Giuseppe Antonio Borgese - Guerra di redenzione

32 - mo accennato, cioè che, quando in Italia ci meravigliamo dçlla lentezza con cui la fede nazionale si fa la sua strada, è perchè appunto ci troviamo davanti a residui dell'antico internazionalismo italiano, gloriosa tradizione che però dobbiamo rassegnarci a combattere passo p_er passo. Sono rimasugli del nostro internazionalismo i germanizzanti e i francofili. E abbiamo una delle forme più costanti, più difficili a vincçrsi, di questo internazionalismo, di questa atassia politica degli italiani nel cosiddetto « buon senso ». Si crede che la qualità alla quale noi dobbiamo stare più attaccati, in cui consiste la nostra principale gloria, sia appunto il buon senso, dell'uomo che fa i suoi affari, che vive tranquillamente la sua giornata, che obbedisce al principio di carpere diem, e che non sente la necessità di fare la guerra, se non forse quando una minaccia immediamente brutale pesi ai nostri confini (anche ammesso che egli creda un poco ai nostri confini, .e non si senta prapr;o ilil tutto cittadino del mondo). Ora veramente gli uomini di buon Sçnso sono stati in Italia la grandissima maggioranza, ma non sono stati quelli che hanno fatto l'Italia. Veramente gli uomini che hanno fatto con una prepotenza di infima minoranza l'unità e la libertà italiana nella prima metà del secolo XIX erano degli insensati. Bisogna pensare a ciò che era l'intelligenza fantastica, da fiaba natalizia, di Garibaldi ; alla quasi nevrastenica furia e alla ideobgica ebrietà di Mazzini ; bisogna pensare anche alla stravagante giovinezza libertina di Camillo Cavour (I) ; e alI'ardente spirito cavalleresco di Vittorio Emanuele (pur non volendo parlare, perchè non riuscì in 1utto .-iudlu che s'era proposto, dell'unico uomo di grandi vedute che abbiamo avuto in seguito, di Crispi, che era tutt'altro (I) Nè soltanto alla giovinezza. Ognuno ricorda la condotta appassionata del Cavour nei giorni di Villafranca. Ha ragione il Panzini, quando scrive (Il 1859, pagina 375): « Ritornato in Torino, altri lo descrive pallido, invecchiato in tre giorni di parecchi anni; altri immerso in tal profondo dolore da far pietà. Perdette veramente il dominio di sè? lo non so. Io so che gran sventura sarebbe stato se egli si fosse comportato moderatamente e non avesse perduto il dominio di sè ». B blioteca Gino 81dnco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==