La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

assicura adeguata protezione, pompando centinaia di miliardi di commesse e di copertura delle diseconomie e delle perdite. Con gli stessi soldi gran parte dei 40.000 lavoratori dell'industria bellica po-- trebbero svolgere attività e lavori socialmente utili, con un ritorno di servizi sociali, attività di cura alla persona, piani di risanamento ambientale. Con un ritorno, dunque, di beni e ricchezza sociale. Recentemente in Italia il Terzo Settore si va organizzando. Si è costituito un Forum che raggruppa le associazioni e le organizzazioni di volontariato più importanti. Sono sorte nuove iniziative: la Banca Etica (di cui si è parlato in un precedente numero della rivista), il marchio Transfair, per il commercio equo e solidale, iniziative nel campo del credito sociale. In campo legislativo e parlamentare l'attenzione è ancora minima. Le imprese e la Confindustria hanno capito l'importanza e le potenzialità·del settore: hanno costituito organizzazioni non profit parallele e il "Sole 24 ore" segue con assi-. duità i problemi e le prospetti ve del volontariato e del Terzo Settore. La Chiesa cattolica è naturalmente coinvolta, mentre la Sinistra paga i suoi limiti di subordinazione culturali e teorici. 'Naturalmente il Terzo Settore non è un tutto omog~ne?· Volontariato, _associ_az10msmo e cooperazione sociale non sono la stessa cosa. E inoltre non tutto il Terzo settore è -buono e genuino .. Numismatici e associazioni di ronde metropolitane sono anch'esso Terzo Settore? E la non profit della Confindustria? Inoltre i regimi fiscali sono diversi e ancora confusi. Per la. stessa presiazi_one (ad esemp10 una conve_nz10neper l'assistenza ai bambini handicappati) possono essere çoinvolti un'associazione di volontari e una cooperativa: ma sono .diverse le condizioni economiche, i costi e le agevolazioni. Inoltre è ancora c.onfuso in Italia il quadro normativo e fiscale per i soggetti del Terzo Settore. Un esempio, tra i tanti: i lavoratori del Terzo Settore non hanno un inquadramento contrattuale unico. I lavoratori di molte associazioni hanno un contratto dei lavo-· ratori del commercio o dei servizi. Altri, un'altra cosa ancora. Su questo le istituzioni pubbliche e quelle econo- .miche potrebbero fare 1.m investimento diverso: contratti di formazione, salari sociali, contratti di avviamento al lavoro, agevolazioni sulla previdenza. Non privilegi, ma incentivi per attività produttrici di ricchezza sociale, di risparmio della spesa pubblica; di formazione, di lavori socialménte utili. Per ultimo va ricordato il forte legame che si potrebbe creare con un valido servizio civile nazionale per ragazzi e ragazze, che sia una specie di leva della solidarietà in Italia, una specie . di ingresso nel mondo del lavoro, preceduto da un addestramento sociale in· lavori e in opere di pubblica utilità. Insomma l'economia non ha più solamente due gambe, il mercato (sempre più incensato) e lo Stato (sempre più deprecato). Ce n'è una terza gamba quella del Terzo Setto-· re, dell'economia sociale, dell'autogestione comunitaria. Oggi è ancora poca cosa, ma crescerà. È. questa la tendenza dei processi economici e della ristrutturazione teco,nologica; l'alternativa è la disoccupazione di massa. Il privato sociale è la via d'uscita. La sfida del domani, di una maggiore condivisione del benessere umano, la vince non chi coniuga meglio il mercato con la competitività, ma il lavoro con la solidarietà. I movimenti, le associazioni, il volontariato possono creare una rete alternativa di economia sociale,. stabilendo un'alleanza con il movimento sindacale e con il settore pubblico. Il mercato darà sempre meno risposte ai bisogni primari della comunità: lavoro, diritti sociali, senso di appartenenza, radicamento locale. Queste forme di economia sociale non solo rispondono a questi bisogni, ma costruiscono forme di ·partecipazione democratica, · di nuovo senso di identità politica locale. Questo vale anche e soprattutto per il nostro continente. Delors ha passato gli anni da Commissario europeo a studiare piani per la lotta la disoccupazione in Eu-· ropa. E, rimanendo dentro un quadro tradizionale di uso degli strumenti economici, si è scornato - pur mettendo in campo nuove idee, tra le altre quelle dei lavori_socialmente utili - senza costrutto. Con i vecchi metodi, dell'uso tradizionale della spesa pubblica e del rilancio della competitività dell'impresa e la ristrutturazione tecnologica, finora non si è raggiunto granché. Anzi; la disoccupazione è au~ mentata. In Europa c'è bisognò di un'altra Maastricht. Dalla conferenza intergovernativa del 1996 (che inizierà sotto la presidenza italiana dell'Unìone e con una conferenza a Torino nel prossimo mese di marzo) dovremmo aspettarci una revisione radicale di quel trattato, che è fallito. Non sarà facile, ma quello è l'obiettivo per cui v9le la. pena lavorare. ♦

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==