Critica Sociale - Anno XI - n. 20 - 16 ottobre 1901

CRITICA SOCIALE 317 agricolo verso la masseria ò precisamente da para– gonarsi a quello del lavoratore industriale con salari a tempo verso la forma. di salari a cottimo. Ne con– seguirebbe che la masseria sarebbe un metodo capi• talistico mosso in pratica dai proprietari per costrin– gere la classe cloilavoratori a un'opera più intensiva e meno rimuneratoriaj sarebbe, in una, parola, un sistema di sfruttamento per ricavare, col sudore del lavoro, un maggior profitto dalla terra. La politica di coloro che sostengono questo speciale punto di vista non sarebbe quella di moclificilre il contratto di masseria indipendentemente, come se il lavoratore massaio, aumentando il proprio redclito, potesse agire isolatamente, come massaio e non come lavoratore. Lo scopo ultimo dovendo essere l'aume11to di sa.lari, le modificazioni del contratto di masseria non dovrebbero essere fine a se stesse, ma essere mezzo per modificare tutte le condizioni di offel'ta de] lavoro. Le modificazioni al contratto cli masseria dovrebbero ostacolare lo sviluppo della masseria stessa, perchè essa rappresenta la forma pericolosa del lavoro a cottimo che riesce a diminuire il prezzo della forza lavoratrice 1>ortatasul mercato. Se si riesce a render meno vantaggiosa per il pro– prietario la masseria, scom1>aiono gli effetti ciel lavoro a cottimo, un bisogno piì1 grande di lavoro si svi– luppa ed i salari si possono modificare in senso favorevole a tutta la classe lavoratrice. ~fa. questa politica semplicistica 1 come quella che ha per visuale un solo elemento, nella questione del– l'aumento di reddito della classe lavoratrice, e cioè il rapporto tra lavoro puro e proprietà, non tien~ conto di m1 fenomeno economico importantissimo. Pure ammettendo che la. masseria sia eia trattarsi come lavoro a. cottimo) o che, scomparendo il la.voro a cottimo, jl bisogno cli lavoro aumenti, nou ò an• cora eletto che questo maggior bisogno si traduca in effettiva domanda cli hivoro, condi,r,ione essenziale per ottenere il desiderato aumento cli salario. Se il proprietario, coltivando ad economia e guadagnando L. 8,19 p~r peL·tica come nel nostro esempio, do– manda una quantità. determinata di lavoro, non è eletto che terrebbe ferma la sua domanda. di lavoro e si rassegnerebbe a minori prnfitti 1 se gli si impo– nessern safari maggiori. La resistenza economica del proprietario dovrebbe essere studiata, e la questione è delle pili importanti, nò vuol essere decisa aprio• risticamonte in base a delle vuoto formule economi– che ed a parnllelismi non interamente giustificati. Abbiamo chiamata politica semplicistica quella degli avversari della masseria., perchò alla ba.so dell'oppo– si,r,ione sta il preconcetto che il la\'oratore non possa aumentare il pl'Oprio reddito, e quindi il proprio te~ nore di vita, se non coll'aumento ciel salario. Ma questo importerebbe la neg,1zione di un movimento St_lJ>0l"iore do! lnvoratoro verso rapporti pÌll complessi <11 fronte alla proprietà ..L'espeL·ienza ci dimostra che col patto di masseria il lavoratore ha saputo trovare elci nuovi rapporti contrattua,Ji col proprietario· per cui l'antagonismo tra lavoro e proprietà. 1101'1 a.s– sume più la sola fol'lna cli antagonismo tra rendita e salario, ma tra rendita ed una rorma rudimentale d.i profitto. L'ostacolare la masseria sarebbe Posta• col~re la forma pilt naturale d'a.