Una città - anno VI - n. 49 - aprile 1996

{.-?, :j ;~~: ;;l,:Hti lf.'Jf1 11i f[J I(.f@i Jt,;: "%>" JY(i; é;> Il lavoro dell'insegnante "facilitatore" impegnato nell'inserimento nella nostra scuola dell'obbligo di ragazzi extracomunitari. Il problema degli scolari cinesi, che si ritrovano sui banchi senza sapere una parola di italiano, con problemi fonetici quasi insuperabili mentre, per di più, continuano a lavorare di pomeriggio. La lingua italiana, materia da improvvisare. Il problema dell'etnocentrismo dei testi. Intervista a Fiorenza Tedeschi. Fiorenza Tedeschi insegna a Milano, al complesso sperimentale Casa del Sole. Tu lavori come facilitatore culturale. Puoi spiegare? Da sei anni lavoro ad un progetto per l'integrazione dei ragazzi stranieri nella scuola. Il mio lavoro ha principalmente due funzioni: l 'insegnamento della lingua italiana come seconda lingua e l'integrazione e accoglienza dei ragazzi al1'intemo delle classi, con un 'attenzione particolare a quella che può essere definita un'educazione interculturale. Qui il problema costituisce un'emergenza forte: Milano infatti scolarizza, mi sembra, un quarto di tutti i ragazzi stranieri che frequentano le scuole in Italia. La situazione è particolarmente problematica per i ragazzi cinesi o arabofoni, perché all'ingresso ne·Ila scuola non esiste per loro alcuna . possibilità di comunicare; non esiste neanche una lingua veicolare, perché i ragazzi cinesi non sono ancora in grado di comunicare in inglese e i ragazzi arabi, a seconda delle regioni di provenienza, non parlano assolutamente né francese né inglese. Nella mia scuola i ragazzi stranieri rappresentano il 20% circa degli alunni e la loro conoscenza dell'italiano varia moltissimo, per cui fonniamo dei gruppi di livelli diversi, facendoli uscire dalle classi negli orari in cui hanno materie che richiedono maggiori capacità astrattive della lingua, come Italiano, Storia, Scienze, mentre seguono più o meno regolannente materie come Educazione Artistica, Educazione Fisica o Musicale durante le quali possono comunicare anche attraverso linguaggi non verbali. Al primo livello ci sono ragazzi che non parlano assolutamente la lingua italiana, poi abbiamo un secondo e un terzo livello. Alla fine di un corso di tre anni questi ragazzi parlano un italiano più o meno corretto anche se poi occorrerebbero loro altri due anni per perfezionare la conoscenza della lingua. Alle medie, infatti si pretende che i tennini siano già acquisiti, che si possieda un lessico specifico per la storia, la geografia, le scienze. Ci sono colleghi che pretendono che leggano Boccaccio e Ariosto. Come avviene l'insegnamento della lingua italiana? Nelle scuole in cui sono stata vengono messi insieme ragazzi che provengono da paesi diversi: turchi, arabi e cinesi, a seconda della loro conoscenza dell'italiano. Insegniamo loro a comunicare; si inizia dalle prime cose, saluti, convenevoli, si insegna loro l'alfabeto, perché per esempio non tutti i cinesi hanno imparato la traslitterazione dei suoni, cioè il passaggio dalla fonetica degli i-deogrammi alla nostra. Si punta innanzitutto sulla acquisizione orale di alcune abilità. Dopo si passa alla fonnulazione scritta, altrimenti la cattiva acquisizione del suono porta anche a sbagli nella scrittura. Icinesi hanno il problema della "erre", che è sempre "elle", gli ispanofoni hanno la "bi" invece della "vi", gli arabi hanno la "bi" al posto della "pi", i suoni non sono quelli del nostro alfabeto. Certo non puoi pensare di insegnar loro in un giorno, in una lezione: "io mi chiamo, tu ti chiami" e poi ti fermi al "lui si chiama". Devi inserire il genere femminile e non è facile, sono concetti complessi, perché non tutte