Critica Sociale - XVII - n. 13-14 - 1-16 luglio 1907

196 CRITICA SOCIALE trascende di gran lunga i confini del fatto personale. E giova che ora 88 ne parli - se ne parli alto e forte - come giovava tacere la mattina del 2 luglio alla Camera. Io ho taciuto, dunque, per tre distinte e cumulate ragioni. La prima: - s'era agli sgoccioli dei lavori i molte leggi attendevano, qualcuna di grande portata, contro cui interessi poco confessabili meditavano l'ostruzio– nismo del rinvio a dicembre; ogni minuto aveva un valore, e non era il caso di sperperare il tempo in di– chiarazioni platoniche. La seconda: - la legge, quale che fosse, non si do– veva modificare in alcun punto. Modificarla) foss'anche per migliorarla, significava rimandarla al Senato la se– conda volta, ossia, pressochè con certezza, rinviarla al– meno a dicembre; ossia, mentre il 20 giugno erano ' scaduti tutti i. termini delle disposizioni transitorie della vecchia legge, non solo rinviare i benefizi della nuova, ma prolungare 1 aggravandolo, lo stato di incer– tezza, di arbitrio 1 di anarchia vera e propria, che regna da più anni in questa importante materia. Un disastro per le industrie e per gli operai: il che si potrebbe di– mostrare matematicamente, ma è lecito supporre che non sarà contraddetto. La terza: - sulla sola questione che Claudio Treves abbia visto in questa legge, o alla quale abbia an– nesso importanza, io ero, in sostanza, favorevole alta legge. Non avevo quindi ragione di combatterla; e, molto meno 1 di difenderla - <lacchè non erano pre– senti gli oppositori! E con ciò il fatto personale, a rigore 1 si potrebbe ritenere esaurito. •*• E veniamo - qui possiamo riprendere il ·noi, meno urtante e presuntuoso - alla questione che preoccupa il Treves, e che certo ha una capitale importanza, non solo, immediatamente, per diecine di migliaia di lavo– ratori (e, nel.caso concreto, 8pecialmente di lavoratrici), ma altresì, elevata nella 8fera dei principi, per tutto il movimento proletario, i.,er l'avvenire medesimo del socialismo: questione politica, economica e questione di metodo. La quale, spogliata di fiorettature retoriche, si pone essenzialmente così: La provvida abolizione del lavoro notturno per le ùonne e i fanciulli, che divenne col 20 giugno un fatto compiuto (salvo'"pochi mesi di tolleranza, dove la rin– novazione, iniziata, degli impianti non si poté tenni– nare: art. 4 della nuova legge), porrebbe gli industriali, specialmente i cotonieri, che facevano lavorare di notte, nella necessità, o di raddoppiare gli impianti, o di li– cenziare una metà del personale. Il secondo partito, oltre i danni che recherebbe all'industria e alla ric– chezza nazionale, rovinerebbe direttamente gli operai licenziati e indirettamente i rimasti, creando loro la improvvisa concorrenza 1 sul mercato locale del lavoro, di una fortissima armata di riserva operaia, ed effet– tuando alla lettera l'ipotesi di Adamo Smith dei due lavoratori che rincorrono un solo pane; con ripercus– sione, sia pur lenta, ma inevitabile sul tasso dei salari e sugli orari di lavoro, nel senso del ribasso e del pro– lungamento. Gli orari diurni attuali, come è noto, oscillano fra le "ll0 e le 12 ore \termine massimo legale), con tendenza, fino a ieri, ad accostarsi ed a ferman1i alle 10; orario, uest'ultimo, che difficilmente, secondo i pratici, po– rebbe venire, per uu lungo lasso di tempo, data la concorrenza dell'estero, ulteriormente ri8tretto; che potrebbe, in condizioni dell'industria meno favorevoli, ritornare arl espandersi verso le 12 ore i e che, ad ogni modo - coll'ora e mezza o le due ore di riposo inter– medio, prescritte dall'art. 8 della legge 1902 - significa l'intera giornata lavorativa assorbita dall'opificio. Ad antivenire i danni gravissimi che, per effetto di una riforma astrattamente tanto benefica, avrebbero colpito di conserva le industrie ed i lavoratori (caso ve• ramante tipico di convergenza di iuteressi fra due classi antagoniste), alcuni industriali proposero, come termine di transazione e, forse, di transizione, l'adottabilità di un sistema misto, che riunisse - per quanto è possi– bile - i vantaggi del lavòro notturno e quelli della sua abolizione. Fu questo il sistema del lavoro ripar– tito in due mute, conosciuto sotto il nome di emenda– mento Pozzo dalla persona del deputato proponente, e introdottosi nell'art. 5 della legge del 1902j per il quale, dove il lavoro sia ripartito fra due squadre di operai, esso potrà cominciare alle 5 del mattino (anzichè alte 6, come dovrebbe nelPinverno) e finire alle 23 (anziché alle 20 o alle 21, a seconda delle stagioni), senza essere perciò reputato lavoro nottllrno. La Convenzione di Berna restringerebbe cotesto secondo termine alle ore 22. E così, con la semplice aggiunta, all'orario diurno, di un'ora al mattino nella sola stagione invernale (di estate, anche per la legge, Porario diurno normale può cominciare alle 5) e di un'ora, due ore, o tre ore la sera (2 ore d'estate e 8 ore d 1 inverno, attualmente; ri– spettivamente un'ora e 2 ore colla Convenzione di Berna), si ottiene uno spazio di tempo di 18 ore oggi, di 17 ore fra tre anni, da ripartirsi in due orari, oggi di 9 ore e poi di 8 ore e mezza ciascuno, i quali però de.vono essere ancora ridott: per effetto dei riposi in– termedi. Questi riposi dovrebbero durare, normalmente, un 1 ora almeno oltre le 6 ore di lavoro, un'ora e mezza oltre le 8, due ore oltre le 11: e così il lavoro effettivo di ciascuna squadra verrebbe ridotto (col riposo inter– medio di un'ora) oggi a non più di 8 ore, e a non più di 7 ore e mezza fra 3 anni. Fu però riconosciuto che 1 a facilitare il trapasso, q_uando l'orario, per effetto delle due mute, si riducesse ad un maximum oggi di otto ore e mezza, fra tre anni di otto ore, si potrebbe tran– sigere sulla durata del riposo intermedio, riducendolo, col consenso degli operai, anche a una sola mezz'ora. Il lavoro effettivo resterebbe così ridotto ad otto ore e meù:a (maximum) per questi tre anni, e ad otto ore (maximum) dopo la Convenzione di Berna, in ambo i casi con me.,,z'ora (minimum) di riposo intermedio. Si riconobbe cioè che la riduzione di 2-3 ore sulForario completo compensa ad usura la diminuzione di una mezz'ora sul normale riposo intermedio prescritto dalla legge. A questa soluzione di transazione non si giunse d'un colpo, nè aprioristicamente: essa fu il risultato di hrn– ghe discussioui avvenute iu seno al Consiglio superiore e al Comitato permanente del lavoro, incaricati il primo di studiare le riforme nece!:lsarie alla legge, il secondo di vagliare le richie~te, provenienti da industriali e da operai, per ottenere deroghe temporanee alla legge medesima. È da notare infatti che, sebhene 1 giusta lo spirito dell'art. 5, comma 6 (relativo alle due mute) della legge 1902, combinato coll'art. 8 (riposi intermedi), le due squadre di operai, che dovevano dividersi un complessivo orario di 28 ore con due riposi intermedi

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