La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

IL COLORE DEI GENERI. TAPPE DI UN'ESCALATION Maria N adotti Maria Nadotti vive tra Milano e New York e collabora a varie riviste. Il suo ultimo libro è Nata due volte, Il Saggiatore 1995. ♦ Clarence Thomas/ Anita Hill, Mike Tyson/Desirée Washington, Nicole e O. J. Simpson, Louis Farrakhan. Le tappe dell'escalation a cui mi riferisco sono queste. O almeno queste sono le più vistose: quelle che hanno fatto andare in visibilio i media di mezzo mondo e, al coperto dell'emotività e della morbosità che solo la cronaca nera sa scatenare, hanno plasmato e diretto l'immaginazione e gli orientamenti politici popolari. Mi vorrà scusare, chi legge, se ai primi tre casi, esplicitamente connotati dagli elementi base della cronaca nera - sangue, sperma, lacrime - aggiunge la recente uscita pubblica del leader africanoamericano e musulmano Louis Farrakhan, promotore della marcia su Washington del 16 ottobre scorso. Ma la sua idea che, sui temi del razzismo e dell'iniquità della società bianca, andasse mobilitato "un milione di maschi neri" lasciando a casa il milione e più di donne che, se non invitate espressamente a restare tra le pareti domestiche enfatizzando il loro sacro ruolo di "riproduttrici della specie", avrebbero riempito le strade della capitale, non può che spingere a connessioni e interpretazioni irriverenti e allarmate. Ripercorriamo per sommi capi le prime·tre tappe. Nel 1991 il giudice nero Clarence Thomas, in attesa di essere riconfermato Supreme Court Justice, presidente della Corte di Giustizia suprema statunitense, viene denunciato per molestie sessuali dall'avvocatessa nera Anita Hill, sua assistente e stretta collaboratrice. Il processo, uno dei più clamorosi e a_ppassionati degli ultimi decenni, conclusosi con l'assoluzione del giudice e la sua conferma nel delicato incarico, spacca in due l'opinione pubblica nordamericana: donne contro uomini, nere contro neri. È il primo segnale, macroscopicamente chiaro, che qualcosa si è &uastato nella compagine all'apparenza inossidabile e priva di smagliature del fronte razziale. (E i gruppi di potere bianchi ci vanno, ovviamente, a nozze). La fragile identità African American viene all'improvviso messa in discussione dall'interno. Se per anni le donne di colore hanno riconosciuto come loro obiettivo politico prioritario quanto passa dall'asse razziale, scegliendo di schierarsi al fianco dei "fratelli" di pelle e non delle "sorelle" di sesso, ora - e non casualmente, su una vicenda che PIANBTATERRA porta alla luce i rapporti di potere che si giocano attorno alla questione sessuale - la scelta di campo si rivela più contraddittoria è dolorosa, meno predeterminata. Le nere cominciano a prendere posizione come donne, a identificarsi come tali, a porre distinguo e condizioni all'interno della loro comunità, ad allearsi a donne di altri gruppi etnici. Un movimento multirazziale e, da un punto di vista di classe, totalmente trasversale. Uno degli interventi più limpidi a sostegno di Anita Hill viene ad esempio da Hillary Clinton, all'epoca avvocatessa in proprio e ancora non imprigionata nel ruolo di prima moglie d'America. In un bel libro antologico dedicato all'aggrovigliata vicenda processuale e alle sue esplosive implicazioni sociali e politiche, Race-ing Justice, E..n_-gender-ing Power, (Pantheon Books, New York 1992), la scrittrice premio Nobel Toni Morrison racconta: "Capannelli di neri raccolti davanti alla Casa Bianca pregano il Signore che non li abbandoni, che intervenga e annienti le forze che vorrebbero impedire al candidato nero alla Corte Suprema di ottenere il seggi oche sentono seettargli di diritto come mebro della razza. Altn gruppi di neri sono inchiodati allo schermo televisivo: gli ripu~na la possibile nomina a presidente proprio d1 quel candidato che sono convinti sia il meno indicato a esprimere giudizi in materie legali che li riguardano ... Un'accusa pesante come quella abbattutasi sul giudice Thomas avrebbe probabilmente del tutto squalificato un candidato bianco. Piuttosto che il biso~no di 'prova', la sola remota possibilità di verificarla pubblicamente avrebbe annullato la candidatura, forzato i membri del comitato a insistere su una candidatura diversa invece di affrontare il dibattito pubblico reso inevitabile da un'imputazione così odiosa". Praticamente negli stessi mesi, l'America va in tilt su un altro processo esemplare: il nero Mike Tyson, pugile imbattuto e miliardario, eppure mai veramente assurto alla dimensione di idolo popolare (troppo minaccioso, sottoproletario, borderline, irrimediabilmente segnato dalla sua storia di scampato al ghetto con la forza bestiale dei pugni?), viene denunciato per stupro dalla giovane e nera Desirée Washington. Quasi in contemporanea gli amanti delle storie da rotocalco si vedono ammannite con altrettanta dovizia di particolari le cronache giudiziarie di un caso analogo, ma "eccellente": uno dei giovani Kennedy, figlio di Bob e nipote di Ted, viene portato in tribunale da una donna (bianca) che lo accusa di violenza sessuale. Il giovane Kennedy, bianco, ricco, belloccio, figlio di potenti ed erede di un mito infrangibile, viene assolto perché il fatto non sussiste e la sua accusatrice ridotta a fantoccio isterico e rampante. Ridotta all'osso, la morale_ è che i Kennedy, oggetti indiscutibili di desiderio, invidia, emulazione: non possono a fil di logica essere stupratori, perché chi mai potrebbe resistergli e obbligarli a usare la forza. Corri, corri, ragazzina e accontentati di quel che hai avuto. A Mike Tyson - e ci sarebbe da chiedersi q_uanto gli pesino addosso il suo imprint di classe, nonché i due processi di cui sopra - le cose vanno diversamente. Anche se i suoi accusatori non riescono a mettere insieme prove molto più significative di quelle raccolte contro Kennedy, la condanna è pesante. Il pugile fini-

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