Lineamenti per una storia dell'Italia giolittiana Giolitti ebbe il buon senso di capire che occorreva cambiare strada, e non continuare, nelle nuove condizioni sociali e psicologiche del popolo italiano, la politica del mulo bendato. Sarebbe stolto negare quel buon senso. Ma deve rimanere ben chiaro che quando Giolitti sopravvenne a largire quella "conces_sione," gli operai italiani quella concessione se l'erano già presa da sé, grazie ai loro sacrifici, e di loro volontà. Per dargli tutto quanto gli spetta, bisogna ricordare che non appena Giolitti diventò ministro degli Interni nel 1901, e abbandonò la politica di compressione contro le organizzazioni operaie, si scatenò, per due anni, in Italia, e specialmente nelle campagne, un ciclone di scioperi senza precedenti. Innanzi a quella tempesta, un uomo che fosse stato dotato di un sistema nervoso meno solido, avrebbe perduto la testa, e sarebbe ritornato ai metodi animaleschi degli anni passati, provocando chi sa quali piu violente complicazioni. L'uomo non perdé la testa. Rimase saldo in arcioni. Fu questo il suo contributo personale - e fu grande - al superamento di quella crisi. In quegli anni i poveri diavoli in Italia facevano valere le loro ragioni. Mettersi contro quei poveri diavoli sarebbe stato per Giolitti non solo andare contro ai suoi sentimenti personali, ma anche adottare la politica di quei conservatori, la cui avversione egli aveva provato negli anni precedenti e provava tuttora. O l'uomo superava la prova, o la sua carriera politica era troncata per sempre. La coincidenza fra la pressione del movimento operaio, le predisposizioni personali e gli interessi politici dell'uomo, fecero di lui in quel momento un uomo di Stato. Ma quando avremo dato a Giolitti il merito che gli tocca per aver accettato e non frastornato le nuove correnti benefiche della vita italiana, stiamo bene attenti a non perdere noi quella testa che egli non perdette nel 1901 e 1902, attribuendogli meriti che non ebbe, e - peggio ancora - fare la cospirazione del silenzio sul bene che non fece e sul male che pur fece. I bilanci si fanno mettendo insieme le partite del dare ed avere, e non una partita sola. Quale fu il bene c,he Giolitti non fece? Non mi pare si possa ragionevolmente rimproverargli di non aver risolto quello che, come dice Togliatti, " pur era e tuttora è il problema centrale della vita economica sociale e politica italiana "; il problema " di una economia agraria arretrata e d'una rivoluzione non fatta, di annose questioni. da risolvere e flagranti ingiustizie da riparare, con milioni di contadini la cui aspirazione sempre insoddisfatta è il possesso e la coltivazione diretta della terra, cioè una trasformazione profonda di tutti i rapporti di classe e di potere" (TOGLIATTI, Giolitti, pp. 57-8). Sarebbe come rimproverare Giolitti di non aver fatto il mestiere di Togliatti quaranta anni prima di Togliatti, lasciando oggi Togliatti disoccupato. Giolitti era quel che nel. secolo XVIII sarebbe stato definito come un sostenitore del dispotismo illuminato: cioè un conservatore paternalista, che riconosceva ai poveri diavoli il diritto di mangiare un po' di piu, vestire Biblioteca Gino Bianco
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