La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

nante, con qualche avvertenza però. C'è un rischio: bisogna stare attenti a non fare del racconto della pratica il rendiconto di una tecnica, ossia denudare di contenuti l'agire sociale. Lo sottolineo perché è un rischio che fa parte del nostro tempo, e questa. moda della "tecnica" (si pensi al suo uso in politica) è già da anni dominante. in molte discipline• .di ricerca - l'economia, per dirne una - e sottende spesso l'ideologia (lei, che di ideologia dovrebbe esser priva) del1' assoluta strumentalità di ogni elemento in gioco, per obiettivi e scopi che sono dati "esternamente" (la tecnica è meretrice per definizione, "al servizio di chiunque la usi"). Non è un caso, credo, che "La terra" si sia data· l'obiettivo di non perdere mai di vista i presupposti dell'agire, gli elementi di senso, la sfida politica dell'intervento sociale. Ed è questo, io penso, il compito più difficile, il punto in cui più facil_mente te<;>ria.e prassi entrano m corto circuito. La molla della teoria Proviamo infatti a riflettere su quale linguaggio sta alla base dell'intervento sociale; è quello, estremamente stringente e improcastinabile, della relazione d'aiuto, del bisogno, della sofferenza. Difficile sottrarsi alla forza di questo linguaggio, difficile trovare una dialettica, difficile trovare uno spazio di negoziazione: il rischio che corre chi opera nel sociale è spesso prof rio quello di soccombere - i burn-out degli operatori - di non reggere lo stress della relazione s'aiuto, di non sviluppare l'autoconservazione che pre~ servi dal pericolo di esser inghiottiti dal lavoro di cura, dall'ascolto costante della sofferenza dell'altro. E probabilmente la salvezza sta proprio .in un equilibrio tra la generosità e l'autoconservazione. Una c~ltùra materna, cioè di assoluta dedizione alla richiesta di chi si ha a c~ore, può essere capace di grandi gesti ma anche rovinosa per chi se ne fa portatore. Quello dell'intervento sociale è un mondo dove si rischia costantemente di esser imbrigliati nella logica dell'esclusiva e incondizionata soddisfazione del bisogno altrui: anche quando questo è sgradevole espressione della crudeltà di un bambino, della violenza di un ragazzo handicappato, del cinismo di un anziano, dell'ingratitudine di un barbone, dell'assoluta illealtà di un tossicodipendente. Temo che proprio questo indurimento del linguaggio, questa fatica della relazione (per quanto straordinari possano essere certi momenti o certe comunicazioni) tolgano parole e energie a chi li vive, e abbassino moltissimo la disponibilità all'ascolto su questi stessi temi. Estremizzando: chiuso nell'ottica della relazione individuale - ma già qui sta l'errore, perché è un servizio non il singolo operatore che dovrebbe prendersi in carico l'utente e l'affettività va gestita, al pari di altre risorse - chi interviene nel sociale spesso perde la percezione di una scala di vita più grande·, di una dimensione· nella quale è iscritto il senso · del suo operato e il suo pre- - ziosissimo valore. E non mi sorprende, né si può biasimare, il fa~t~ che le op~ra~rici d\ un serv1z10 per anziani, assai bre:ve, mi raccontassero come il momento più atteso della giornata fosse sempre il "pomeriggio con S!;!ntimento" di Retequattro. E l'evasione, il sogno, qui coniugato nella favola delle telenovelas (che davvero sono la cosa più distante dal mondo di una casa di riposo), forse là dove altrove si declina come la favola del milione di posti di lavoro (che davvero sono la cosa più distante al mondo dalla nostra economia). In comune c'è for- · se la mancanza di una cultura, intesa come consapevolezza, capacità di cogliersi in un disegno più vasto, dove i posti di lavoro sono sirene e le telenovelas non ritraggono alcuna fra le vite possibili che potremmo scegliere o da cui, più verosimilmente, saremo scelti. Ma questa è teoria, appunto. Il fatto è che la conoscenza dell'intervento sociale po~ ne di fronte a questo scacco, che le idealità che gli si attribuiscono non sono sempre un patrimonio scontato o consapevole. Quella fatica, quelle relazioni, quel linguaggio incidono profondamente sui bisogni stessi di chi ci lavora, così come la condizione di sofferenza, malattia o disagio ridisegna la nostra umanità a modo suo, rendendoci per esempio spesso molto peggiori (crudeli, violenti, cinici, ingrati, sleali appunto). Una trasmissione del sapere che da questi mondo parta e a questo mondo in parte arrìvi deve fare i conti contale geografia di aspettative e desideri, dove la valenza politica del proJ?rio gesto da un lato e la gratitudine per l'aiuto ricevuto dall'altro possono essere ingredienti secondari: Eppure non bisogna demordere, e non deve esserci · prassi senza teoria. La pratica sociale non può cioè essere sgantiata dalla consapevolezza dell'agire, dal senso politico del gesto, inteso come riconoscimento di un lato. ~iusto e uno sbagliato, di az10ni da intraprendere e altre no, di persone da avvicinare e altre da lasciar perdere. E si tratta proprio di ricucire, perché credo che la cultura degli ultimi 15 anni abbia prodotto . proprio questo effetto, a 360 gradi: far credere che esista una prassi senza teoria, che esista la tecnica, neutrale, che non esistano ideali da condividere ma solo nicchie di consumo, che la personalizzazione del prodotto e del servizio sia l'unico imperativo condivisibile, e come tale non abbia alcuna idea o teoria alle spalle, se non le proprie esigenze di consumatore. È il regno del micrò sul macro, dello scambio di bisogni individuali contro bisogni individuali, dove allora il senso dell'improba fatica d un lavoro ·di cura non è più interno all'agire ma rischia di esser quello di "rifarsi" su altri ambiti, consumando telenovelas riconosciute a questo punto come un diritto. Alimentando per questa via la catena dei consumi (e la raccolta del consenso, per fini elettorali e non solo), ma anche una buona dose di alienazione. Ritrovare la teoria, cioè la cultura della relazione d'aiuto, intesa come consapevolezza della sua cruciale importanza, riconoscimento di ruolo (come diritto, ad esempio, di chi aiuta ad essere a sua volta aiutato) e di significato ·sociale (anche a fronte di una frustrazione diretta nel proprio tentativo), sapere prezioso e continuamente crescente, gesto politico e riv,oluzionario perché fuori mercato, coscienza degli int_eressi e del contesto più vasto entro i quali si~m_osempre e ·comunque 1scntt1. Questa è una molla che bisogna caricare. ♦

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