le lingue hanno queste distinzioni: singolare, plurale, maschile, femminile; a volte anche i gesti sono diversi; questi ragazzi devono acquisire una gestualità che non è la loro, decodificarla. Si fanno giochi di ruolo, si simulano situazioni linguistiche,dal panettiere all'ufficio postale, perché l'acquisizione di alcune funzioni della lingua avviene solo attraverso lo scambio e il dialogo. Altrimenti veramente torniamo ai tempi in cui studiavamo l'inglese oome il latino e il greco, con le traduzioni e la grammatica a me1,11oriaM. a occorre veramente calma, lentezza: passato, presente e futuro sono concetti che la lingua italiana ha in modo netto e definito; altre lingue non hanno questa distinzione, quindi devi dar loro la possibilità di poter apprendere questi concetti, di calarsi ancora di più nella nostra realtà linguistica. Dunque, lentezza, calma, soprattullo per rispettare la fase silente, che è fondamentale. La fase silente è il momento in cui i ragazzi sono bombardati da suoni, strutture e li devono mettere in ordine. Comunicano solo nella loro lingua o con i gesti, ma in realtà è un momento in cui lavorano moltissimo perché stanno elaborando strutture e suoni che poi verranno fuori. E' quindi una fase che va rispettata. Passato questo stadio, che può essere di mesi ed è tipico dell 'apprendimento di qualsiasi lingua straniera, è come se nascessero. Di botto iniziano a parlare ed è un'emozione incredibile. Ma ali 'inizio devi usare un vocabolario limitato, dare loro sempre le stesse strutture ed usare dei rituali continui, anche per dar loro delle certezze, delle ritualità: "Buongiorno" o "Arrivederci" quando vai via. Si trovano bombardati da suoni, da abitudini scolastiche diverse, spesso arrivano da scuole dove c'è l'alzabandiera, la marcia, l'inno o anche la divisa. E questo non solo in Cina, ma anche in America Latina. Quindi hanno bisogno che qualcosa sia sempre uguale: suona la campana e si entra in classe, a metà mattina c'è I'intervallo e così via. Come avviene e che problemi pone l'inserimento nelle classi? Si tenta di fare il discorso della interrelazione, cioè di una comunicazione paritaria fra culture diverse, che presupponga un arricchimento collettivo. Faccio un esempio banale: da un ragazzino cinese è possibile imparare aspetti della sua cultura, dei suoi giochi, ad esempio a costruire un origami, a riciclare la carta, le lattine. Il grosso problema è valorizzare la cultura di origine di questi ragazzi -cinese, araba, swahili- e fare sì che mantengano il bilinguismo. Spesso la scuola dimentica che se un ragazzo PBM - Piccola Biblioteca Morale collana diretta da Goffredo Fofi Titoli pubblicati: A. Cucchi-V. Magnani, Crisi di una generazione, lire 8.000 A. Caffi, Critica della violenza, lire 8.000 Don L. Milani, La ricreazione. lire 8.000 A. Langer, La scelta della convivenza, lire 8.000 edizioni e/o, v. Camozzi. 1 - 00195 Roma parla una Iingua considerata forte o comunque prestigiosa, come I' inglese o il francese o anche lo spagnolo, questo fallo viene valorizzato e il ragazzo si sente motivato e importante, ma se un ragazzo parla arabo o cinese -magari un dialetto, neanche il mandarino- spesso viene costretto a dimenticare la propria lingua di origine, con grossi problemi a livello emotivo, perché la lingua madre è la lingua degli affetti, della casa, la lingua che il ragazzo continua a sentire infamiglia. Allora occorre trovare dei momenti in cui sia permesso parlare la loro lingua, per non interrompere il processo di identità, la continuità con le loro origini. li problema dei ragazzi è che, appena arrivati, vogliono a tutti i costi assimilarsi ai ragazzi italiani, ed ecco allora i giubbotti alla moda, lo zaino, il