Storiografia e moralismo giudizio complessivo su Giolitti riuscirebbe assai meno severo che se l'uomo fosse morto nel gennaio del I 921 e non sette anni dopo. In tutti questi giudizi e revisioni di giudizi, non vedo che parte possa avere la "vera e piu alta moralità della storia." Siffatta mia incapacità dipende certamente dal fatto che sono assolutamente estraneo a quel mondo, che i sapienti chiamano filosofia, e che io chiamo "fabbrica del buio." Sospetto - dico sospetto, perché non ne sono sicuro - che i giudizi personali si chiamino "vera e piu alta moralità della storia," quando coincidono coi giudizi personali di quei filosofi che posseggono il monopolio di quella moralità, ma diventano "moralismo politico" non appena i filosofi non li trovano di loro gusto. Oppure può darsi che " la vera e piu alta moralità della storia" consista nello scappellarsi sempre innanzi ai fatti compiuti, quali che sieno, dato che tutto quanto avviene, avviene perché non poteva non avvenire, e perciò è razionale, e perciò è legittimo, cioè merita di essere scappellato. Ma non sono punto sicuro che questi miei sospetti sieno... legittimi. Perché se la interpretazione da dare alla formula fosse proprio questa, mi riescirebbe difficile capire come mai molti, che la adottano, abbiano rifiutato di arrendersi al regime mussoliniano, il quale dopo tutto fu per venti anni un fatto compiuto, cioè reale e quindi razionale, e quindi legittimo. Se l'amico Morandi mi aiutasse a uscire da questo ginepraio, forse arriverei anch'io a capire e chi sa? forse anche ad applicare la vera e piu alta moralità della storia non solo negli studi ma eziandio nella vita. (Postilla) Un cc ginepraio, " proprio non direi; se mai un modesto groviglio facile a districare quando si muova da un comune consenso intorno ai concetti èd ai criteri metodologici della moderna storiografia. Per i quali non occorre disturbare i " filosofi "; è sufficiente far appello alla Isiorica del Droysen o, piu semplicemente, ad un'attenta e pacata riflessione. A me riesce difficile consentire col Salvemini che, "date le fonti storiche, una sola ricostruzione dovrebbe esser la buona e ogni altra è sbagliata. " Questa è un'illusione filologica o meglio "scientista "; e del resto fu proprio il Salvemini, in un suo scritto, ad ammonire che, per lo storico, se la probità è un dovere, l'obbiettività (nel significato corrente del termine) è un'utopia. Ora il Salvemini dice che "nessuno obbliga lo storico ad esprimere le sue opinioni sui fatti che racconta, " anzi cc nessuno può neanche obbligarlo ad averne. " A parte l'ovvia considerazione che la storia non si esaurisce nel raccontare, ma deve individuare i problemi, definire gli uomini del passato, nei loro limiti, intendere e comprendere, seguendo un proprio cursus logicoconcettuale, a me sembra leggendaria la figura dello storico senza opinioni (cioè senza idee) o deciso a non manifestarle. È mai esistito uno " storico" siffatto? Non vi è storia senza giudizi di valore; i quali possono anche essere, nella loro fase embrionale, i giudizi personali di cui parla il Salvemini; ma tali convincimenti personali per acquistare diritto di cittadinanza in sede storiografica devono essere elevati a coscienza critica. Il Salvemini afferma di esprimere solo un proprio atteggiamento politico dicendo che " un governo il quale aumenta la responsabilità del proprio paese annettendo nuovi territori" non è " un governo abile. " Sta bene: ma è pure un problema storico chie539 Biblioteca.GinoBianco
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