Critica Sociale - Anno XV - n. 19 - 1 ottobre 1905

298 CRITICA SOCIALE appunto nella valutazione di questa quota in base a meriti o diritti reali. Aristotele adottava come base di misura del diritto la dignità; ma soggiungeva ché in tale concetto non tutti si accordarnno, intendendo gli uni per dignità la ricchezza, altri la nobiltà, altri la virtù, altri ancora la libertà. Hobbes e Spinoza affer– mano che il diritto è emanazione della forza materiale e consacra la usurpazione del più forte sul debole. (In tempi più vicini a noi, il Nietzsche, da un diverso punto di partenza, penonne a quasi identica conclusione). Lo Stahl ammette che, in fatto di giustizia sociale, Dio dava ragione ai latifondisti della Germania orientale. In fondo il diritto naturale si risolve in una concezione arbitraria, intesa a giustificare l'ordine costituito nelle sue più mo– struose aberrazioni. Cotesta concezione metafisica cedette al metodo storico e positivo, che invase il campo delle scienze giuridiche, dimostrando essere il diritto naturale il necessario pro– dotto dei rapporti di fatto, e qualunque schema ideale di giustizia non poter mai subordinare o costringere nella sua traccia il corso indefettibile delle cose. Come era da prevedersi, l'influsso della nuova scuola ebbe per effetto immediato la negazione di qualsiasi principio astratto di giustizia, infirmando essa di assur– dità. qualunque criterio etico che intervenisse nel giu– dizio degli istituti sociali, anzi rendendo con ciò impos– sibile, a rigor di termini, qualunque giudizio su di essi. Per l'economia classica non vi sono che fatti necessari e fatali; se questi fatti si svolgono in modo da calpestare e travolgere nel loro processo una parte dell'umanità., ebbene, questo è ancora l'unico concetto di giustizia possibile. Ciò che è fatale è giusto. Tuttswia questa soluzione della scuola di :Manchester, classica o liberista che dir si voglia, non può acquietare la nostra coscienza. li problema è di quelli che non è possibile soppri~ere. Ad ogni ora ciascuno di noi è col– pito da un fatto economico che non può fare a meno di giudicare giusto od ingiusto, alla stregua di un senti– mento, il quale è dunque una. realtà positiva 1 da cui non è lecito astrarre. Fu appunto percbè l'assetto economico vigente offen– deva in molti questo sentimento di giustizia, che un'ac– colta di pensatori si ribellò alla scuola di Manchester e preannunziò alle folle sacrificate un regime sociale ve– ramente adeguato, condannando in nome di quello e in suo confronto il regime economico presente. I primi ero– dettero con Bastiat che questo regime di giustizia si realizzerebbe quando i rapporti economici, cessand,o qua– lunque ingerenza del potere, fossero abbandonati a sé stessi; altri, col Saint Simon e col Proudhon 1 quando a ciascuno fosse dato in proporzione delle sue opere; altri invece in proporzione del suo sacrificio; altri ancora in proporzione de' suoi bisogni; altri influe una retribuzione eguale a tutti i lavoratori, Ma é evidente che taluni di questi principi urtano contro ogni pit1 elementare criterio di giustizia. Come, ad es., possa il bisogno creare un diritto non si capisce affatto, quando si pensi che, se l'uomo fosse dotato di soli bisogni e non di attività. creatrici, non avrebbe nulla su cui esercitare un diritto. Si capisce benissimo invece che l'uomo possa commisurare il suo diritto iu propor– zione delle sue opere, e come un assetto economico pog– giato su questo principio potrebbe dirsi giusto. 'rutta.via non è tanto il concetto astratto di giustizia che importa fissare, quanto il modo d'interpretarlo e di ap– plicarlo, poichè esso, inteso in un modo o inteso in un altro, può giustificare o condannare le più diverse forme di organizzazione sociale. L'importanza è tutta. nell'esten– sione che si vuol dare al concetto di opere. Quindi anche questa formula, so apre un adito alla critica degli ordi– namenti sociali presenti e passati, è però insufficiente a risolvere il problema, non offrendo essa elementi precisi e incontroversi per un nuovo tipo di organizzazione so– ciale, in cui la giustizia presieda ai rapporti degli uomini. Tutti questi risultati negativi indussero gli economisti a rinunziare alla pretesa di giudicare con criteri aprio• ristici di giustizia astratta - e perciò di valutazione tutta soggettiva - gli assetti economici clella società, mentre taluno di essi sostituiva. a quel primitivo astratto giudizio il criterio più positivo dell'utilità, senza pensare menomamente che anche por questa via si sarebbe an– elati a batter la testa contro lo stesso ostacolo, riuscendo evidentemente impossibile misurar con qualche e!.attezza la somma <li benessere materiale e sociale consentita da ciascun sistema economico, quando ancora vigono le più diverse opinioni sul significato della parola beni, e gli uni stimano per tali soltanto i mezzi di godimento ma– teriale, mentre gli altri attribuiscono importanza preva– lente ai beni di ordine spirituale, ed altri ancora giun– t.:Ono persino ad operare in vista di un benessere post mortem. Che cosa è maggior bene, il pane o la libertà.? l'igno– ranza rassegnata o l'intelligenza indagatrice? Disputa antica, che non avrà mai una soluzione assoluta. Per tal modo, anche Pabbandono del criterio di giu– stizia nel nostro apprezzamento dei si~temi economici ci lascia delusi al punto di prima. Eppure, un sentimento incoercibile di giustizia esiste in ciascuno di noi e, quel che più importa, esso viene acuendosi fino allo spasimo coi progressi della civiltà, sommergendo talora in noi anche la nozione del nostro proprio interesse, come avviene quando l'opera riparatrice dello Stato, retto da uomini che pur dovrebbero farsene strumento di difesa e di offesa per gl'interessi proprt e della loro classe, si volge a temperare ed a correggere le asimmetrie più stridenti delle istituzioni civili e ad attuare progressiva– mente una sempre maggior somma di giustizia sociale, e quando individui appartenenti alle classi economica– mente preminenti abbandonano la difesa del loro privi– legio per aiutare le giuste riveorUcazioni delle classi soggette che, nel dominio esclusivo <legl'interessi, sono le loro naturali nemiche. Con ciò è dimostrato che va facendosi strada l'idea positiva di una giustizia essenzialmente storica e gra– duale nel .mo progressivo realizzarsi, pura emanazione dei rapporti economici esistenti ed esclusivamente intesa ad assicurarne la normale e pacifica esplicazione. È l'idea che finalmente si mette d'accordo col ratto, poichè sol– tanto in questo connubio essa può divenire feconda. Ma come può darsi questo accordo fra due elementi di natura affatto diversa o ripugnante, l'uno dei quali - il fatto - proclama fatali e necessarie le forme sue, cessive per cui passa l'organizzazione sociale, e l'altro - il sentimento di giustizia - pretende di portare su ognuna di cotesto forme un giudizio morale e in baso ad esso promuoverne il miglioramento ? Se non che, sembra ornai che la scienza abbia trovato il modo di conciliare ciò che sembrava iuconciliabile. Non si nega che l'assetto economico di una società. è in ogni caso quello che deve essere, ma ciò non toglie che si possano apprezzare, in base a un giudizio morale, i rapporti economici scoperti e analizzati dalla scienza. 'l'auto più che la trasformazione necessaria di questi rapporti verso schemi superiori può essere, in certa mi-

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