diario; i ragazzi cinesi cambiano il nome, nei primi tempi cercano un suono simile al loro nome, Chiara, Anna; a volte cercano di italianizzare anche il cognome: oppure fanno cose come lavarsi moltissimo, perché vogliono essere simili ai ragazzi italiani. Avevo un ragazzo peruviano, scuro di pelle, che per un certo tempo non mangiava più la cioccolata perché altrimenti sarebbe diventato ancora più '·negro", come diceva lui. Inoltre la scuola italiana è diversa da quella cinese; è più libera, ci sono meno alunni per classe. Il ragazzino cinese frequenta in genere una scuola che ha 50 alunni, dove ogni mese bisogna arrivare a un dato punto del programma; è tutto fisso e stabilito. E' un tipo di apprendimento più mnemonico che credo sia legato anche alla lingua cinese, ali' esercizio, a quella grossa pazienza per imparare tutti gli ideogrammi: studiano 5 anni per acquisire quei 4000 caratteri che servono per leggere un giornale. D'altronde la Cina non è solo Pechino, la Cina è la campagna. Ricordo una ragazza che si è iscritta a scuola alla fine di gennaio. L'ho vista un giorno spaventatissima, non riusciva ad attraversare la strada, le macchine la spaventavano; veniva da un paese di montagna ed era in Italia da una setlimana. Il primo giorno di mensa si è dovuta cimentare con le posate e non le aveva mai usate, per fortuna non c'erano gli spaghetti. E quello che scrivono di Milano è che ha tante macchine e tante cacche di cane, perché loro non hanno il rapporto che abbiamo noi con gli animali. Oppure c'è il problema della figura paterna: spesso questi ragazzi hanno un nucleo familiare che non è più quello che conoscevano nel paese d'origine. I ragazzi di cultura araba avevano un grande rispetto per la figura paterna. Adesso il padre, arrivato in Italia, fa un lavoro molto umile, non trova nessun riconoscimento all'interno della società e spesso è il ragazzino che deve svolgere compiti di interprete per cui la figura paterna non ha più il ruolo e l'importanza che aveva nel paese d'origine. Spesso poi abbiamo dei ragazzi cinesi che lavorano; arrivano a scuola dopo aver lavorato tutta la notte: fanno borse, cuciono vestiti o lavorano in ristoranti. Questo non deve scandalizzare: è il loro concetto dell'unità produttiva della famiglia confuciana; tutti devono contribuire nello stesso modo e questo non è avvertito come un dramma, per loro lavorare è nonnale anche perché occorre restituire i soldi spesi per venire in Italia. Quindi a volte questi ragazzi sono più maturi e adulti perché devono affrontare un mondo quotidiano che è diverso dal loro e conoscono una realtà che i ragazzi italiani non conoscono asso Iutamente. Non c'è un limite nel fatto che il lavoro minorile andrebbe comunque perseguito? Ti sei posta questo problema? Il problema me lo sono posta, ma poi che possono fare? Tornano in Cina a far la fame? D'altronde non mi sembra che lorosoffranodi questa situazione. fl dramma è che cominciano a ribellarsi a questa situazione, però sono giovani e per loro ribellarsi significa andare a lavorare in un ristorante piuttosto che col babbo e la mamma. Non tutti riusciranno a continuare la scuola fino alle superiori, perché alle superiori il discorso diventa brutale: un ragazzo in Italia da tre anni avrebbe bisogno ancora di altri anni per apprendere perfettamente la lingua, e non bastano le tremila parole più frequenti. Sono tutti in regola con i permessi di soggiorno? Prima potevano iscriversi a scuola soltanto ragazzi che erano in regola col permesso di soggiorno. Però questo violava la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo e dell'Uomo, che pure l'Italia aveva ratificato,

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