Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

CAP. I. — FRANCESCO ckNcr se nè pianto, nè sangue, nè nulla vale a fecondare sopra quésta terra un flore di virtù'! Il Conte si appressò al balcone, e, fissato il maestoso luminare, mormorò detti segreti. Marzio, letiziato a tanta bellezza di cielo e di luce, non potè trattenersi da esclamare: — Sole divino!' A queste parole gli occhi del «onte, per ordinario spenti, corruscarono a modo di baleno dentro una nuvola, e gli av— ventò contro al cielo. Se è vero che Giuliano l' apostata lanciasse contro il cielo il sangue, che gli scorreva dalla ferita mortale, deve averlo gittato come quel guardo, e con quella intenzione. Marzio,.se il sole fosse una candela, che soffiandovi sopra potesse spegnersi, .la spegneresti tu? — Io? Le pare, Eccellenza! — lo lascerei acceso. — Io lo spegnerei. Caligola aveva desiderato al popolo romano una testa sola, per recidergliela con un colpo; il Contò Cènci avrebbe vo— luto stritolare il sole. Povera creta! Se il sole si accostasse, la cenere della terra non occuperebbe spazio nell' universo. Si assise al banco; apri, e lesse una, due e tre lettere, pacato in prima, poi precipitosamente; al fine, scorsele tutte, proruppe con orribile bestemmia: — Felici tutti! Ah Dio! tu me lo fai proprio per dispetto. E chiuso il pugno, abbassò il braccio con quanto aveva di forza: caso volle che colpisse in mezzo alla fronte Nerone, il quale col muso levato e gli. occhi pronti seguitava i moti del suo signore. Il cane diè un balzo di furore, poi irruppe contro la porta, ne spalancò le imposte, e fuggì via sbuffando. Il Conte gli mosse dietro richiamandolo, non senza aver prima con nn suo riso amaro osservalo: — Vedi, Marzio , s' ei fosse stato un figliuolo mi avrebbe morso!

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