La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi Ml QUERIDO PENIPE Angelo Fanucci Don Angelo Fanucci è uno dei principali animatori della Comunità di Capodarco, e in particolare della Comunità di San Girolamo di Gubbio. Dirige il mensile "Partecipazione". • Mi querido Penipe. È il sottotitolo di un mio volume, pubblicato dalla San Paolo ai primi di marzo. Vivo ormai da venticinque anni in una della comunità di Capodarco, la S. Girolamo di Gubbio Verso la metà degli anni Ottanta, al giro di Boa dei primi vent'anni della sua vita, la Comunità di Capodarco aprì un nuovo capitolo, quello dell'impegno internazionale. Era inevitabile, dato il taglio dei discorsi che si trova a fare chiunque viva a lungo dentro una comunità in cui si condivide l'emarginazione. Era inevitabile, ma tutto ciò è successoin maniera occasionale.Del tutto occasionalmente ci contattò il parroco di un paesino del Sud dell'Ecuador, J aime Alvarez. Alvarez è un colombiano che a metà degli anni Settanta si trapiantò in Ecuador, perché stanco della "chiesa tutta amministrativa" del suo paese e "sedotto" (sono parole sue) dalla linea pastorale del vescovo di Riobamba Leonida Proano. Proano, uno dei tanti "vescovi rossi" del sudamerica, rosei e miti come monsignori di routine, ferrei ed essenziali nella difesa dei poveri. Turbavano e turbano i sogni dei sacripalazzi romani. La Roma visceralmente anticomunista che prospera intorno a Giovanni Paolo II ha fatto e fa il possibile per sdirazzarli. L'operazione è riuscita a metà, più oltre non può andare, perché la teologia della liberazione è innanzitutto vita, e sdirazzare la vita non èpossibile. Nuovi epiù sofisticati sistemi di puntatura, di quelli che magar( non lasciano tracce di sangue, riuscirannoa centrare in fronte altri Romero, ma per ogni Rom ero ucciso ne verranno fuori altri due, che seguiranno il suo stesso iter, e anche di loro si dirà: era un curiale, il contatto coi poveri ne fece un profeta. Proano affidò ad Alvarez la parrocchia di Penipe. Penipe, solo 400 abitanti, ma al centro di una parrocchia sterminata: 15. 000 anime sparse in decine di villaggi e centinaia di casupole che si inerpicano sulle Ande, fino a 4. 000 metri di altezza e anche oltre. A Penipe ]aime cominciò a preoccuparsi delle persone, più che delle anime.E s'imbatté in una piaga tremenda: il gozzo. L'acqua che i campesiiios bevevano mancava di iodio. La mancanza di iodio nell'acqua causa il gozzo ( el bocio) a chi la beve. Da due malati di gozzo nasceguasi sicuramente un handicappato. Mentale ofisico. O l'uno o l'altro. Nel giro di qualche anno bussò a una moltitudine di porte, esperimentò una moltitudine di soluzioni, poi, con l'aiuto di organizzazioni francesi e tedeCOOPERAZIONE INTERNAZIONALE o sche, riuscì a immettere sul mercato sale iodato a prezzo competitivo. L'operazione fu resapossibile dalla rete delle tiendas ("negozi sociali") che ogni parroquia tiene in piedi in ognuna delle comunidades (in Italia li chiameremmo "centripastorale") sul territorio delle quali essasi articola. _ Nel 1981 il gozzo era praticamente scomparso da Penipe. Il mostro aveva mietuto v~ttime per decenni, ed era così facile batterlo! E una delle costanti in ogni esperienza condotta nel terzo mondo: prima o poi ti imbatti in tragedie che potrebbero essere evitate con un dito. Angoscioso. Ma stavolta il mostro sconfitto aveva la coda lunga. Quanti erano a Penipe gli handicappati che il gozzo si lasciava dietro? ]aime li convocò tutti, una domenica di primavera del 1981. Non vennero tutti, ma quelli che vennero erano 1500. Il 10% della popolazione. Millecinquecento. Con mezzi di trasporto tutti di fortuna, dato che tra tutti loro uno solo disponeva di una specie di carrozzina. 1.5 00 handicappati e una sola carrozzina. Una sola. P.jaime non riuscì nemmeno a offrire loro un panino. Si ritrovò con un malloppo in gola, grande come una mela. E decise di prendere l'aereo per l'Italia, per chiedere aiuto, per trovare qualcosache lo mettesse in grado di deglutirlo, che gli permettesse non di risolvere, ma di ...fare qualcosa.Durante il suo soggiorno in Italia, 45 giorni su e giù per il "Bel Paese", fu accompagnato a vedere i grandi istituti specializzati e superspecializzati; al Nord, a Milano, a Como, il "don Gnocchi", "La Nostra Famiglia"; e a Osimo, il "Filo d'oro" ...; che possibilità c'era di ispirarsi,in Ecuador, a modelli di quel tipo? Il budget annuo di uno solo di quegli istituti avrebbe essiccato una fetta consistente_dell'intero, magrissimo bilancio della Sanità nel "Paese d'Oro e d'Azzurro". L'ultimo giorno del suo soggiorno italiano Alvarez si recò a Capodarco. Glielo aveva suggerito don Mario Ferrari, uno dei primissimi amici di Capodarco, professore di matematica all'università di Pavia, e da anni docente in certi corsi estivi al Politecnico di Riobamba. Fra l'altro a Riobamba aveva conosciutojuan Moreno, un giovane universitario che aveva avuto la spina dorsale rotta in un incidente stradale, e che era tentato di lasciarsi morire: "Ma vuoi scherzare!? Sapessi quanti ragazzi come te in Italia, nella comunità di Capodarco... ".Fu un amore a prima vista. Piccoli gruppi residenziali attorno a una struttura centrale consistente ma non soffocante, molte piccole iniziative di lavoro, una metodologia di lavoro articolata attorno all'assunto centrale del vivere con al posto del vivere per. Con don Franco, il fondatore, riuscirono a parlarsi molto poco, ma fu sufficiente per sbozzare alla brava un progetto dalla sigla altisonante: "Il povero aiuta il povero". Nel 198 il primo gruppo di handicappati venne in Italia, per qualche mese. A Capodarco di Fermo, a Tolmezzo, a Roma, a Lamezia Terme, a Gubbio. Li guidava ]uan Moreno, occhio vivo, pelle di bronzo, mascella squadrata. Il progetto decollò, la prima Comunità di Capodarco Ecuador prese forma. Nel 1989 la prima "missione ufficiale" di Capodarco in Ecuador, l'inaugurazione della casa, Michelangelo di Montegranaro e Roberto ex ragioniere della Snia Viscosa che riferiscono mirabilia. E il progetto di una zapateria, un piccolo calzaturificio. Nel 1990 mandano me.A cercare, tra l'altro, di rispondere alla domanda se convenisse o meno imbarcarsi in una avventura come quella della

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