuo combattimento? A nostro avviso, questo è sicuramente il carattere esenziale della cooperazione. Noi abbiamo in parecchie occasioni insistito su ciò, e ora ripetiamo che il reale criterio della cooperazione è di riconcil1:are interessi opposti in una stessa associaz-ione. La definizione è più comprensiva di quelle discusse e formulate dal Pantaleoni, poichè si ap,plica senza eccezione a qualsiasi forma di associazione cooperativa. Che è, 111 fatto, la cooperazione di consumo? Un gruppo cli consumatori organizzati in modo da essere i fornitori di sè stessi. Qui sparisce quell' antagonismo tra compratore e venditore che ha dato origine a così numerosi conflitti, a tante ribalderie e menzogne e che ancora trova la sua espressione ingenua in certi negozi di provincia e nei bazars orientali. Nelle Società cooperati ve di distribuzione, il prezzo al quale sono venduti i beni non è di grande importanza agli associati. Se è alto, ad essi sarà restituito l'eccesso di pagamento sotto forma cli dividendo. Se è basso, il guadagno sì presenta sotto una forma più diretta. Compratori e venditori allo stesso tempo, i soci uniscono in sè stessi i loro interessi opposti. Ogni cooperatore porta in sè due uomini in reciproco conflitto. La lotta è pertanto spostata. Essa non infuria più tra due individui, come nel presente mondo economico, ma si

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