La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 8 - ottobre 1995

ill13J. Un breviario per la sinistra rispettosa Vittorio Giacopini C'è una pagina dell'Antico regime e la Rivoluzione che - immagino - sarebbe molto piaciuta a Pasolini. Tocqueville descrive la singolare convergenza di "due tendenze opposte". Chi osserva il panorama sociale e antropologico, il clima stagnante dell' ancién rég!me, ~copre un. p_aradosso: tutti gli uomm1 .... sembrano esattamente eguali gli uni altri. Eppure in mezzo a questa folla eguale si eleva una moltitudine prodigiosa di piccole barriere, ... di recinti". La conclusione non è consolante. I francesi non erano mai stati così eguali e così separa ti; così "simili" e così 'indifferenti". Quell'eguaglianza, comunque, non era illusoria. "In fondo, tutti gli uomini si assomigliavano ... avevano le stesse idee, le stesse abitudini, gli stessi gusti, cercavano gli stessi eiaceri, leggevano gli stessi libn, parlavano lo stesso linguaggio". Tutti erano veramente troppo uguali. Ma, per fortuna, l' ancién régime era in punto di morte. E stava per arrivare la Rivoluzione. Oggi, in Italia, non sta - mi sembra - per arrivare niente. Neanche la "seconda Repubblica"; neanche un po' d'aria fresca, o un po' di luce. Due secoli dopo, sembriamo ancora quei francesi ammuffiti dal vecchio regime. Possiamo constatarlo facilmente. La diagnosi di Tocqueville (e di Pasolini) funziona ancora dannatamente bene. Immancabilmente omologati, immmancabilmente frammentati, siamo restati - restiamo - troppo uguali e troppo separati. Ma è l'omologazione, questa eguaglianza noiosa e cattiva, questa grigiastra patina uniforme, il tratto culturale decisivo. Buoni e cattivi, destra e sinistra, atei e credenti, ci assomigliamo - troppo - veramente tutti. L'elenco, più o meno, è ancora quello di Tocqueville, con•poche (non trascurabili) varianti. Più o meno, abbiamo le solite idee, le stesse invariabili abitudini e gli s!es~~consumi ~ &lis!essi gusti; piu o meno c1piacciono le stesse cose; guardiamo certamente gli stessi programmi. Leggiamo persino - e questo magari è più sorprendente - gli stessi libri. Che leggere, allora? Non è una cattiva domanda, di questi tempi. Un recente libretto di Theoria circoscrive il problema al terreno dove ~uesta cappa di conformismo diffuso e d1 banalità, questa stupefacente mancanza di orginalità sono probabilmente più evidenti e più evidentemente paralizzanti: quello delle culture politithe presenti (e possibili), del linguaggio e delle opportunità "evolutive" della democrazia. In Che Leggere? Lo scaffale del buon democratico (Theoria, L.15.000) "sette saggi", alcuni dei più noti intellettuali ufficiali della sinistra italiana (N. Bobbio, P. Flores d' Arcais, V. Foa, G.Giorello, M.Mafai, S. Rodotà, P.Scoppola), consigliano così una bibliografia "minima" o essenziale, suggeriscono i libri che andrebbero assolutamente letti, delineano - con efficace concisione - il profilo del cittadino attento e ben informato, del "giovane democratico" (p. 7), del soggetto attivo e consapevole di una vita civile più ncca e più matura di quella attuale. Che leggere? avrebbe potuto essere - credo - un libro "utile". D'accordo, in Italia non sta per accadere niente. Però dovremmo averlo capito, bene o male. È anche una questione di tempo, e di pazienza. Alla politica non si può chiedere troppo. Forse l'"Olivo", il "Polo" - e tutto il resto - si muovono troppo lentamente. Ma se la politica ha - come si dice sempre - dei tempi obbligati, tanto varrebbe comungue non starsene con le m;\m in mano. E se in effetti non è questione di tempi o di velocità, se non si tratta di arrivare prima da qualche parte (e, per adesso, non sappiamo dove), tanto varrebbe, intanto, provare a chiedersi seriamente come partire (e per andare dove): con quali idee, con quali valori, con quale cultura. Che leggere? avrebbe potuto servire precisamente a questo. La dimensione "culturale" della democrazia non è necessariamente lenta (e paludosa) come quella politica. Qui - dove la "mitezza", l'arte del compromesso, il tedioso "buonismo" conciliante che dominano le provincialissime cronache politiche di 'l.uesta lunga, insipida stagione italiana non sono obiettivamente virtù irrinunciabili - forse si potrebbe davvero erovare a spezzare il conformismo, l'omologata uniformità, l'esasperante mancanza di fantasia e di immaginazione (sociologica, politica, morale, esistenziale) che sembrano caratterizzare questo paese deprimente e 11"carattere" troppo uguale dei suoi cittadini. Ma su questo terreno - l'unico decisivo - Che leggere? si rivela (e rivela) un fallimento. Tocgueville diceva che i francesi dell 'ancién régime leggevano - tutti - gli stessi libn. Bobbio-Flores-Foa eccetera, eccetera citano molto spesso Tocqueville ma suggeriscono - tutti 1 - di leggere esattamente proprio gli stessi libri. Si tratta d1 ottimi libri, beninteso. E - beninteso - Bobbio e compagni sono sicuramente in buonafede. Forse non è questione di buonafede o di bibliografia. Qualcuno ha rimproverato ai "sette saggi" qualche dimenticanza (e qualche omissione naturalmente, c'è). Ma in fondo la "lista" è abbastanza ricca, abbastanza completa. Così lasciamo perdere il gioco al massacro del "manca qualcosa". Il "giovane democratico" che avrà quanti anni gli pare nel duemila allineerà sul suo scaffale veramente de~li ottimi libri, il "meglio", direi, del pensiero politico moderno. Ovviamente Hannah Arendt e Tocqueville (due geni assoluti). Ovviamente, John Locke, Constant, Hume, un po' di Voltaire e ancora qualcosa di Montaigne (altri geni, che non guastano mai). E poi, ovviamente, moltissime altre - e ottime - cose: i saggi di Bobbio e i trattati di Weber; Kelsen e il suo alter ego nero

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