Critica Sociale - XVII - n. 13-14 - 1-16 luglio 1907

CRITICA SOCIA.LE 199 industriali, il deperimento della razza. non si è arre– stato - e forse lo sarà fra qualche anno - pensiamo che, assai più che agli ambienti e alla tortura del la• voro, si debba alla lunghezza degli orari, alla scarsezza delle paghe, al sopralavoro compiuto a domicilio, e ad altrettali cagioni. Checché sia di ciò - e ammettiemo che se ne possa disputare - rimarrà sempre da dimostrare come mai la tortura del lavoro 1 e le altre cagioni di iattura illu– strate dal Treves 1 agiscano più fieramente durando 8 ore, che non durando 10 od 11 ore. Qni l'assurdo ci pare evidente ed incontestabile. Rimarrà poi da dimo– strare che un lavoro di otto ore, con solo mezz'ora di riposo, che il pulviscolo inspirato per otto ore od otto ore e mezza, siano più esaurienti ed avvelenatori, siano - per osare la parola di 'rreves - più " Msassini,, che non lo stesso lavoro e lo stesso pulviscolo, durato ed inspirato, con qualche pau&-amaggiore, per 10-11-12 ore. Non neghiamo che il quesito possa porsi; la espe– rieuza da un lato, la patologia del lavoro dall'altro - non certo le asserzioni dogmatiche Elgli aggettivi ad effetto - lo potranno risolvere. Noi pensìamo, per semplice intuizione che potrebbe essere erronea, che un riposo successivo di almeno due ore piU lungo debba compensare abbond~ntemente l'ipotetico maggiore at– tossica.mento ed esaurimento, rispondente alla maggiore coutinuità del lavoro; ci conforta in questa presunzione - pur non essendo da sè sola decisiva - la propen– sione manifesta degli interessati. Soggiungiamo che, colla conquista delle otto ore, l'opera. delle organizzazioni non dovrà ritenersi esau– rita. Al contrario essa dovrà. trarre dalla conquista nuovo vigMe di azione. Ad essa spetterà. prolungare a poco a poco il riposo intermedio insufficiente - ren– derlo non soltanto effettivo e sicuro, ma trasportarlo fuori dell'ambiente dell'officina - conquistare cosi le sette ore e mezza e le st'tte ore di lavoro tostochè la industria lo comporti. A quest'uopo l'opera delle orga– nizzazioni, appoggiata alla leggo, ma meno rigida, più elastica, più graduale, è molto meglio indicata. Rel~ghiamo a dirittura tra le favole la " disorganiz– zazione della famiglia operaia ,, e i maggiori pericoli cui sarebbe esposta l'innocenza delle donne e dei fan– ciulli. Convien farsi un ben idillico e letterario concetto della realtà della famiglia operaia {la quale poi, nel concetto del Treves, sarebbe quella che 1·uberebbe alla misera operaia, aggravandola di nuovi lavori, le ore libere sottratte alla fabbrica!), per pensare che davvero possa avere in essa gran peso il parziale spostamento di mio dei pasti quotidiani, che verrebbe fatto fra le sole donne del medesimo turno (spesso più d 1 nna. per famiglia, o parecchie dello stesso vicinato)j piccolo in– conveniente, di gran lunga compensato, anche nei ri• guardi della. famiglia, dalle molte ore di ricuperata libertà. Chi ha presente la baldanza delle fanciulle che tornano a schiere dagli opifici alle case, per lo piU accompagnate dalle anziane e talvolta da qualcuno dei loro uomini, stenterà. a credere che, proprio dal fatto dell'ora un po' piU mattutina o serale, si accrescano sen– sibilmente i pericoli cui la miseria e la promiscuità della vita espongono la loro giovinezza inconsapevole. E a tutto ciò, ad ogni modo, si contrappone trionfale la considerazione dei vantaggi - economici, intellet– tuali, morali e di classe - che possiede virtualmente la giornata breve di lavoro, quei vantaggi che la fanno moralmente di gran lunga superiore anche ad un au– mento di salario; quei vantaggi per i quali le olLo ore