La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

l'impossibile né angosciarci per non esserne all'altezza; non siamo il Signore, ma strumenti nelle mani del signore della storia, e possiamo condividere realmente le sofferenze degli altri uomini solo in misura molto limitata. Noi non siamo Cristo, ma se vogliamo essere cristiani, dobbiamo condividere la sua grandezza di cuore nell'azione responsabile, mento servile nei confronti delle esigenze del momento. Per la maggior parte degli uomini la rinuncia forzata alla progettazione del futuro significa subire le esigenze del momento in modo !rresponsab!le, superficiale o rassegn~to; altri mvece contmuano a sognare nostalgicamente un futuro felice e cercano così di dimenticare il i . ·:1,•• .. 4 . ..,~ .-.. -~, ·' ~·. & . ~ ·1·· .- .. ' che accetta liberamente l'ora e si espone al pericolo, nell'autentica compassione che non nasce dalla paura, ma dall'amore liberatore e redentore di Cristo per tuui coloro che soffrono. Attendere inattivi e stare ottusamente alla finestra non sono atteggiamenti cristiani. I cristiani sono chiamati ad agire e a compatire non primariamente delle esperienze che fanno sulla propria pelle, ma da quelle che fanno i fratelli, per amore dei quali Cristo ha sofferto. Della sofferenza È infinitamente più facile soffrire ùbbidendo ad un ordine dato da un uomo, che nella li~ bertà dell'azione responsabile e personale. È infinitamente ·più facile soffrire comunitariamente che in solitudine. È infinitamente più facile soffrire pubblicamente che in solitudine e ricevendone onore, che appartati e nella vergogna. È infinitamente più facile soffrir.e nel corpo che nello spirito. Cristo ha sofferto nella libertà, nella solitudine, appartato e nella vergogna, nel corpo e nello spirito, e da allora molti cristiani con lui. Presente e futuro · Finora la possibilità di progettare la nostra vita, sia sul piano professionale che su queHo personale: c'è sembrata far parte dei più inalienabili diritti umani. Ormai non è più così. La forza delle circostanze ci ha condotti a una situazione nella quale dobbiamo rinunciare "ad affannarci per il domani" (Mt 6,34). Sono però due cose essenzialmente diverse, se lo facciamo partendo da quel libero atteggiamento della fede che ci viene presentato nel discorso della montagna, o piegandoci ad un comporta- ........ ..,......,, .•~t·· ;ul . , - : :c. ~ ~ :.~·~ " . ' - :. . ' ~ 4 ~''i:.''-. •.,_ presente. Ambedue questi atteggiamenti sono inaccettabili. A noi resta solo la via stretta, qualche volta quasi introvabile, di accogliere ogni giorno come se fosse l'ultimo, e di vivere però nella fede e nella responsabilità come se ci fosse ancora un grande futuro davanti a noi. Geremia, contraddicendo in modo paradossale i suoi annunci di sventura, annuncia, poco prima della distruzione della città santa, che "an- . . . . cora si compreranno case, campi e vigne m questo paese" (Ger 32,15): segno è pegno divino di un nuovo, grande futuro, di fronte alla totale mancanza di esso. Pensare e agire pensando alla prossima generazione, ed essere contemporaneamente pronti ad andarcene_ ogni giorno, senza paura e senza preoccupazione: questo è l'atteggiamento che praticamente ci è imposto e che non è facile, ma tuttavia è necessario mantenere coraggiosamente. Ottimismo Essere pessimisti è più saggio: si dimenticano le delusioni e non si viene ridicolizzati davanti a tutti. Perciò presso le persone sagge l'ottimismo è bandito. L'essenza dell' ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tener alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé. Esiste certamente anche un ottimismo stupido, vile, che deve essere bandito. Ma nessuno deve disprezzare l'ottimismo inteso come volontà di futuro, anche quando dovesse condurre cento volte all'errore; perché esso è la salute della LEZIONI

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