Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

CAPITOLO Xtie DELLO ASINO. Sol l' Asino genti!, l' Asino fino Lodar si debbe, e mi par che sia quello Da scriverne in volgar, greco, e latino. GAB. SIMEONI, Cap. dell' Asino. E _ Verdiana si era fatta venti volte alla finestra; altrettante si era posta ad annoverare i passi, che secondo i suoi calcoli la canonica distava da Roma. Scese sul prato; e comecchè tremolante su le gambe, si stese boccone, ed accostò le orecchie a terra per udire qualche lontano rumore, che le annuaziasse il ritorno del Curato; — niente. Sorse, cantò le litanie, lo stabat Mater; recitò dieci volte il rosario, e poi si spazientì. — Oh! vedete, borbottava, quanto mai tarda quel benedetto uomo stamani.... ma che stamani? Ormai è passato vespro, e qui la minestra diventa tutta una pania. lo per me non so chi mi trattiene da desinare sola; e se poi giunge, e non potrà mangiare, suo danno. Ma forse sarà trattenuto da qualche faccenda.... o forse qualche malanno sarà capitato addosso a Marco (Marco era l' asino che cavalcava il curato)... od anche al povero reverendo. Ahimè! meschina, che cosa io Vado immaginando? E perchè non potrebbe essere questo? Se male può incogliere a Marco, non ci è ragione perché non possa succedere anche al curato. Santissimi Vergine! pur troppo in fatto di disgrazie non corre differenza alcuna fra Marco e il Curato, e per tutti, o vogli uomini o vogli bestie, cileno stanno sempre apparecchiate come le tavole degli osti.

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