~censione elci prole– tario_ ver·so uno tltato pitt incliL>0ndente e piìt van– taggioso. Sarebbe anche il distruggere la via già percorsa per raggiungere uno scopo che si è già ot– tenu~o, l'aumento dei sa.lari. Non per niente il pro– letariato ha, assecondato il movimento verso la mas– seria. Xoi sappiamo, p. es., che il massaio medio della Lega moutuesc, coltivando pertiche 12 1 5 ha ancora di– sponibili per la.piazza cil·ca 85 giornate di lavoro(§ 12). È certo che egli sceglierà. le giornate più care po– tendo lavorare sul proprio fondo quando le gio1!nato sono a huon mercato. Ebbene, calcolando in I,, 300 B h ote I CJ no B1arcc il reddito che gli deriva dalla masseria., noi vediamÒ che le sue giornate di lavoro sul fondo, circa 140, gli danno un guadagno di L. 2 1 1.5, cli fronte ad un salario medio, computando le giornate buone e cat• tive, di L. 1 1 69. Non dobbiamo concludere che la mas– seria trovò un modo indiretto d'aumentare i salari? Certo si ò che il movimento verso Ja masseria, rappresentando un vero interesse economico e sociale del proletariato, non potrà. essere ostacolato. Donà. invece essere migliorato e rafforzato, e questo sarà. uno dei c6mpiti pii1 importanti della. Lega. § l5. - Ma sull'oriizonte della Lega si affaccia un c6mpito pii1 grandioso e [>Ìlt complesso, che viene una volta ancora a provare l'erroneità della solu,r,iono semplicistica, nel problema dell'elevazione del reddito della classe lavoratrice agricola. La Lega ò chiamata ad entrare nel dibattito economico tra produttori cli u,•a e commercianti, per rialzare il prezzo dei pro– dotti, per scongiurare la crisi che minaccia J'Oltl'epò pavese, per assicurare all'ambiente economico sicu– rezza cli produzione e sicurezza di sp,1ccio. L'azione della Lega ben presto non si estrinsecherà. soltanto nella determinazione dei rapporti tra hworo e pro– prietà, ma affronterà la questione degli spacci del prodotto e si troverà impegnata a combattere la classe dei commercianti por non lasciarsi ulterior– mente sfruttare e per combattere un'altra causa cli diminuzione cli reddito. Ecco sinteticamente come stanno lo cose. Fino agli ultimi anni, lo uve dell'Oltrepò pavese erano pagate all'incirca L. 25 al quintale; l'alto prezzo lo si dove spiegare col fatto che il vino delle nostre colline trova.va un naturale mercato nella vicina Lombardia. Dopo la rottura del trattato commerciale colla l 1 'rancia, le uve meridionali cominciarono a farci conconen,r,a, e ben presto, in questo grande movimento d'impor– tazione dal Sud, il commercio delle uve e dei \'ini si organizzò fortemente. Su.I nostro mercato, da una parte si ebbel'O i produttori di uva, inerti, disorga– niziati; clal1 1 altra parte i commercianti intrapren– denti, che non solo compravano uve nostre e meri– dionali, ma che si diedero alla confezione di tipi commerciltli di vino, tagliando i nostri Yini coi vini piìl ttlcoolici del Mezzogiorno. TI ti1>0nostro venne cosl a poco a poco scomparendo dal mercato lom– bardo; cessata Ja ricerca specifica delle nostre uve, cominciò la discesa doi prezzi. Presentemente lo no• stre uve si vendono a L. 15 al quintale, e non sembra che il movimento cli discesa noi pre7,zi sia per ces– sare, sussistendo le condizioni di rinvilìo. La crisi ù imminente, se non si eliminano queste condizioni. Urge ritornare ai tipi di vino che trovavano facile sbocco in LombaL·dia, urge riguadagnare il mercato lombardo. Per ottenere lo scopo, non possiamo più vendere l'uva a nego,r,ianti che non hanno interesso a conservare i.I tipo dei nostL·i vini, dobbiamo farci produttori diretti di ,•ino e spacciare direttamente il prodotto. Ci occorrono Cantine collettive per eli– minare lo sfruttamento dei mediatori, dei negozianti, della conconenza. sfrenata. Finora lo classi proprietarie, la borghesia della proprietà, non trovando nella propria clisorganizza– ,r,ioneenergia. sufficiente, s'accontentarono d'implorare l'aiuto del Governo. Se, invece di fare dell'alta. po– litica inutile e difficile, si fossero indirizzate all'im– presa politica minore, piì1 accessibile e comprensiva; se, invece che allo Stato, si fossero rivolto al ì\luni– cipio ed avessero promossa una agitazione proficua per l'istituzione di Cantine municipali, il movimento sarebbe certo stato a.ppoggiato dallo forze lavoratrici, che risentono gli stessi bisogni e che avrebbero di– chiarato bisogno municipale queJlo di Cantine mu• nicipali. )la. il movimento politicQ munièipalo non fu ancora

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