divennero segnacolo in vessillo del movimento proletario internazionale, che sfidano anche la sottile ironia di Claudio rrreves e i quali parrebbe ingiuria. esporre una volta di più sopra colonne socialiste. Si contrappone inoltre una considernzione strettamente economica, che appare stranissimo sia sfuggita all'acume del nostro amico. La. questione sociale non è lutla (come iji va ripetendo da alcuni) questione di produzione, ma è essenzialmente anche que~tione di produzione. Dove questa sia misera ed ostacolata, sarò. vano ricercare una migliore ripartizione sociale dei prodotti. Solo nello sviluppo progressivamente accelerato della produzione i lavoratori possono davvero sperare un rapido miglio– ramento delle loro condizioni e conquistare alla fine il dominio economico e politico che loro compete. Ora, se sussiste - e altrimenti sarà qui che dovrà appuntarsi la dimosti·azione avversaria - che il sistema dei due turni 1 permettendo una utilizzazione molto più iatensa del capitale delle aziende - consentirà all'in– dustria tessile italiana, o a \tna. parte cospici.1a di essa, di supetare più facihnento la formidabile concorrenza dei paesi lontani, ribassando i prezzi della merce, con• quistaudo nuovi mercati, e al tempo stesso riducendo gli orari di lavoro e elevando o non diminuendo i sa– lari i se pertanto 1 con que!'lto sistema, può essere rialzato il tenore di vita della massa operaia, o quanto meno può esserne evitata la depressione - questo vantaggio di ordine generale, che rimbalza, dalla iudustria tessile, su tutto quanto il mercato del lavoro nazionale, è cosi preminente e perentorio che 1 secondo noi 1 basterebbe da solo a decidere la questione a no:-;tro favore. Data la concorrenza mondiale, dato l'intensificarsi ineluttabile della vita e l'addensarsi della popolazione, se, da. un lato - nel regime dell'industria. moderna - si può dire che la vita umana del lavoratore cominci all'atto del cessare del lavoro salariato, onde la neces– sità. di ridurre sempre più gli orart di lavoro i dall'altro lato, è impossibile imaginare un progresso che si con– cilii colla scarsa utilizzazione delle forze e dei macchi– nari, colla sterile giacenza dei ca.pitali inoperosi. 11 la– voro umano non può abbreviarsi se non prolungando e sfruttando sempre più il lavoro degli elementi natu– rali. Il sistema dei due turni realizza appunto - in una certa misura - que::ito desiderato. Senonchè è qui appunto che di nuovo Claudio Treves ci attende al varco. u Le ore di lavoro sottratte alla fabbrica non saranno esse rubate all'operaia - dop– piamente schiava - e convertite così in un ouovo e maggiore sfruttamento, nel lavoro agricolo, domestico, complementare? , 1 E, con ciò, dagli argomeu ti esagerati, che non pro– vano abbastanza, siamo passati all'argomento che prova 1troppo. Esso infatti si appunta contro ogni abbrevia– zione di orario di lavoro. Converrà allora che la fab– brica assorba tutta l'attività, tutta la forza.disponibile, del lavoratore. Contro l'eccesso di lavoro dovrà opporsi, come rimedio, omeopaticamente, l'eccesso di lavoro. L'assurdità dell'argomentazione, in qua.uto tende a .!'òntrastare un'abbreviazione dell1ora.rio di fabbrica, e, per conseguenza 1 ogni abbreviazione di ora.rio, è dun– que per sè stessa palese. Anche si potrebbe opporle che il lavoro agricolo o domestico suol essere di gran lunga. meno nocivo del lavoro uell'opificio - quan– d1anco di quest'ultimo non si esagerino, come piacque al 'l'reves, i danni. E che influe l'elevamento del te– nore di vita dell1operaio industriale - al quale il sistema. dei due turni contribuirebbe - diminuirà, an•

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