Una città - anno V - n. 40 - aprile 1995

clelpaziente senza speranza: è il tragitto di quei ùaribile non è più considerata incurabile. L'uso di poter vivere dignitosamente e normalmente reoccupazione di lasciare un figlio senza futuro. che non si rassegnano. Intervista a Luigi Saita. aspetto? Il contesto sociopsicologico è fondamentale, influenza in modo a volte decisivo il problema della qualità della sopravvivenza. Ricordo una paziente che aveva un figlio gravemente ammalato da un punto di vista neuropsichiatrico. Era una paziente giovane che sapeva di stare per morire di un tumore alla mammella. Ebbene i dolori erano forti, non si riusciva a controllarli; morfina, farmaci, niente serviva e sembrava che ogni giorno la donna andasse sempre peggio, che la sofferenza fosse eccessiva o comunque mai tollerabile, finché non si è riusciti, con interventi dell'assistente sociale, dello psicologo, dell'infermiera, del medico finalmente a capire bene come stavano le cose: la signora non si dava pace a lasciare il figlio che aveva bisogno di lei. Allora ci si è mossi in quella direzione e quando la signora ha potuto definire con la nostra assistente sociale un istituto di suo gradimento dove sarebbe andato suo figlio, il giorno dopo non aveva più dolori. Un caso come questo, inoltre, mette in evidenza l'importanza del lavoro d'équipe: è importante essere più di uno perché magari con uno non si parla, con l'altro neppure, ma con il terzo invece sì perché ha schiacciato il pulsante giusto. Un altro esempio: un padre che stava morendo lasciava la figlia che era senza lavoro ed anche in questo caso il paziente aveva dolori incontrollabili, agitazione, che rendevano molto problematico e difficile il lavoro degli infermieri. L'intervento del- !' assistente sociale e della Lega dei Tumori che in questo caso trovò un lavoro alla figlia, fece sparire agitazione e dolori incontrollabili. Questo per dire come cambia la situazione di un uomo, di una donna che stanno morendo, in funzione di come verranno lasciate le cose e le persone che loro amano. In quei casi un figlio gravemente handicappato, una figlia senza lavoro, avevano creato, nella prossimità della morte, una situazione di stress emotivo-fisico per l'impossibilità e l'impotenza di fare qualche cosa nei riguardi di queste persone care. Ed è bastato il fatto che qualcuno se ne sia fatto carico per alleviare la loro sofferenza finale, perché morissero in maniera molto diversa da quella che li stava già attendendo. Incontrate anche dei rifiuti da parte di pazienti? Certo, si incontrano anche difficoltà a volte, perché i familiari vogliono far da soli o perché il medico curante vuol gestire da solo il caso clinico. Oppure può capitare, quando la segnalazione non è del paziente, ma di un familiare o di un medico curante che viene a chiamarci, che sia il paziente a voler star da solo o a non voler estranei per casa, e allora noi ci ritiriamo. Poi ci sono pazienti che sono molto oppositivi e che a me personalmente stanno molto a cuore perché sono quelli che hanno in mano la loro vita fino alla fine e per questo creano difficoltà. Sono quelli che vogliono continuare a decidere le cose, che si oppongono alle terapie oppure vogliono contrattare con il medico, che vogliono essere presenti a tutte le decisioni, che UNA c,rrA' UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Franco Melandri, Gianni Saporetti, Sulamit Schneider. >bri,Silvana Massetti, Franco Melandri, Morena Mordenti, ori: Edoardo Albi nati, Loretta Amadori, Antonella Anedda, a Betti, Barbara Bovelacci, Vincenzo Bugliani, Giorgio iianluca Manzi, Carla Melazzini, Linda Prati, Carlo Poletti, Jmberto Groppi e Marco Tarchi: Gianni Saporetti. A don ~troAdamo: Franco Melandri. A Luigi Saita: Marco Bellini. 'v1arcoBellini e Paolo Bertozzi. A Sergio Givone: Franco Sarajevo, aprile 95: a cura di Leyla Music e Fausto Fabbri. na: di Massimo Tesei. A pag.4 di Tano D'Amico. A pag.7 Editore). •. Fotoliti: Scriba. ~ITTA ': 40000 lire. Una Città a r.l. - Via Ariosto27, Forlì ·lì Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421 Una copia: 5000 lire magari un giorno ti dicono: "oggi non prendo gli analgesici perché così addormentato mi sembra di essere un vegetale, mentre invece il dolore mi dà l'idea di esserci ancora, anche se dopo non ce la faccio più". Ecco, con pazienti che hanno queste esigenze si instaura un rapporto particolare perché, a differenza di quelli che pur conoscendo la propria condizione mettono in atto difese mentali per cercare di nasconderla, di tentare di rimuoverla facendo spesso finta di non saper niente, questi hanno un'aggressività sana, vitale, dettata un po' dall'istinto di sopravvivenza; hanno l'arrabbiatura per il fatto di star per morire, un non adattamento alla situazione della malattia, alla costrizione di dover prendere medicinali oppure di non poter più camminare o dover stare a letto 24 ore su 24. C'è una ribellione a questa situazione ed è una ribellione che non è fine a se stessa ma è creativa, è costruttiva. Di quelli ancora a distanza di I O anni io ricordo nome e cognome. Con loro si crea un rapporto particolare, che richiede un impegno notevole non solo dal punto di vista del carico di lavoro, ma anche dal punto di vista ; •li;q ,J iotecaGino Bia CO emotivo perché ti trascinano sempre in una zona di confine, perché a un dato punto ti chiedono: "dottore, adesso si levi il camice, si sieda qua e parliamo da amici, lei mi deve dire se in questa situazione lei prenderebbe questo medicinale o meno, e non voglio la