RE NUDO - Anno VII - n. 49-50 - gennaio-febbrario 1977

RE NUD0/12 I tossico-dipendenti non sono auto-distruttivi ma distruttivi · Il testo che precede l'ho avuto da una ragazza con la quale ho provato per la prima volta una detossicazio– ne «diversa» non chimica, non psi– coterapeutica ma basata sull'anali– si del rapporto che si era instaurato tra noi cioè: lei, io, la droga, la real– tà. Ho continuato poi da solo, ed io che sono adesso un «normale» pago il debito che ho accumulato con i consumatori di eroina. I tossi– co-dipendenti non vanno giustifica– ti e capi ma difesi dal capitale che dpo avergli dato il ruolo di diversi cerca di farglielo vivere al negativo occupandosi di loro solo per tipiz– zare un comportamento preso come discriminante verticale della società. I tossico-dipendenti non sono auto– distruttivi ma distruttivi. Il loro po– tenzia le di disgregazione degli «ideali» della società borghese è immenso cioè l'elemento terzo, l'unico di cui parla A., cioè la media– zione tramite feticci introiettati è «tipicamente assuefattiva» il tossi– co-dipendente quindi non permette · al borghese di sentirsi al sicuro in quanto avendo unicizzato la realtà nella roba rifiuta in quel momento e per sempre di divenire il capro espiatorio. I tossico-dipendenti hanno reso impotente la società borghese, mostrandogli che non può curarli cioè non può rigenerarli. Il diritto alla vita dei tossico-dipen– denti è di un tipo indefinibile. Quan– do una persona vive scollata com– pletamente dagli altri, con un tempo proprio, un rapporto con il tempo e con le cose borghesi inesistenti, quando alla prima esperienza con– tro gli ideali della proprietà borghe . se, si rende conto di essere solo in' · un mondo mici- diale, di non po- tersi fidare nep- pure del proprio compagno di buco, in quel mo- mento apre per sè e per gli altri la porta del dolore, della immensa solitudine della nostra miserevo- 1e condizione umana, prende coscienza che era già stato espropriato di tutto e ce lo mo– stra; è per questo che i normali chiedono ai tos- · sica-dipendenti «p~rchè ti bu– chi?»; vogliono le sue ragioni, le sue sole ragioni per non respon– sabilizzarsi, e quando gli chie– dono «smetti di bucare» gli chie– dono di non fargli vedere più il loro proprio dolore. Quando un nqr– male si avvicina ad un tossico-di– pendente a parte le idiozie politi– che che l'eroina è di destra e l'erba è di sinistra, tra– gico rivivere· da sinistra della teo– ria degli opposti estremismi (sa- rebbe ora di ren- dersene conto) ne ha paura, finisce per avere un comportamento giusti– ficazionista (di autoassorbimento) insomma non gli da torto, lo capisce (cosi crede lui), lo stesso atteggia– mento che si ha esclusivamente al capezzale di un moribondo. Il reale che i tossico-dipendenti incarnano, io l'ho visto applicato da me stesso in un rifiuto di loro e di un mio ten– tativo di impossessarmi della loro capacità distruttiva - e questo at– teggiamento l'ho rivisto in tutti co– loro che se ne occupano, sintetiz– zabile così: non li curano, li voglio- anche per quelli che bucando si iso– -lano totalmente, cioè quelli che sacri'– ficano le loro q1pacità umane a que– sta bestiale corsa alla «polverina ma– gica», che poi è identificata a qualsia– si comunissima forma di arrivismo che si verifica tipi– camente nel siste– ma che i tossico– man i stessi defini– scono colpevole della loro tossico– mania. Nel mondo della fix si ripetono perpe– tue le stesse forme di soppressione sociale che si veri– ficano nella società in grembo alfa qua– le siamo nati. Il po– tere finanziario vie– ne sostituito col «monopolio» della polverina; del re– sto, tutti i rapporti umani restano in– variati. Chi ha la roba è il padrone; chi si buca di più è lo stregone, il «jun- kie». no curare. Questo che ho scritto non è per una mistica del buco, né una giustificazione o una confes– sione, ma per far riflettere i compa– gni sul fatto che i tossico-dipen– denti rappresentano per i normali la cosa più orribile, più tutto che esi– sta, la cosa più funzionale a loro che abbiano mai inventato, una cosa che come dice il mio dolce amico è: «la riproduzione dell'iden– tico», rovesciamogli addosso ciò che cresce in questa invenzione. Luigi Esposito

RkJQdWJsaXNoZXIy