risposta da medico ...". E' allora che emergono domande molto impegnative sul senso della loro vita, sul senso della morte, sul senso dei rapporti tra gli uomini, sull'eutanasia, sulle terapie fatte e da te si aspettano risposte non convenzionali, non scontate. E uno può essere l'ateo incazzatissimo o il cattolico con dubbi oppure senza dubbi, ma che comunque chiede un colloquio per verifica, per discutere con un altro uomo della sua fine. E in ogni caso bisogna essere preparati a saper parlare con altri uomini che stanno morendo, della fine, dell'essere creature non immortali, di come poter tollerare la propria mortalità. Uno degli studi che stiamo facendo riguarda proprio questo tipo di paziente che chiede un tipo di intervento che noi chiamiamo "spirituale", nel senso non psicologico, ma filosofico e religioso, con domande di senso legate alla trascendenza. Quelli sono pazienti che chiamo "molto coraggiosi" perché è come se accantonassero un certo tipo di difesa "comoda", psicologica come la rimozione, il far finta di non essere malati o l'essere eccessivamente speranzosi o illudersi che tutto vada bene, per affrontare la realtà di petto con tutti i sentimenti e le emozioni degli uomini: la rabbia, la disperazione, la paura, l'angoscia, coscientemente. Poche ore prima di morire, una paziente che sapeva, m'ha chiamato indirettamente perché era venuto il marito a chiedermi qualche cosa e però sapevo che dietro questa richiesta c'era la richiesta di una visita non medica. Allora sono andato e sono stato un'ora e mezza con questa signora che stava morendo soffocata, che aveva una forte mancanza di respiro, dovu- ':, . ·. ), .. . ' . , .• . . ta a un'angoscia di morte. E tenendosi la mia mano sul petto lei m'ha detto: "adesso lei mi sente e sente cosa vuol dire avere l'angoscia di stare per morire, di sapere che tra un'ora, due ore io sarò scivolata giù in quella cascata, in fondo alla quale non c'è più niente ... sei qui su quel confine dove praticamente se fai un passo in là, vai giù e non c'è più niente, lasci tutto e questa angoscia mi fa battere il cuore a 300 ali' ora, mi famancare il respiro, mi fa sentire queste cose". Era una signora atea, che viveva la sua morte come la fine di tutto, nessuna trascendenza e che in punto di morte si chiedeva cosa sarebbe rimasto di lei. E lo chiedeva a me: "mi parli delle cose della vita, mi parli della morte, del morire". Voleva parlare delle cose che hanno senso in quei momenti Il, quando si sentiva vicina allo scivolo che l'avrebbe portata via due ore dopo. Questi sono aspetti del nostro lavoro dove l'essere medico richiede una capacità di colloquiare, di dare o non dare risposte, di cogliere parole, silenzi, rabbia, frustrazione e di entrare in uno scambio di sentimenti, in un'empatia con pazienti particolari, che sanno cosa sta succedendo. tra un'ora, tra due ore sarò scivolata via E' chiaro che non con tutti si ha questa intensità, con molti si ha anche freddezza, il paziente non reagisce o noi facciamo fatica o c'è una qualche incomprensione, insomma tutta la gamma degli sforzi che si mettono nelle relazioni interumane la ritroviamo anche in queste relazioni. Buona parte dei pazienti, poi, vive la morte più o meno senza averne una coscienza o comunque, se vi è una coscienza, è molto sfumata, perché molto spesso inqueste fasi la cachessia, le alterazioni metaboliche, i farmaci e tutto creano stati di coscienza che non sono sempre di lucidità. Buona parte dei pazienti arriva a questi momenti magari nel sonno o in uno stato in cui coscienza e sopore si alternano. E questa chiaramente anche per noi medici, per gli infermieri è una situazione più tollerabile. Penso che sia fisiologico che ci sia un grosso numero di pazienti che arrivi al momento in questo stato, che ci sia invece un numero di pazienti che arrivi addirittura in coma e che altri ci arrivino in piena lucidità. Bisogna quindi essere pronti a coprire tutti questi quadri clinici. Come vi difendete individualmente da questi lutti continui? Questo è un grosso problema e ognuno lo affronta come può, è chiaro che le difficoltà sono molte. A parte il lavoro con gli psicologi, che è importante, credo che la cosa principale sia il continuo confronto fra di noi. Di queste cose ne parliamo in continuazione, quando uno affronta problematiche così, poi istintivamente ne parla con gli altri e istintivamente gli altri ascoltano volentieri, si chiacchiera magari anche ore, si va fuori a bere la birra e si parla del caso ... non siamo i medici che devono scappar subito fuori perché hanno gli appuntamenti nello studio, i nostri tempi sono leggermente più elastici proprio per permettere di recuperare ... Individualmente poi uno reagisce come può. Certo, c'è anche chi magari prende 15 appuntamenti nello studio e lo fa per difesa, nel senso di dire: "sgancio, vado a fare altre cose", c'è chi va dall'analista ... ma, insomma il problema esiste. Io sto prendendo una laurea in filosofia e anche questo mi aiuta, avendo a che fare con temi come quelli della sofferenza, della morte e della vita. Ho tutte le interpretazioni che danno i pazienti e il fatto di essere un po' più preparato a capire come si pensa, da una parte mi affascina e dall'altra è un'altra moda] ità di difesa: cercare con la razionalità di capire un po' di più ... - , .!,,t. 2~~- . ..tz~ ~ .. '~;.. ... -....·;·.•,, . >::/· ~ · .. ,~!.·~;., ....... .,.•;(!/" .......... t . . ~ .». q,~ ! • •i:::-:.~~• ' t . , r. , t' ,.,, .. , , ' UNA CITTA' 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==